Il mito delle Sirene di Ulisse
Creature leggendarie, metà donne e metà pesci, da sempre presenti nella tradizione orale mediterranea, furono mirabilmente descritte da Omero, nel XII canto dell’Odissea
Il mito delle Sirene affonda le sue radici nella notte dei tempi, le creature fantastiche, metà donna e metà pesce, appartenenti alla tradizione orale mediterranea e che hanno trovato la loro più importante rappresentazione letteraria nella descrizione che ne fa Omero, che dedica loro il XII canto dell’Odissea.
Secondo la leggenda, le sirene sono il frutto dell’unione tra Acheloo, divinità fluviale, figlio di Oceano, in grado di trasformarsi in esseri fantastici e terribili, e da una delle nove Muse, quella della tragedia, Melpomene, dalla quale ereditano le capacità musicali. Partenope suona la lira, Leucosia il flauto, mentre Ligeia intona canti melodiosi e ammaliatori. Il loro regno viene collocato ora in un gruppo di scogli a sud della penisola sorrentina e a largo delle isole Sirenuse, ora in un’isola nel tratto di mare dello Stretto di Messina compreso tra Scilla e Cariddi.
La descrizione omerica, che non si sofferma sul loro aspetto fisico, abbondantemente noto già all’epoca, si concentra invece sull’orrore che cela il loro canto, che si diffonde da un’isola disseminata di cadaveri in putrefazione.
“Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti/ gli uomini incantano, chi arriva da loro. / A colui che ignaro s’accosta e ascolta la voce/ delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini/ gli sono vicini, felici che a casa è tornato,/ ma le Sirene lo incantano con limpido canto,/adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa
di uomini putridi, con la pelle che raggrinza “
Il mito
Dopo il viaggio nell’Ade, Ulisse ha fatto ritorno da Circe, che lo istruisce sui pericoli che costelleranno il suo ritorno verso Itaca, tra questi le sirene, dalle quali la maga mette in guardia l’eroe acheo: il loro volto affascinante e il loro irresistibile canto sono altrettanti trucchi per attirare in trappola i navigatori, che verranno divorati e le cui ossa si accumuleranno sulla loro scogliera.
Ulisse ascolta i consigli di Circe e li condivide con il suo equipaggio, invitando tutti a turarsi le orecchie con la cera in modo che non ascoltino le suadenti note delle orribili creature e attraversare le insidiosissime acque senza indugi. Per sé, però, Ulisse ha altro in mente.
Spinto dalla sua inesauribile sete di conoscenza, Ulisse non può resiste alla curiosità di ascoltare il canto ammaliatore, ma allo stesso tempo si rende conto di andare incontro ad un terribile destino, così si fa legare all’albero della nave, così anche se davvero finirà nella trappola delle sirene, non finirà tra le loro fauci.
Lo stratagemma ideato da Ulisse funziona, le sirene lo attirano con la promessa di svelargli tutto ciò che accade e che accadrà e lui si dimena e implora con lo sguardo i compagni di sciogliere le funi che lo trattengono, ma Perimede ed Euriloco lo stringono ancora più forte, lasciandosi le creature marine e la loro ingannevole melodia alle spalle.
“Così cantavano modulando la voce bellissima, / e allora il mio cuore voleva sentire,/ e imponevo ai compagni di sciogliermi, coi sopraccigli accennando;/ ma essi a corpo perduto remavano./ E subito alzandosi Perimede ed Euriloco nuovi nodi legavano e ancora più mi stringevano./ Quando alla fine le sorpassammo,/ e ormai né la voce più delle Sirene udivamo,/ né il canto, in fretta la cera si tolsero i miei fedeli compagni, /e dalle corde mi sciolsero”
Analisi
Il misterioso contenuto del canto delle sirene, irresistibile per gli uomini e, lo si capirà, per Ulisse in particolare, viene svelato da Omero, nel passo dell’Odissea compreso tra i versi 184 e 188.
“Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei,/e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce./ Nessuno è mai passato di qui con la nera nave/ senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele,/ ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose”
La nenia delle creature e la sua melodia crea una sorta di dipendenza in chi la ascolta, che stordisce come il loto ed il vino, e cela una falsa promessa di conoscenza, chi si fermerà con loro, andrà via “sapendo più cose”. Parole che tentano un Ulisse dalla curiosità innata, un inganno, perché nessuno è mai ripartito dalla loro isola.
Non è però solamente dalle sirene che Ulisse deve difendersi, ma anche e soprattutto da se stesso e dalle sue passioni più forti. È infatti “l’altro Ulisse”, quello che di innati ha anche l’ingegno e la furbizia, a salvare l’ingenua metà, assetata di sapere, e la sua ciurma, giocando d’anticipo grazie alle rivelazioni di Circe e ingannando anche le sirene. Il detto greco γνῶθι σεαυτόν, “conosci te stesso”, in questo caso, si rivela essere l’arma grazie alla quale superare l’isola delle sirene.
Anche nel IV libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio compaiono le creature marine, che con gli stessi metodi cercano di tendere un agguato a Giasone e al suo equipaggio, di ritorno dalla Colchide con il vello d’oro. Tentativo scongiurato dalla prontezza di Orfeo, che non appena iniziato il mortifero canto, lo sovrasta, intonando con la lira una melodia più dolce. In preda alla frustrazione, le sirene si tolgono la vita gettandosi dalla scogliera e i loro corpi vengono trascinati via dalla corrente. Quello di Partenope giunge sulle rive del fiume Sebeto, dove gli abitanti le danno una degna sepoltura e le dedicano il nome della futura città.
Nel corso del tempo, il mito delle sirene è stato oggetto di interpretazioni e riletture, che dalla figura di doppiogiochiste che seducono gli ignari naviganti, le ha portate ad essere raffigurate come giovani donne che per amore rinunciano alla propria natura marina andando incontro alla morte.
Mostri marini o donne condannate a un amore impossibile, le sirene restano comunque uno dei prodotti più affascinanti e misteriose della fantasia umana e conservano immutato fascino nonostante il trascorrere dei secoli.