Il mito di Aracne
Ovidio ha narrato la sua storia ne 'Le Metamorfosi', ma il personaggio è citato anche ne 'Le Georgiche' di Virgilio e ne 'La Divina Commedia' di Dante
Chi era Aracne
Figura mitologica probabilmente di origine greca, non soltanto Ovidio, nel VI libro de ‘Le Metamorfosi’, narrò la storia di Aracne. La fanciulla originaria di Ipepe, nella Lidia, è menzionata anche ne ‘Le Georgiche’ di Virgilio, nel XVII Canto dell’Inferno e nel XII del Purgatorio de ‘La Divina Commedia’ di Dante Alighieri, nel ‘De mulieribus claris’ di Boccaccio, ne ‘La Gerusalemme liberata’ di Torquato Tasso e nella poesia ‘Donna che cuce’ di Giambattista Marino. Figlia del tintore Idmone e sorella di Falance, Aracne era nota per la sua maestria nel tessere: le sue creazioni, infatti, si presentavano talmente belle, delicate e graziate, che si vociferava avesse imparato tale arte addirittura da Atena. La giovane, però, piena di sé e accecata dalla superbia, replicava a tali dicerie asserendo come – al contrario – fosse stata quest’ultima a rubarle i segreti del mestiere e difese tale convinzione al punto da sfidare a duello la stessa dea. Dopo poco tempo, però, alla soglia di Aracne si presentò un’anziana signora, che la esortò a ritirare la sfida al fine di non scatenare l’ira di Atena, accettando l’idea di essere semplicemente la migliore fra i mortali. Ella non se ne curò, trattò anzi con sufficienza ed arroganza la vecchina che, irritata, rivelò le sue vere sembianze: iniziò così la ‘battaglia’ tra Aracne e Atena.
Il mito di Aracne
Una di fronte all’altra, le due contendenti iniziarono a tessere le rispettive tele e, man mano che le matasse di lana si dipanavano, prendevano forma le scene che le due avevano deciso di rappresentare. In quella di Atena vi erano raffigurate le grandi imprese da lei compiute insieme ai poteri divini che le erano propri, mentre Aracne scelse come tema della sua tessitura gli amori degli dei e, con essi, tutte le loro colpe e i loro inganni: il suo lavoro fu così perfetto – e al tempo stesso colmo di ironia nei confronti delle astuzie utilizzate dagli esseri soprannaturali dell’Olimpo finalizzate al raggiungimento dei propri obiettivi – che Atena, seppur costretta ad ammettere ad ammettere che si trattasse di un lavoro di una bellezza mai vista prima, con i personaggi che sembravano quasi uscire dal disegno per compiere le gesta narrate, non riuscì a gestire la propria furia, afferrò la tela, la distrusse in mille pezzi e colpì Aracne con la sua spola. La giovane, disperata, tentò il suo suicidio, ma la dea – prima che ella si impiccasse ad un albero, considerandolo un castigo troppo blando – la trasformò in un ragno, costringendola a filare e tessere dalla bocca per tutta la vita, oltre che dondolarsi dagli stessi rami sui quali avrebbe voluto togliersi la vita. Si trattò, di fatto, di una lezione impartita per l’hýbris – cioè, l’arroganza – dimostrata nell’aver osato sfidare Atena. Racconta Ovidio nelle Metamorfosi: “…Non lo patì l’infelice: furente si strinse la gola con un capestro e restò penzoloni. Atena, commossa, la liberò, ma le disse: – Pur vivi o malvagia, e pendendo com’ora pendi. E perché ti tormenti nel tempo futuro, per la tua stirpe continui il castigo e pei tardi nepoti -. Poscia partendo la spruzza con sughi di magiche erbette: subito il crime toccato dal medicamento funesto cadde e col crine le caddero il naso e gli orecchi: divenne piccolo il capo e per tutte le membra si rimpicciolisce: l’esili dita s’attaccano, invece dei piedi, nei fianchi: ventre è quel tanto che resta, da cui vien traendo gli stami e, trasformata in un ragno, contesse la tela di un tempo”. Esiste, però, anche una versione minore del mito, estremamente differente rispetto a quanto descritto fin qui: in quest’altra storia, infatti, Aracne e suo fratello Falance erano allievi di Atena, l’una nella tessitura e l’altro nelle arti belliche. I due, però, vennero sorpresi dalla dea mentre consumavano un amore incestuoso e, per tale motivo, vennero puniti con la metamorfosi, rispettivamente, in un ragno e in una vipera.