Come approcciare gli studenti introversi: i consigli
Dietro ogni alunno c'è un individuo con le sue debolezze e fragilità: ecco cosa fare per aiutarlo
É uno sconosciuto fino a che non conosciamo le ragioni della sua introversione, che qualcuno chiama timidezza, qualcun altro genericamente definisce “chiusura” a livello caratteriale. Il mestiere di insegnante parte dalle fondamenta dell’osservazione: tanto del gruppo classe che ha di fronte, quanto dei singoli individui che lo compongono. Ecco enunciato uno dei pilastri del compito educativo: rammentare sempre che dietro ogni studente c’è un individuo.
Osservare per capire
I motivi per i quali uno studente interagisce poco o comunque in modo limitato con il gruppo classe possono essere molteplici e derivare da vari fattori: la sua diffidenza nei confronti di una classe che non conosce o con la quale non si trova a suo agio; l’incapacità di stabilire un dialogo con i compagni; il timore nei confronti degli insegnanti; la “scelta” di un comportamento oppositivo o, genericamente, di chiusura nei confronti dell’ambiente scolastico che lo fa sentire (erroneamente) più protetto, meno esposto nelle sue fragilità. Potremmo proseguire, fino a dover contemplare anche comportamenti poco inclusivi da parte della classe stessa, senza necessariamente arrivare a considerare un’azione bullizzante. L’insegnante deve, in ogni caso, considerare ogni evenienza e, di conseguenza, individuare approcci e conseguenti metodologie attraverso le quali coinvolgere lo studente.
Rassicurare lo studente
Gli sforzi del docente in questi casi devono inizialmente orientarsi verso un’azione rassicurante: la ragazza o il ragazzo devono essere convinti, attraverso una serie di approcci che abbiano il minimo comune denominatore dell’inclusività, che l’ambiente scolastico non è loro ostile, anzi; che l’insegnante è lì che non vede l’ora di tirare fuori il meglio della potenzialità dello studente in questione perché è certo delle capacità di quest’ultimo. Il docente deve far capire al discente il paradosso del quale il discente è vittima: i ragazzi con questo tipo di atteggiamento il più delle volte non si ritengono all’altezza di ciò che gli insegnanti hanno già intravisto in loro, ossia delle capacità, in alcuni casi anche piuttosto spiccate, o in ogni caso superiori a quelle che i ragazzi pensano. Come a dire che molte ragazze e molti ragazzi si svalutano da se stessi in partenza, sono scettici rispetto al valore che gli insegnanti attribuiscono loro. Per di più, questo tipo di giudizio preventivo mette loro pressione, una pressione che da scetticismo evolve presto in ansietà: il fatto di non credersi all’altezza di un’attribuzione di valore che genera aspettative, fa sentire lo studente ancora meno all’altezza rispetto a quanto già pensava in partenza.
Autostima, la parola magica
Avere stima di se stessi è una delle doti fondamentali per raggiungere la piena realizzazione degli individui; non in termini di successo, vocabolo per altro arbitrario e “valore” difficile da attribuire perché soggetto al punto di vista individuale, ma di piena conoscenza di sé e delle proprie potenzialità, che passa attraverso la presunzione di essere degni quantomeno di “provare a”, di tentare, di cimentarsi. Una dote fondamentale per la vita in generale, ma che è necessario apprendere sui banchi di scuola, perché la sua scoperta, o riscoperta in alcuni casi, ha il potere di cambiare in modo sostanziale non soltanto il rendimento scolastico dei ragazzi, ma anche la loro visione del mondo esterno, il loro approccio alla vita. Se sui banchi riusciranno a convincersi di potere quantomeno essere in grado di portare a termine in modo proficuo una parafrasi poetica o di risolvere un’equazione matematica, nel prosieguo della loro esistenza saranno quantomeno in grado di accettare l’onere delle varie prove che l’esistenza inevitabilmente pone sul cammino di ognuno di noi.
Dopo questo preambolo, la questione fondamentale è: come mettere in moto nello studente introverso e diffidente il motore dell’autostima? Come attizzare il fuoco che porta a sentirsi all’altezza di imparare proficuamente e di poter poi rendere di conseguenza, a livello scolastico? Non esiste un solo metodo e non può esserci un solo approccio, al contrario devono essere messe in atto diverse strategie e più di un tipo di approccio. Proviamo a elencarli.
- Creare empatia: stabilire un feedback emotivo per mezzo del quale alla ragazza o al ragazzo in questione giunga il messaggio: “Non sei solo”, “Non sei qui per essere freddamente giudicato ma valutato come individuo perché vogliamo innanzitutto conoscerti, perché ha valore quello che sei e che rappresenti, a prescindere. Non sei meno importante di nessuno dei tuoi compagni”.
- Non far percepire alla studentessa o allo studente l’ostilità dell’ambiente scolastico della quale loro sono convinti in partenza; sorprenderli alleggerendo il più possibile il clima durante le lezioni, far sì che si rilassino e sentano di potersi affidare, tanto all’insegnante quanto alla comunità dei compagni. Quanto più si affideranno, tanto più troveranno naturale fare affidamento, sia sugli insegnanti che sui compagni: è in questo modo che la scuola si trasforma in una comunità.
- Generare curiosità, in ogni modo possibile e immaginabile, a proposito delle nozioni che l’insegnante vuole e deve veicolare: avvicinare ogni argomento al vissuto dei ragazzi, per quanto possibile; utilizzare esempi che abbiano elementi in comune con il loro mondo e con il loro modo di essere; sorprendere gli studenti che partono spesso dal presupposto che gli insegnanti siano distanti, che appartengano quasi a un mondo “altro”, che sappiano poco o nulla del mondo dei ragazzi e che, soprattutto, non siano affatto interessati a esso. Spiazzarli, dunque, nella più positiva delle accezioni.
- Veicolare, per quanto possibile, il piacere della conoscenza e, di conseguenza, far considerare le varie prove (compiti, interrogazioni, test) anche attraverso il misuratore della curiosità circa le proprie capacità; non soltanto attraverso la inevitabile ansia che la prova stessa genera, in misura variabile. Questo non intacca per nulla la solennità del test in questione, ma in questo modo si avranno buone probabilità di mettere gli studenti in condizione di rendere meglio durante la prova, di farceli arrivare in una condizione di maggiore rilassatezza.
Le strategie da adottare
- Condivisione del “Problem solving”: rendere lo studente il più possibile partecipe del complesso delle tecniche e delle metodologie necessarie all’analisi di una situazione problematica allo scopo di individuare e mettere in atto la soluzione migliore. Questo servirà a veicolare verso lo studente un ulteriore messaggio di stima: lo si interpella perché si ritiene utile il suo parere, come a dire che gli si chiede, pure nel sacrosanto rispetto dei ruoli, una sorta di consulenza circa l’ottimizzazione del programma di studio.
- Utilizzo diffuso del “Cooperative learning”: lavoriamo assieme per migliorare assieme, tradotto in una più articolata e profonda formula italiana. Insegnanti e studenti e studenti fra loro: un modo per condividere approcci conoscitivi e metodi di studio e, al tempo stesso, per conoscere gli individui che “abitano” dietro i rispettivi ruoli.
- Invitare i ragazzi il più possibile al “Team working”: assegnare ricerche, tesine e vari piani di studio da attuare attraverso lavori di gruppo, affinché i ragazzi cooperino per l’ottenimento dei risultati e per la condivisione delle conoscenze, sempre adottando l’accorgimento di mescolare continuamente i vari gruppi, in modo tale da non creare dei sottogruppi troppo isolati e poco coinvolti rispetto al resto del gruppo classe.
Rotazione sistematica dei posti all’interno dell’aula, allo scopo di far sì che ogni ragazzo abbia modo di conoscere il più possibile ogni compagno di classe, di entrarci in relazione, di abbattere eventuali barriere frutto di pregiudizio o diffidenza.