Salta al contenuto

Telemaco alla ricerca di Ulisse

Il figlio di Odisseo e Penelope affronterà un lungo viaggio per riabbracciare il padre, ma lo ritroverà solamente ad Itaca. Omero tocca vette altissime nella descrizione dell’incontro

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

I libri dal I al IV dell’Odissea sono note come quelli della Telemachia, perché dopo la classica invocazione alla musa ispiratrice per la buona riuscita del poema, Omero dedica la prima parte della sua opera non già al protagonista, Ulisse, ma al di lui figlio, Telemaco, ed al suo viaggio alla ricerca del padre. Una scelta funzionale da parte dell’autore, che nel corso di tutto il lungo prologo all’ingresso dell’eroe, mette in relazione il suo ritorno con l’intensità con la quale il figlio sarà capace di volerlo.

La spinta a partire da parte di Atena

Nel II libro dell’Odissea, Telemaco sta vivendo una situazione indefinita, che gli procura un angosciante senso di inquietudine. Il padre non c’è più ormai da anni e non si sa neanche se sia ancora vivo, mentre la madre cerca in ogni modo di tenere a bada i pretendenti. Il ragazzo si trova così sospeso tra quello che sembrerebbe essere il “non più", ossia il tempo del padre, e il “non ancora", il suo di tempo, come successore del padre e figura di adulto, in grado di prendersi certe responsabilità.

In aiuto di Telemaco, sotto le mentite spoglie di Mentore, è Atena ad intervenire per sbloccare la situazione, spingendo il giovane a prendere quella decisione che già sta meditando, partire alla ricerca del padre.

Telemaco, mai vile e sciocco sarai, / se pure hai del padre la nobile forza, / com’era lui per compiere imprese o promesse: vano dunque o incompiuto non potrà esserti il viaggio. / Se invece non fossi figlio di lui e di Penelope, / allora non spero che compirai quanto mediti. / In verità pochi figli sono simili al padre; / i più son da meno, pochi migliori del padre. / Ma siccome tu mai sarai sciocco e vile, e davvero l’ingegno d’Odisseo non ti manca, / c’è dunque speranza che tu compia l’impresa"

La Telemachia

Dieci lunghi anni sono ormai trascorsi dalla guerra di Troia e Telemaco, ormai adolescente, non può più sottrarsi dal guardare in faccia la realtà. Suo padre, Ulisse, è disperso, e il suo palazzo di Itaca è assediato dai proci, i nobili dell’isola, che aspirano al trono e alla mano di sua moglie Penelope. Che resiste come può, prendendo ancora tempo e vincolando la sua decisione di prendere nuovamente marito al termine del sudario che sta tessendo per il suocero Laerte. Tela che Penelope ogni notte disfa, nella speranza del ritorno del legittimo consorte.

Finalmente consapevole della gravità della situazione, il giovane Telemaco, ispirato da Atena, decide di rompere gli indugi e partire alla ricerca del padre.

Intanto, però, Ulisse è prigioniero da otto anni della ninfa Calipso e impossibilitato in ogni caso a far ritorno ad Itaca, perché Poseidone, dio del mare, è in collera con lui per aver accecato suo figlio Polifemo. Ma è ancora una volta Atena ad intervenire, sollecitando un concilio tra gli dei in assenza di Poseidone, impegnato in un banchetto in suo onore, e ottenendo dal padre Zeus l’autorizzazione a ricondurre il suo protetto in patria. Compito che verrà assolto da Ermes, che convincerà la ninfa a lasciar andare il suo ‘ospite’.

Il primo approdo di Telemaco è a Pilo, accolto da Nestore, uno dei reduci di Troia e degli eroi della guerra di Sparta, tramite il quale il figlio di Ulisse, accompagnato da Pisistrato, si reca dal sovrano degli spartani, Menelao, che gli rivela di aver saputo da Proteo, divinità marina, che il padre è tenuto prigioniero sull’isola di Ogigia.

Nel frattempo, Agamennone è stato ucciso dalla moglie Clitemnestra e dal suo amante Egisto, mentre i proci hanno ordito un agguato da mettere in atto al ritorno di Telemaco, del quale Penelope viene a conoscenza, cadendo in preda all’angoscia, fino all’ennesimo inserimento di Atena, che la rassicura in sogno.

Si ferma qui la Telemachia, utile ad Omero per accostare i due personaggi, il figlio ed il padre, Telemaco, coraggioso e pronto ad affrontare il suo destino con orgoglio e consapevolezza, e Ulisse, la cui personalità traspare proprio dai primi libri dell’Odissea, pronto ad entrare in scena dal V capitolo.

L’anagnorisis, il “riconoscimento"

Telemaco torna protagonista nel XVI libro dell’Odissea, con l’incontro con quel padre cercato in lungo e in largo, una delle vette più alte del poema, in cui Omero descrive l’ ἀναγνώρισις, letteralmente il “riconoscimento", ancora una volta tormentato nella stupefacente descrizione degli stati d’animo dei protagonisti.

“[…] gli diede giovinezza e prestanza; / d’un tratto fu bruna la pelle, le guance si stesero, / nera divenne intorno al mento la barba" (XVI 174-176)

Ulisse è tornato ad Itaca, mutato nell’aspetto dal solito provvidenziale intervento di Atena, che lo invita a rivelarsi al figlio. È il porcaro Eumea ad offrire la sua capanna come luogo del ricongiungimento familiare.

Telemaco, inizialmente, resta sconcertato alla visione del genitore e lo scambia per un dio, ma Ulisse lo rassicura sulla sua identità e lo bacia scoppiando in lacrime.

Non sono un dio, no: perché m’assomigli agli eterni? / Il padre tuo sono, per cui singhiozzando / soffri tanti dolori per le violenze dei prìncipi" (vv. 187-189)

La comprensibile reazione di Telemaco è però improntata all’incredulità, che non può che cessare di fronte al rimbrotto paterno.

Telemaco, non va che tu, avendo qui il caro padre tornato, / lo guardi stordito, con troppo stupore. / Un altro Odisseo non potrà mai venire, / perché son io, proprio io, che dopo aver tanto errato e sofferto, / arrivo dopo vent’anni alla terra dei padri. / E questa è azione d’Atena, la Predatrice, / che mi fa come vuole, e può farlo, / a volte simile a un mendicante, altre volte / a un uomo giovane, con belle vesti sul corpo: / facile i numi, che il cielo vasto possiedono, / fare splendido o miserabile un uomo mortale" (vv. 201-212)

Il dubbio si dissolve

A questo punto, Telemaco non può più nutrire dubbi, l’uomo di fronte a lui è suo padre Ulisse, quel vuoto che sembrava incolmabile è finalmente riempito. E il figlio, finalmente, può abbracciare il padre.

A entrambi nacque dentro bisogno di pianto: / piangevano forte, più fitto che uccelli, più che aquile / marine o unghiuti avvoltoi, quando i piccoli / ruban loro i villani, prima che penne abbian l’ali: / così misero pianto sotto le ciglia versavano" (vv. 215-219).

Il momento in cui Ulisse e Telemaco si ritrovano nella capanna di Eumeo è anche il punto d’incontro dei due filoni della narrazione, con il padre che torna al suo ruolo di re e marito ed il figlio, ormai pronto a riceverne l’eredità.