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Mitologia greca: Orfeo ed Euridice un amore che non si arrende

Contenuto nelle Metamorfosi di Ovidio, narra della catabasi, vale a dire la discesa negli inferi del figlio della musa Calliope per riavere indietro la sua sposa

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Il mito di Orfeo ed Euridice

Sebbene sia solo una piccola parte del più ampio mito di Orfeo, molto più dettagliato e del quale esistono svariate e differenti versioni, il mito di Orfeo ed Euridice, contenuto nelle Metamorfosi di Ovidio, racconta la storia della catabasi, vale a dire della discesa agli inferi del figlio della musa Calliope e, secondo alcuni di Apollo, secondo altri del re della Tracia Eagro, al fine di riavere indietro la sua sposa: si tratta di una storia densa di pathos, passata alla storia grazie alla sua potenza narrativa e alla sua incredibile forza espressiva. Nel testo di Ovidio, Orfeo aveva ricevuto un regalo dal dio Apollo: nello specifico, una lira che aveva imparato a suonare così bene da riuscire ad ammaliare qualsiasi creatura. Proprio per questo motivo egli veniva considerato l’artista per eccellenza, capace di incarnare i valori eterni dell’arte, ma anche quelli di una sorta di sciamano che era in grado di incantare gli animali e di compiere il lungo e tribolato viaggio dell’anima fra i sentieri oscuri della morte. Orfeo, figura chiave dell’orfismo, un movimento religioso misterico sorto in Grecia, presumibilmente, verso il VI secolo a.C., era profondamente innamorato della sua sposa Euridice, figlia di Nereo e Doride. Il loro amore, tuttavia, nonostante fosse forte e sincero, non era destinato a durare, in quanto il pastore Aristeo, uno dei figli di Apollo, era mosso anch’egli da profondi sentimenti nei confronti della donna che, proprio nel tentativo di fuggire da lui, venne morsa da un serpente mentre correva in preda al panico nel bosco. La sua morte lasciò Orfeo vittima del dolore e della disperazione, ma lo motivò anche a compiere qualcosa d’impensabile pur di non arrendersi: il lascito è quello di un amore che travalica i confini della morte, sinonimo di eternità.

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La discesa negli inferi di Orfeo

Inconsolabile e disposto a qualsiasi cosa pur di sovvertire quanto deciso dal destino, infatti, Orfeo non si diede per vinto e, pur riavere indietro la sua amata sposa, si convinse che l’unica soluzione fosse quella di mettersi in viaggio verso l’Ade: si tratta della famosa catabasi agli inferi, letteralmente “la discesa di Orfeo nel regno dei morti per portare indietro con sé, di nuovo alla vita, la sua consorte Euridice”. Una volta varcate le porte di quello che definiremmo oggi Inferno, Orfeo fu costretto ad affrontare una serie di complicate e terribili sfide, che riuscì a superare soprattutto grazie al suo magistrale uso della lira donatagli da Apollo ed alle sue prodigiose doti di poeta e musico. Grazie ad essa, infatti, ebbe modo di ammansire il cane a tre teste Cerbero e il traghettatore Caronte, che ‘domarono’ ogni altra creatura incontrata durante il cammino, e lo ‘scortarono’ al cospetto di Ade e Persefone, i quali mostrarono pietà nei suoi confronti, nonché una sincera stima per il coraggio avuto lungo il suo terribile viaggio. Costoro, pertanto, consentirono ad Orfeo di raggiungere il proprio fine, vale a dire quello di poter riportare indietro con sé la sua amata Euridice, purché fosse rispettata una sola condizione: quella di affrontare tutto il tragitto che, dal regno dei morti, li avrebbe riportati nel mondo dei vivi, senza mai voltarsi indietro e, quindi, senza mai incrociare lo sguardo della moglie. Orfeo annuì e s’incamminò in direzione della luce, scorgendo soltanto l’ombra di Euridice dietro di lui. Resistette a lungo ma, ormai in procinto di abbandonare definitivamente l’Ade, cadde preda di un sospetto, vale a dire che l’ombra che lo seguiva non fosse quella di Euridice. Così, istintivamente, girò il capo di novanta gradi per trovare pace al dubbio che lo assaliva. Di fatto, infranse la promessa fatta al dio degli inferi e a Persefone e l’ombra dell’amata consorte sparì, nuovamente inghiottita dagli inferi. Il ragazzo tentò disperatamente di ripercorrere la strada al contrario, ma i suoi numerosi, successivi tentativi non portarono a nulla. Si conclude qui il mito di Orfeo ed Euridice, mentre il principale, con il solo musico protagonista, racconterà ancora molte altre vicende, nessuna delle quali, però, contemplerà la presenza della donna. In altre versioni, dopo il ritorno di Euridice nell’oltretomba, Orfeo, emotivamente distrutto, iniziò a suonare una musica che fece piangere persino gli dei. Le Baccanti, esseri notoriamente volubili, se ne innamorarono perdutamente ma, dopo che egli resistette ai loro ‘subdoli’ tentativi di seduzione, lo uccisero per vendetta, spargendo ovunque i suoi resti. Per quanto triste, l’epilogo permise ad Orfeo ed Euridice di rincontrarsi nel regno dei morti, dove rimasero insieme per sempre: da allora, secondo le leggende, nei boschi e nei prati sarebbe possibile udire le loro incantevoli melodie.