La peste nei Promessi Sposi di Manzoni
La peste rappresenta uno dei momenti più drammatici e simbolici de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Nell’opera, la malattia non è solo un evento storico, ma diventa anche un potente strumento narrativo attraverso il quale l’autore esplora il degrado morale e sociale della società, il rapporto tra individuo e divinità e la caducità dell’esistenza umana. Il capitolo dedicato alla peste ha una rilevanza centrale nella narrazione, in quanto segna una svolta nella vita dei protagonisti e nell’evoluzione della trama, inserendo una dimensione più universale alla vicenda personale di Renzo e Lucia. Analizzare la peste nei Promessi Sposi significa quindi entrare in contatto con i temi della sofferenza, della giustizia divina, della disperazione e, allo stesso tempo, della speranza.
La peste raccontata nei Promessi Sposi
Manzoni dedica ampio spazio alla descrizione della peste che colpisce Milano e le zone limitrofe tra il 1629 e il 1630. Nelle sue pagine, la malattia assume tratti quasi apocalittici, diventando un simbolo della disgregazione non solo del corpo, ma anche della società. La peste descritta dall’autore è caratterizzata da una diffusione rapida e incontrollabile, che mette in luce l’incapacità delle autorità di affrontare la crisi con razionalità e organizzazione. In questo contesto, Manzoni dipinge un quadro di caos e disperazione, dove la superstizione e la violenza prendono il sopravvento, evidenziando l’inefficienza dei mezzi umani di fronte a una calamità di tale portata.
La narrazione della peste nel romanzo è fortemente legata al tema della colpa e del castigo divino. Manzoni sottolinea come molti, di fronte alla malattia, interpretino la peste come una punizione inviata da Dio per i peccati dell’umanità. Questo concetto, tipico della mentalità dell’epoca, si intreccia con la visione manzoniana della Provvidenza, che nella sofferenza vede anche un’opportunità di redenzione e purificazione morale. In un passaggio particolarmente significativo, Manzoni descrive i Lazzaretti, luoghi di isolamento per i malati, come veri e propri inferni in terra, dove i pazienti sono abbandonati a loro stessi, senza cure adeguate e senza speranza.
Un altro elemento centrale della peste nei Promessi Sposi è la diffidenza e la caccia agli untori. Manzoni descrive come il terrore della peste porti la popolazione a cercare colpevoli su cui scaricare la responsabilità dell’epidemia, arrivando a credere che la malattia sia stata deliberatamente diffusa da persone malvagie, gli “untori”. Questa reazione, alimentata dall’ignoranza e dalla paura, provoca violenze ingiustificate e cacce all’uomo. Il tema dell’untore diventa così emblematico della tendenza umana a cercare capri espiatori in momenti di crisi, piuttosto che affrontare razionalmente i problemi.
La morte e la sofferenza sono descritte in modo crudo e realistico: Manzoni non risparmia al lettore dettagli sulla putrefazione dei corpi, sulle fosse comuni, sui carri che trasportano i cadaveri, sull’odore nauseabondo che permea le città. Questo realismo serve a trasmettere non solo il dramma dell’epidemia, ma anche il senso di impotenza e di sconfitta che accompagna la lotta contro una forza invisibile e implacabile.
La peste a cui si ispira Manzoni
La peste descritta ne I Promessi Sposi non è un’invenzione letteraria, ma si ispira a un evento storicamente documentato: la peste del 1630, che devastò gran parte dell’Italia settentrionale. Manzoni, con la sua consueta attenzione alla ricostruzione storica, utilizza fonti dell’epoca per documentarsi e ricostruire in modo dettagliato l’impatto che questa epidemia ebbe sulla popolazione. In particolare, si avvalse del lavoro di storici come Giuseppe Ripamonti, autore della “Storia della peste di Milano”, un testo che fornì a Manzoni preziose informazioni sulla dinamica dell’epidemia e sugli atteggiamenti della società dell’epoca.
La peste del 1630 ebbe origine dalle truppe imperiali di passaggio nella regione durante la Guerra dei Trent’anni. Le condizioni igieniche precarie e la fame contribuirono alla rapida diffusione della malattia, che trovò terreno fertile nelle città sovraffollate e mal sanificate. Milano fu una delle città più colpite, e si stima che circa la metà della popolazione sia perita a causa della peste.
Manzoni non si limita a descrivere gli effetti devastanti dell’epidemia sul piano fisico, ma si sofferma soprattutto sul comportamento umano di fronte alla tragedia. La peste diventa quindi una lente attraverso la quale l’autore analizza le reazioni dell’individuo e della collettività: la solidarietà, ma anche l’egoismo, la paura, la ricerca di colpevoli. Uno degli aspetti più drammatici che emerge dal racconto manzoniano è la mancanza di fiducia nelle istituzioni e la superstizione che si diffonde tra il popolo, che porta a credere agli untori e alle magie.
Manzoni sottolinea inoltre la lentezza e l’inefficacia delle misure adottate dalle autorità. In un mondo in cui non si conoscevano ancora le cause reali della peste, le risposte dei governanti risultano inadeguate e spesso controproducenti. Si tentò di isolare i malati nei Lazzaretti e di purificare le città con le fumigazioni, ma la confusione e il panico portarono spesso a decisioni affrettate e sbagliate. La società dell’epoca, incapace di comprendere scientificamente il fenomeno, si trovò impreparata e reagì con violenza e irrazionalità.