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Il mito di Ifigenia, figlia di Agamennone

Primogenita del capo degli Achei e di Clitemnestra, è protagonista delle tragedie Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride di Euripide

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Chi era Ifigenia

Protagonista delle tragedie ‘Ifigenia in Aulide’ e ‘Ifigenia in Tauride’ di Euripide, fu la primogenita di Agamennone, re dell’Argolide e capo supremo degli Achei nella guerra di Troia, e di Clitemnestra, nonché sorella di Oreste, Elettra e Crisotemi. Tuttavia, Antonino Liberale raccontò che, in realtà, fosse la figlia di Teseo ed Elena. Questa, rapita da giovane dall’eroe, che la violò, venne salvata dai Dioscuri e giurò loro di aver mantenuto la propria verginità. Ad Argo, però, sulla strada del ritorno, partorì una bambina di nome Ifigenia e consacrò ad Artemide un santuario in segno di gratitudine per il parto alleviato dalla sofferenza. Quindi, affidò la neonata a Clitemnestra, che la adottò. Ad ogni modo, si dice che, un giorno, Agamennone promise di sacrificare ad Artemide la creatura più bella sbocciata nel suo regno in quell’anno, lo stesso in cui poi venne alla luce Ifigenia. Rifiutandosi, però, di immolarla, probabilmente sostituendola con una capra sacra, la dea, risentita, scatenò dei venti fortissimi che impedirono alle navi greche, nei pressi delle coste di Aulide, di salpare verso Troia. L’indovino Calcante – o, secondo altri, l’oracolo di Delfi – a vaticinare che, senza il sacrificio della più bella fra le sue figlie, la flotta del sovrano non sarebbe mai stata in grado di portare a compimento la propria missione. Agamennone si oppose, sostenendo che Clitemnestra non lo avrebbe mai permesso, ma le truppe achee insorsero, minacciando di giurare fedeltà a Palamede. Proprio quest’ultimo venne eletto dall’esercito quando fu deciso che, fin quando non avesse rispettato la volontà di Artemide, il re sarebbe stato sospeso dalle sue prerogative. Anche Menelao esortò il fratello affinché permettesse a Ulisse e Taltibio di andare a Micene e condurre Ifigenia in Aulide, con il pretesto che, se Achille non l’avesse presa in moglie, si sarebbe rifiutato di salpare per Troia. Clitennestra accompagnò la figlia dal padre, onorata dall’idea di divenire suocera di Achille, restando tuttavia in preda allo sconforto quando scoprì il vero motivo del viaggio: non le nozze, bensì il suo sacrificio. Fu questo inganno la causa che scatenò nella donna un feroce odio nei confronti di Agamennone, che la porterà prima a tradirlo e poi, una volta ritornato dalla guerra, ad ucciderlo. Ifigenia, invece, in breve tempo, ebbe la forza di accettare nobilmente il proprio destino e si recò sull’altare per essere decapitata quando, all’ultimo istante, Artemide decise di sostituirla con una cerva. La ragazza, tuttavia, lontana dalla vista degli Achei, venne portata dalla dea nel Chersoneso, in Tauride, dove divenne una sua devota sacerdotessa. Soltanto molti anni dopo, casualmente, il fratello Oreste giunse ivi in compagnia dell’amico Pilade, dove venne catturato dalla popolazione autoctona per essere, come tutti gli stranieri, sacrificato ad Artemide. Ifigenia, però, riconobbe immediatamente il fratello, ingannò il re dei Tauri, Toante, affermando che gli ultimi arrivati meritassero di essere lavati nel mare in quanto accusati di matricidio, e supplicò la gente del luogo di non assistere al rito. Tale mossa permise ai tre di fuggire e far ritorno in Grecia.

Il sacrificio di Ifigenia: il significato

Con il termine ‘proteleia’ si indicava la data in cui le figlie vergini venivano accompagnate dai genitori sull’acropoli per celebrare un sacrificio alle divinità femminili, molto spesso Artemide, generalmente in vista del loro matrimonio. Per tale motivo, Euripide ci si riferisce con il significato di ‘rito sacrificale’. Ad ogni modo, il sacrificio consisteva spesso in un oggetto personale, che poteva essere un giocattolo o una ciocca di capelli, volto a simboleggiare la ‘vecchia’ vita, cioè la fanciullezza, che da quel momento avrebbe smesso di esistere. Attorno alla figura di Ifigenia vi è un evidente parallelismo: ella è, al tempo stesso, una figlia ubbidiente disposta a sacrificarsi per rispettare il volere del padre, e una sacerdotessa di un culto che segue tutti gli step di crescita delle donne: infanzia, matrimonio e maternità. Lo stesso sacrificio è da leggere sotto questa ottica: ricalca il mito della fanciulla che rimane vergine e il tentativo di ucciderla è l’emblema della ‘morte’ della bambina in favore di una donna adulta, matura, pronta a sposarsi con un uomo e dare alla luce dei figli. Lo stesso si può dire per Agamennone: la sua figura paterna si confonde con quella del sacrificatore, come a rappresentare un ‘passaggio’ nella tutela della ragazza, dalla sua a quella del marito. Egli, partecipando al sacrificio, dà il proprio assenso a questo mutamento di condizione.