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Le tragedie di Alessandro Manzoni

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Alessandro Manzoni è noto al grande pubblico soprattutto per il suo celebre romanzo I Promessi Sposi, ma la sua produzione letteraria comprende anche un importante contributo al teatro, in particolare attraverso le sue tragedie. Questi lavori, sebbene meno conosciuti rispetto al romanzo, rappresentano una fase fondamentale del suo percorso intellettuale e artistico.

Le tragedie manzoniane non sono solo opere teatrali, ma veri e propri manifesti letterari, morali e religiosi, capaci di incarnare i suoi ideali più profondi. In esse, Manzoni tenta un rinnovamento del genere tragico, distanziandosi dai modelli classici e francesi, e ponendo al centro della scena temi di giustizia, provvidenza e responsabilità individuale.

Il contesto letterario e ideologico

Le tragedie di Manzoni nascono in un momento in cui il teatro italiano era ancora fortemente influenzato dalla tradizione neoclassica, che imponeva rigide regole di unità di tempo, luogo e azione, secondo i precetti aristotelici. In Francia, la tragedia seguiva modelli formalmente perfetti ma spesso lontani dalla realtà e dai sentimenti autentici.

Manzoni, profondamente influenzato dalla sua conversione religiosa e da una visione cristiana della storia, rifiuta questa impostazione estetizzante e propone un teatro nuovo, più vicino alla verità storica e morale. La sua idea di tragedia è fortemente legata alla funzione educativa dell’arte: il teatro deve insegnare, commuovere, elevare lo spettatore, non solo intrattenerlo.

“Il Conte di Carmagnola”: una tragedia controcorrente

Pubblicata nel 1820, Il Conte di Carmagnola segna una rottura netta con la tradizione teatrale italiana ed europea. L’opera racconta la vicenda del condottiero Francesco Bussone, detto appunto Conte di Carmagnola, al servizio della Repubblica di Venezia nel XV secolo. Manzoni utilizza la vicenda storica per esplorare temi di ingiustizia, ambiguità morale e responsabilità politica.

Ciò che rende innovativa questa tragedia è la scelta di abbandonare la struttura classica: Manzoni non rispetta le unità aristoteliche e introduce il “coro” come elemento di riflessione morale, ispirato al teatro greco ma con un intento pedagogico e cristiano. Il protagonista, pur essendo un eroe militare, è descritto come un uomo fallibile, vittima di un sistema corrotto, e la sua condanna appare più come il frutto di calcoli politici che di una vera giustizia.

“Adelchi”: la tragedia della rinuncia

Due anni dopo, nel 1822, Manzoni pubblica Adelchi, una tragedia che approfondisce ulteriormente le sue riflessioni sul potere, la storia e la sofferenza umana. Ambientata nell’VIII secolo, durante l’invasione longobarda dell’Italia da parte dei Franchi di Carlo Magno, l’opera ruota attorno alla figura di Adelchi, figlio del re longobardo Desiderio. Adelchi è un personaggio lacerato dal conflitto tra la lealtà verso il padre e il desiderio di giustizia e pace.

A differenza del Carmagnola, qui il dramma è più intimo e spirituale: Adelchi non è vittima di un complotto, ma di un destino storico ineluttabile e di un potere che gli impone una condotta contraria alla sua coscienza. La tragedia culmina in una scelta di rinuncia e sacrificio, che segna la maturazione del protagonista. Anche in Adelchi, il coro assume un ruolo centrale, esprimendo riflessioni collettive sul dolore umano e sulla storia vista in chiave provvidenziale.

L’ideale del “vero storico” e il rifiuto del patetico

Una delle principali innovazioni di Manzoni riguarda il concetto di “vero storico”, che applica non solo alla narrativa ma anche alla tragedia. Egli rifiuta l’invenzione fantastica e privilegia la ricostruzione fedele dei fatti e dei contesti, convinto che solo ciò che è vero possa commuovere in profondità. Questo atteggiamento si riflette nella scelta di personaggi realmente esistiti, nella precisione delle ambientazioni, nell’attenzione ai dettagli storici.

Allo stesso tempo, Manzoni rigetta il patetico artificioso, cioè quell’enfasi emotiva tipica del teatro classico e romantico, che tende a spettacolarizzare il dolore. Al contrario, nelle sue tragedie, il pathos nasce dalla coerenza morale dei personaggi, dalla loro umanità, dal confronto con un destino che li travolge ma non annienta il loro senso di giustizia.

Il ruolo della religione e della Provvidenza

Un elemento essenziale delle tragedie manzoniane è la presenza costante, anche se spesso indiretta, di Dio e della Provvidenza. Lontano dalla tragedia greca, dominata da un destino cieco e ineluttabile, Manzoni propone una visione in cui il male e la sofferenza non sono privi di senso, ma trovano una spiegazione in un disegno superiore.

Questo non significa che le sue tragedie siano consolatorie o semplicistiche: i protagonisti soffrono, lottano, muoiono, ma lo fanno nel nome di un ideale che trascende l’interesse personale. La fede è una presenza silenziosa ma fondamentale, che orienta l’azione e dona significato anche alla sconfitta. In questa prospettiva, il teatro manzoniano si avvicina più alla meditazione morale che alla spettacolarizzazione scenica.