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Mitologia greca: la storia di Apollo e Dafne

Contenuta nelle 'Metamorfosi' di Apuleio, narra dell'amore non ricambiato del dio della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell'intelletto e della profezia per la bella ninfa

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Da Apuleio e Ovidio a Bernini

Il mito di Apollo e Dafne, uno dei più rappresentati nella storia dell’arte, oltre che nelle ‘Metamorfosi’ di Apuleio, è raccontato anche nell’omonima opera di Ovidio. L’immagine nitida dei personaggi, invece, arriva dal mondo della scultura e, in particolare, dal capolavoro di Gian Lorenzo Bernini, esposto nella Galleria Borghese di Roma: esso coglie l’attimo in cui la ninfa, dopo aver chiesto aiuto ai propri genitori, arresta la propria corsa e inizia, appunto, la propria metamorfosi in una pianta di alloro.

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L’amore impossibile tra Apollo e Dafne

Si tratta di un racconto naturalistico basato sulla nascita dell’alloro, ma che pone al centro della trama il comportamento degli dèi che, seppur immortali, unica caratteristica che li distingue dagli esseri umani, esattamente come noi si mostrano sovente capricciosi e preda delle proprie debolezze, soprattutto in ambito sentimentale. Apollo, talmente fiero di aver ucciso il serpente Pitone con i propri dardi, non riuscì a trattenersi dal vantarsi di tale impresa con Cupido. Si fece prendere, però, dalla mano e l’autoglorificazione sfociò in una derisione del tutto gratuita: domandò, infatti, al dio dell’amore di quali gesta eroiche potesse egli fregiarsi. Quest’ultimo, in preda alla collera per l’affronto subito, promise una vendetta che non tardò ad arrivare. Così, Cupido prese due delle proprie frecce, una d’oro, con il potere di far innamorare chi l’avesse ricevuta, e una di piombo, capace al contrario di respingere tale nobile sentimento. La prima la scoccò contro Apollo, mentre la seconda colpì Dafne, figlia del dio-fiume Peneo e di Gea, la dea primordiale, cioè la Madre Terra. Il risultato, non è difficile immaginare, fu che, mentre il dio della musica, delle arti mediche, delle scienze, dell’intelletto e della profezia cadde perdutamente innamorato della giovane ninfa, ella cercò invece di evitarlo in tutti i modi, fino a fuggire. Apollo non si diede per vinto e la cercò ovunque e, una volta trovata, non riuscì in nessun modo a convincerla della bontà dei propri sentimenti. Dafne, per nulla ammaliata dal fascino e dal prestigio dello spasimante, pur di allontanarsi da lui e di non ‘donare’ la propria verginità a qualcuno così tanto detestato, si inoltrò ulteriormente nel bosco, ma venne di nuovo raggiunta e, un attimo prima di essere afferrata, invocò l’aiuto dei propri genitori. I due, nell’intento di salvare l’amata figlia, decisero di trasformarla in un albero: di fatto, mentre le braccia di Apollo toccarono le spalle di Dafne, Peneo e Gea arrestarono la sua corsa, fecero in modo che le sue gambe divenissero improvvisamente pesantissime, che il suo corpo si protendesse verso il cielo e che dalle sue mani crescessero delle foglie di alloro. Apollo, sconvolto, abbracciò il tronco e giurò che, da quel momento, il lauro sarebbe stata la sua pianta sacra.

Apollo e Dafne, il ruolo dell’alloro e degli dèi

Per gli antichi l’alloro rappresentava la vita perpetua: esattamente come Dafne che, seppur trasformata nella pianta sempreverde, ‘sopravvisse’ all’incontro con Apollo senza né cedere alle lusinghe e condannarsi all’infelicità, né ricorrendo a gesti estremi. È evidente come ad Apuleio stia particolarmente a cuore il tema della vulnerabilità degli dèi di fronte alle forti emozioni, come l’amore, ma anche a sentimenti meno nobili, come l’irascibilità, l’arroganza e il desiderio di vendetta. Lo scrittore, filosofo e retore romano, natio di Madaura, nell’attuale Algeria, va però oltre: affronta infatti l’antipatica questione dell’amore non corrisposto. “Inutile amare qualcuno che non ricambia – scrive –. Qualunque sia la scelta che l’altra persona farà di fronte ai nostri sentimenti deve essere rispettata, senza ammettere violenza“.