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Etruschi, origini e storia di questo popolo

Misteriosa e raffinata, è una delle più antiche civiltà vissute in Italia, tra il IX e il I secolo a.C., in un'area corrispondente all'attuale Toscana, gran parte del Lazio, l’Umbria occidentale e la Campania settentrionale, fino alle zone padane di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, più la Corsica

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Popolo emblematico dell’Italia antica, gli Etruschi ebbero un’influenza diretta sulla civiltà romana, dalla quale vennero assorbiti nel I secolo a.C. L’alone di mistero che li circonda è figlio delle tante domande ancora senza risposta. Una su tutte: che lingua parlavano?

Le origini del popolo etrusco

Le origini degli Etruschi non affascinano soltanto gli studiosi contemporanei. Se ne interessarono per primi gli storici greci Erodoto ed Ellanico di Lesbo, già nel V secolo a.C., ipotizzando provenissero – rispettivamente – dalla Lidia, una regione dell’Asia Minore oggi parte della Turchia, e dalla Tessaglia, mentre per Dionigi di Alicarnasso, vissuto tra il 60 e il 7 a.C., si trattava di una popolazione autoctona. Nell’Ottocento si è fatta largo l’ipotesi che fossero discesi dalle regioni alpine, sulla base di un passo di Tito Livio, ma a partire dal secolo successivo si è teorizzato che, più o meno nel II millennio a.C., ci sia stato un incontro tra genti della penisola italica ed altre provenienti dalle zone ad est del Mediterraneo, foriere di maggiori conoscenze e tecnologie. Recenti studi, però, che hanno analizzato il DNA estratto da frammenti ossei, hanno escluso sia l’origine asiatica, sia quella mediorientale. Anzi, sarebbe risultato piuttosto che il patrimonio genetico degli Etruschi – esattamente come quello dei Latini – sia rimasto pressoché immutato dall’Età del ferro al periodo della Repubblica Romana, in un arco temporale di circa 800 anni, con percentuali significative della componente ancestrale che deriva dalle popolazioni dell’Eneolitico delle steppe pontico-caspiche di Russia e Ucraina, considerate i progenitori dei popoli di lingua indoeuropea. Come detto, non si sa che idioma parlassero, ma i linguisti ritengono si trattasse di una preindoeuropea o paleoeuropea. Quel che è certo è che gli Etruschi si riferissero a sé stessi come ‘Rasenna’ o ‘Rasna’, traducibile in latino con ‘populus’, sia nel senso originale di ‘esercito’, che in quello politico di ‘popolo’. Le più antiche iscrizioni rinvenute, invece, risalenti tra l’800 e il 700 a.C., erano scritte – da destra verso sinistra – in alfabeto euboico, che i commercianti avevano appreso durante i loro contatti con i Greci a Cuma o a Ischia.

Dalla protostoria etrusca all’Età villanoviana

Dal 1200 al 900 a.C. è quella che gli storici definiscono protostoria etrusca, o meglio Età protovillanoviana. Siamo nell’Età del bronzo, i più grandi centri sono situati fra Tarquinia e Cerveteri, nella media valle del fiume Fiora e sulle fasce collinari attorno alla Cetona, ed è una fase ’embrionale’ dell’Età villanoviana vera e propria, che va invece dal 900 al 720 a.C. Si diffusero peculiarità regionali: ad esempio, l’ingrediente base nell’entroterra era il farro, nelle località marittime il pesce. Analogamente, la vita era nomade nelle Marche settentrionali, nel Lazio centrale, in Abruzzo, nel Sannio, nell’Irpinia e in Calabria, mentre nel Lazio settentrionale, in Toscana e nel relativo arcipelago approdarono i primi naviganti alla ricerca di metalli, soprattutto il ferro. Il bronzo veniva ancora lavorato, ma solo per la produzione di piccoli oggetti. I primi insediamenti vennero fondati non troppo lontano dalla costa, ma l’unica città-stato etrusca sul mare è stata probabilmente Populonia, uno dei principali porti per l’imbarco di argento e rame. Furono proprio i commerci a contribuire allo sviluppo di questo popolo. Tratto distintivo è il culto dei morti, che cambierà e si perfezionerà col tempo: dalla sepoltura delle ceneri dei defunti si passò infatti in pochi secoli alla creazione di vere e proprie necropoli, riportate alla luce nell’Ottocento. L’idea alla base era quella di una vita ultraterrena, probabilmente teorizzata dal profeta Tagete, secondo cui il destino degli uomini era in mano agli dèi. La sorte non poteva essere cambiata, ma soltanto anticipata: precisamente, dai sacerdoti, per mezzo dell’osservazione degli organi interni degli animali o del volo degli uccelli.

L’espansione dell’Etruria

I contatti con la civiltà ellenica aprirono la cosiddetta Età orientalizzante, che va dal 720 al 580 a.C., ed avvennero soprattutto nella Magna Grecia e in Sicilia. La ceramica divenne materiale di scambio, il che si riflette nel miglioramento di torni e forni utilizzati dagli Etruschi per la produzione di vasellame. Il legame s’intrecciò anche con la religione, con la comparsa di statuine che reinterpretavano le divinità locali, in modo tale da renderle conformi a quelle greche. Durante l’Età arcaica, che va dal 580 al 480 a.C. i ‘Tirreni’, come venivano chiamati al di là dell’Adriatico, raggiunsero il proprio apice con la vittoria – insieme ai Cartaginesi – nella battaglia di Alalia del 540 a.C. contro i Focei di Marsiglia, che secondo Erodoto vennero lapidati. Gli Etruschi, in questo periodo, dominarono su tutta la penisola italiana, sul Tirreno e sul Mediterraneo occidentale. Nonostante l’abilità nell’agricoltura e nella bonifica delle zone paludose, l’espansione si arrestò all’inizio dell’Età classica (480-320 a.C.), precisamente a Cuma (474 a.C.), sconfitti dalla flotta siracusana di re Gerone I. L’esercito siceliota, nel secolo successivo, sottrasse ulteriori territori agli Etruschi, soprattutto nelle aree nord-orientali. Ancor più di Siracusa, però, si stava sviluppando – dal 753 a.C., anno della sua fondazione – in maniera inesorabile una nuova, vicinissima minaccia: Roma.

Roma e la ‘fine’ degli Etruschi

Iniziati già nell’VIII secolo a.C., con l’attacco da parte della città etrusca di Fidene, che riteneva Roma un’ingombrante minaccia, gli scontri furono frequenti nel corso dei secoli. Il confine naturale tra i popoli latini e il futuro grande impero erano delimitati dal Tevere, ma l’Urbe, distante soli 20km, mise nelle proprie mire la città di Veio, ricca, organizzata, dalla posizione estremamente strategica, sia in termini difensivi, sia per il controllo su un attraversamento del biondo fiume. I Romani, che avevano appreso l’arte del combattimento durante la dominazione dei Tarquini, avevano iniziato la propria espansione proprio sotto i grandi re etruschi Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Così, dopo aver sconfitto Sabini, Volsci, Equi, Ernici, Latini e Sanniti, strapparono ai Tirreni Veio nel 396 a.C., seguita da numerosi territori meridionali, in particolare Roselle, nel 294 a.C. Fu quindi il turno di Sutrium, Nepi e Tarquinia e, nonostante oltre due secoli di strenua lotta all’espansionismo del potente, vicino rivale, la Guerra Sociale del 90 a.C. pose di fatto fine – durante l’Età ellenistica (320-27 a.C.) – all’autonomia etrusca, alla cui popolazione fu conferita la cittadinanza romana mediante la lex Iulia dell’89 a.C.