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La strage dei proci: cosa accade nel libro XXII dell'Odissea

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Nel Libro XXII dell’Odissea, Omero narra uno degli episodi più intensi e drammatici del poema: la strage dei Proci. Questo evento segna il culmine del lungo viaggio di Ulisse e rappresenta la riconquista del suo regno e della sua famiglia, dopo anni di assenza e sofferenze. La narrazione di questa vendetta è ricca di tensione e simbolismo, offrendo una profonda riflessione sulla giustizia, l’onore e la restaurazione dell’ordine.

La strage dei Proci nell’Odissea: la trama degli eventi

Dopo aver vagato per mare e affrontato innumerevoli pericoli, Ulisse finalmente ritorna a Itaca. Tuttavia, la sua casa è occupata dai Proci, un gruppo di nobili che, credendolo morto, insidiano sua moglie Penelope e dilapidano le sue ricchezze. Per valutare la situazione e pianificare la sua vendetta, Ulisse si traveste da mendicante, entrando incognito nel suo palazzo.

Penelope, per guadagnare tempo e mettere alla prova i pretendenti, indice una gara: chi riuscirà a tendere l’arco di Ulisse e a scoccare una freccia attraverso dodici anelli allineati, avrà la sua mano. Nessuno dei Proci riesce nell’impresa. Ulisse, ancora sotto mentite spoglie, chiede di partecipare alla prova. Con facilità, tende l’arco e compie l’impresa, rivelando così la sua vera identità.

A questo punto, con l’aiuto del figlio Telemaco, del fedele porcaro Eumeo e del bovaro Filotio, Ulisse inizia la sua vendetta. La prima vittima è Antinoo, il più arrogante dei Proci, colpito alla gola mentre beve. Segue Eurimaco, che tenta invano di negoziare la salvezza offrendo ricchezze. La battaglia si intensifica, con Ulisse e i suoi alleati che affrontano i Proci, uccidendoli uno dopo l’altro. Anche il capraio Melanzio, traditore che aveva fornito armi ai Proci, viene catturato e punito severamente.

Dopo la strage, Ulisse ordina di purificare la sala e di giustiziare le ancelle infedeli che avevano collaborato con i Proci. Questo atto finale sancisce la restaurazione dell’ordine e della giustizia nel palazzo di Ulisse.

Chi erano i Proci

I Proci erano un gruppo di 108 nobili provenienti da Itaca e dalle isole circostanti. Durante l’assenza prolungata di Ulisse, si stabilirono nel suo palazzo con l’intento di sposare Penelope e assumere il controllo del regno. La loro presenza non era solo un affronto all’onore di Ulisse, ma rappresentava anche una minaccia concreta alla stabilità politica e sociale di Itaca.

Tra i Proci, spiccavano figure come Antinoo, noto per la sua arroganza e prepotenza, ed Eurimaco, caratterizzato da astuzia e doppiezza. Questi uomini non solo cercavano di conquistare Penelope, ma sfruttavano le risorse del palazzo, banchettando e vivendo nel lusso a spese di Ulisse. La loro condotta era contraria ai valori di ospitalità e rispetto, fondamentali nella cultura greca antica.

La loro presenza prolungata e le loro azioni rappresentavano una profonda violazione dell’ospitalità (xenia), un principio sacro protetto da Zeus. Inoltre, la loro insistenza nel corteggiare Penelope, nonostante la sua resistenza e le sue astuzie per rimandare la scelta di un nuovo marito, dimostrava una mancanza di rispetto per la volontà e la dignità della regina.

Libro XXII dell’Odissea: l’analisi della strage dei Proci

La strage dei Proci nel Libro XXII dell’Odissea è un momento cruciale del poema omerico, ricco di significati simbolici e narrativi. Questo episodio rappresenta non solo il culmine della vendetta di Ulisse, ma anche la restaurazione di un ordine morale, politico e sociale a Itaca, infranto durante la lunga assenza del re.

La vendetta di Ulisse è profondamente radicata nei valori della giustizia divina e del ripristino dell’ordine. I Proci non sono solo intrusi che hanno abusato dell’ospitalità del palazzo, ma sono anche simbolo del caos e della decadenza morale. La loro arroganza e prepotenza, così come la loro insistenza nel conquistare Penelope, li pongono in aperta violazione delle leggi sacre dell’ospitalità, la xenia, protetta da Zeus. In questa luce, la strage assume una dimensione che va oltre la vendetta personale di Ulisse, elevandosi a un atto necessario per ristabilire l’equilibrio voluto dagli dèi.

Dal punto di vista narrativo, l’episodio della strage è il risultato di una lunga preparazione. Il travestimento di Ulisse da mendicante non è solo un espediente per nascondere la sua identità, ma anche un mezzo per raccogliere informazioni e valutare la fedeltà dei suoi servitori e la colpevolezza dei Proci. Questo stratagemma mette in evidenza una delle qualità fondamentali di Ulisse: la sua astuzia, che gli consente di affrontare situazioni complesse con intelligenza e pazienza. La capacità di Ulisse di controllare le sue emozioni e di pianificare con precisione dimostra che la sua forza non risiede solo nel combattimento, ma anche nella sua mente acuta.

Un altro aspetto centrale di questo episodio è la partecipazione di Telemaco. Il figlio di Ulisse, che per lungo tempo ha vissuto nell’ombra del padre, dimostra il proprio valore combattendo al suo fianco. La sua partecipazione alla strage non è solo un gesto di fedeltà, ma rappresenta anche il passaggio all’età adulta e l’assunzione delle responsabilità di erede legittimo. Attraverso questa prova, Telemaco si afferma come futuro re di Itaca, garantendo la continuità della linea familiare.

La violenza della strage non è priva di ambiguità. L’uccisione dei Proci è narrata con dettagli crudi, che evidenziano la brutalità della vendetta. Tuttavia, Omero non giustifica né condanna apertamente le azioni di Ulisse, lasciando spazio a una riflessione sul significato della giustizia e sulle sue implicazioni morali. La punizione delle ancelle infedeli, ad esempio, solleva interrogativi sulla responsabilità e sul perdono, poiché queste donne, pur avendo tradito Ulisse, sono state in parte vittime delle circostanze.

La figura di Ulisse emerge in tutta la sua complessità. Egli non è un eroe idealizzato, ma un uomo che agisce con determinazione per proteggere ciò che gli appartiene. La sua vendetta, pur giustificata dal contesto, rivela anche un lato spietato e implacabile. Questo aspetto umanizza il personaggio, rendendolo più vicino al lettore e più rappresentativo delle sfide morali che ogni individuo può affrontare.

La strage dei Proci può essere letta anche come una rappresentazione del trionfo della civiltà sul caos. I Proci, con il loro comportamento sconsiderato, rappresentano il disordine e la mancanza di rispetto per le leggi divine e umane. Ulisse, con la sua azione, ristabilisce l’ordine non solo nel palazzo, ma in tutta Itaca. La purificazione del luogo, simbolica e materiale, segna la fine di un’epoca di disgregazione e l’inizio di un nuovo capitolo per la famiglia reale e il regno.

Infine, l’episodio si collega al tema più ampio dell’Odissea: il ritorno e la riconquista. La strage dei Proci non è solo un atto di vendetta, ma un passo necessario affinché Ulisse possa riappropriarsi della sua identità di re, marito e padre. Questo momento chiude il cerchio della sua lunga odissea, riportandolo al punto di partenza, ma con una nuova consapevolezza di sé e del mondo.