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Il mito di Tersite

Rappresenta l’anti-eroe della mitologia greca: storpio, ma soldato a Troia, fu l’unico ad opporsi ai potenti. E per questo fu percosso e schernito

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Sono tantissimi gli eroi che l’Iliade passa in rassegna, uomini che per coraggio e valore appaiono simili agli dei, da Achille ad Aiace, da Agamennone a Diomede, fino ad Ettore. Umani capaci di imprese straordinarie e presi come esempio di virtù, da imitare e seguire. Figure impavide, che si battono per la difesa del bene e della patria. L’opera di Omero è però straordinaria, perché il suo poema non ospita solamente storie di eroi, ma anche del loro perfetto contrario, l’anti-eroe, ben rappresentato da Tersite, “il peggiore tra i guerrieri achei" che partirono per la guerra di Troia.

Il mito

D’altro canto, è proprio l’autore a presentare Tersite come pavido e codardo, oltre che brutto fisicamente. Anche la sua fama non era proprio delle migliori, considerato un “usurpatore di troni", per aver preso parte alla fallimentare impresa del padre Agrio, nel tentativo di spodestare il fratello Olineo dal trono di Calidonia. Non solo, perché Omero si sofferma nel descrivere quel condensato di difetti che era Tersite: giocatore di dadi incallito e abile oratore, ma spesso arrogante e irrispettoso dei ruoli.

La particolare attenzione dedicata alla premessa descrittiva di un personaggio tutto sommato trascurabile, un insignificante soldato semplice, diventa funzionale nella prosa omerica a descriverne il mito, che pur sviluppandosi nel secondo libro dell’Odissea, prende le mosse dalla conclusione del primo. Che si chiude con l’invocazione alla madre Teti da parte di Achille, addirittura in lacrime per aver dovuto cedere la schiava Briseide ad Agamennone. La dea del mare, impietosita dal pianto del figlio, si rivolge direttamente a Zeus, suggerendo una ritirata dei greci, in modo da esaltare l’indispensabilità dell’eroe acheo in guerra, come risarcimento per l’offesa subita.

Il secondo libro si apre infatti con uno Zeus meditabondo sul come adempiere alla promessa fatta a Teti e che decide di inviare ad Agamennone un sogno ingannatore, con il quale gli profetizza la caduta di Troia. Il re di Sparta, risvegliatosi convinto di avere la vittoria in pugno, decide però di mettere alla prova l’esercito greco, convocando un’assemblea generale e annunciando la volontà di porre fine al conflitto. La reazione dei soldati è però di giubilo e tutti si precipitano verso le navi per fare finalmente ritorno a casa. In soccorso dello spiazzato Agamennone interviene Odisseo, sostenuto dalla dea amica Atena, che convince le armate achee a non abbandonare il campo di battaglia.

Ed ecco apparire la figura di Tersite, unico tra i commilitoni a ribellarsi al contrordine. Il soldato semplice, gobbo e zoppo, si scaglia veementemente contro il prosieguo del conflitto e prende di petto in particolare proprio Agamennone, accusandolo di essere insensatamente avido di gloria, donne e tesori, oltre che iniquo nella spartizione del bottino.

Tersite soltanto ciarlava insolente. […] “Atride, che cosa ti affligge? A che cosa agogni ancora? Di bronzi, di donne hai le tue tende riempito […] O sei forse affamato ancora di oro, tu ingordo […] O pretendi qualche giovane donna soltanto per te e giacere con lei per godertela tutta in disparte? […] Si riprenda sùbito il mare, a casa si torni: lasciamolo solo, qui a Troia […] Poco fa ha offeso anche Achille, uomo di lui molto più grande: gli ha strappato la schiava. Ma fiele Achille non ha nel suo corpo, è neghittoso; altrimenti, o Atride, la tua ultima offesa certo era questa".

Anche in questo caso è Odisseo a prendere in mano la situazione, interrompendo il monologo di Tersite per prendere lui la parola e ribaltare la situazione, finendo per umiliare il semplice soldato e percuotendolo con lo scettro, com’era uso fare, zittendolo definitivamente ed esponendolo al ludibrio dei commilitoni.

Tersite, lingua insensata, fiato sonoro, taci; non osare tu solo offendere i prìncipi! Io dico che un uomo più abietto di te non esiste fra quanti vennero ad Ilio insieme agli Atridi; e tu non cianciare col nome dei re su la bocca ingiuriando: né tu del ritorno devi darti la briga. […] se ancora ti prendo a dar nel farnetico come adesso tu fai, la testa di Ulisse non stia più su le spalle e non possa nessuno più di Telemaco padre chiamarmi, se io non ti afferro e ti strappo violento le vesti di dosso, il manto e la tunica e quant’altro di sotto ti copre il pudore, e così ti rimando alle navi piangente fuori da questo consesso, battuto e infamato". E detto così, gli dà con lo scettro alle spalle e al petto; quello si torce e gli cadono lacrime".

La morte di Tersite

È lo stesso Omero a narrare poi della morte di Tersite, che avvenne dopo la morte di Ettore, ma che come Ettore avvenne per mano di Achille. Alla stregua di Pantasilea, regina delle Amazzoni, unitasi alla battaglia al fianco di Troia. Abile in combattimento, fece strage di greci, prima di essere uccisa proprio dall’eroe acheo che, spogliatala come da consuetudine delle armi e ammirandone la bellezza, non riuscì a resistere dalla tentazione di accoppiarsi con il suo corpo esanime. Fu allora che Tersite, testimone della macabra scena, non riuscì a resistere e iniziò a deridere Achille, che accecato dalla rabbia, gli saltò addosso, uccidendolo con un solo pugno.

Analisi

Il pensiero di Omero riguardo Tersite, oltre che dalla durezza della reazione che fa avere a Odisseo, è rivelato da un’anomalia letteraria che caratterizza il secondo libro dell’Odissea, ossia la dettagliata descrizione con la quale si spende per tratteggiare la figura del protagonista del racconto, facendone il primo personaggio del poema ad essere caratterizzato in maniera realistica. Iniziando dal suo aspetto. Zoppo ad un piede, con gambe storte e spalle curve e cadenti, una testa ovale dalla calvizie incipiente e una voce che non riesce a controllare durante le sue invettive, definita poco maschile, in ossequio allo stereotipo dell’epoca, che associava la bruttezza fisica a quella dell’animo. Tersite è dunque un anti-eroe già nell’aspetto, facile da opporre agli eroi, sempre “καλοί καί ἀγαθοί", ovverosia i “belli e buoni".

La sua figura, però, come quelle di tutti i miti dell’antica Grecia, è stata successivamente oggetto di svariate interpretazioni e nel caso specifico anche di opposte visioni. Hegel, ad esempio, non compatisce affatto l’umile soldato e anzi ne prende spunto per parlare addirittura di tersitismo, una corrente all’interno della quale fa rientrare gli storiografi, colpevoli di sminuire i personaggi importanti del passato, giudicandoli sotto la lente di una presunta moralità. Mentre un critico importante come Concetto Marchesi ha voluto dare a Tersite un’accezione positiva, quella del paladino anti-eroe, che non accetta una guerra voluta dai potenti e combattuta dai deboli, “è il classico popolano che afferma la verità in modo incivile, le sue parole smodate sono interpretabili come l’urlo disperato di una classe sociale nettamente sottorappresentata nell’epica omerica".