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Ulisse, storia e descrizione del protagonista dell'Odissea

Conosciuto anche col nome di Odisseo, da cui il nome dell'omonima opera attribuita ad Omero, è un personaggio della mitologia greca, eroe acheo, re di Itaca, pronipote del messaggero degli dèi Ermes, da parte di madre, e discendente di Giove, da parte di padre. Estremamente legato alla sua terra, non abbandonò mai la speranza di poter rivedere la sua casa e la sua famiglia

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Il vero di nome di Ulisse, epiteto datogli dai Romani che significa “ferito a un’anca”, probabilmente dopo una battuta di caccia al cinghiale, è in realtà Odisseo, cioè “colui che odia” o “colui che è odiato”, forse entrambi, o ancora, secondo alcuni, “il piccolo”, a causa della sua statura minuta. Marito di Penelope e padre di Telemaco (e, secondo altre versioni, di Telegono, avuto dalla maga Circe), secondo il mito è figlio del re di Itaca Laerte e di Anticlea, anche se un’altra tradizione attribuisce la paternità al grande ingannatore degli dèi Sisifo.

Ulisse nell’immaginario collettivo

Nonostante le ‘origini divine’, Ulisse viene raccontato in perenne contrasto con gli ‘Olimpi’, in particolare Poseidone, causa delle sue innumerevoli peripezie. Per tenere testa ad entità sovrannaturali, così come a potenti comuni mortali, Omero descrive un personaggio dotato – oltre che di grande valore, coraggio, forza d’animo, prontezza di spirito e sangue freddo – di un’intelligenza e una furbizia fuori dal comune, ‘skills’ eccezionali che gli permetteranno di uscire indenne anche dalle situazioni più disperate. Tra le sue infinite qualità, che affascineranno anche Dante Alighieri, al quale dedicherà un canto nella Divina Commedia, figurano poi la ricchezza di risorse, non solo materiali, l’imprevedibilità e la sete di conoscenza. Comparso per la prima volta nell’Iliade al fianco di Achille e dei re achei (il famoso inganno del cavallo di Troia permise l’invasione della città), è il protagonista dell’altro grande poema epico attribuito ad Omero: l’Odissea.

Ulisse, la partenza da Troia

L’Odissea narra fatti cronologicamente successivi a quelli con cui si conclude l’Iliade, con la guerra di Troia terminata da un decennio, un evento che, come descritto nel primo poema omerico, Ulisse tentò di evitare fingendosi in preda alla follia, in quanto un oracolo gli aveva predetto – in caso di partenza per l’offensiva militare – un ritorno nell’amata Itaca soltanto venti anni dopo e in condizioni di miseria. Quello che può essere considerato uno dei primi ‘sequel’ della storia ha inizio con una ‘panoramica’ della sua famiglia: in particolare, sul figlio Telemaco, ormai 20enne ed avvicinato da Atena nelle vesti di uno straniero di nome Mente, che lo incoraggiò a mettersi alla ricerca del padre, e sulla moglie Penelope, ‘pressata’ dai Proci affinché si risposasse, ai quali promise che avrebbe scelto uno di loro una volta terminato il sudario per il suocero Laerte, che disfaceva, però, puntualmente ogni notte. Nel frattempo, Odisseo, al termine di numerose peripezie, era ‘prigioniero’ di Calipso da ormai sette anni, di lui perdutamente innamorata, sull’isola di Ogigia. Riuscì ad ‘evadere’ con l’aiuto di Ermes, che convinse la bellissima ninfa a lasciarlo andare, ma la zattera che si costruì – a causa dell’avversione nei suoi confronti di Poseidone – rimase vittima di un naufragio, con il protagonista che riuscì a mettersi miracolosamente in salvo a nuoto, raggiungendo Scheria. Qui, nudo ed esausto, venne svegliato dalle risate di alcune ragazze, tra cui Nausicaa, figlia di Arete e del re dei Feaci Alcinoo, che lo accolsero amichevolmente e senza indugio alcuno. Nel Palazzo Reale ebbe modo di ascoltare i poemi del cantore cieco Demodoco, che narrava le gesta di un eroe che sconfisse i troiani con l’astuto stratagemma del cavallo e Ulisse, in preda ad un mix di sentimenti, tra orgoglio e nostalgia, rivelò la propria identità, iniziando così a raccontare il suo viaggio di ritorno dalla città.

Le avventure di Ulisse

Dopo aver saccheggiato Ismara, antica città della Tracia dominata dai Ciconi, Ulisse – e le dodici navi della sua flotta – persero la rotta, giungendo nella terra dei Lotofagi, sulle coste dell’attuale Cirenaica, per esser poi catturati dal ciclope Polifemo, figlio di Poseidone. Riuscito a liberarsene, accecandolo nell’unico occhio dopo averlo fatto ubriacare, ed affermando di chiamarsi ‘Nessuno’, in modo da farlo così rispondere alla domanda ‘Chi è stato?’ posta dagli altri giganti, Ulisse e i compagni sopravvissuti si recarono alla reggia di Eolo, dal quale ricevettero un otre contenente quasi tutti i venti, un dono che avrebbe dovuto permetter loro un confortevole ritorno a casa. Un’eventualità spazzata via dall’improvvida mossa di alcuni marinai di scoperchiarlo, causando una tempesta che ricacciò indietro le navi. Chiesto invano un nuovo aiuto a Eolo, finirono nella terra dei Lestrigoni, dei mostruosi cannibali che infilzarono come spiedi quasi tutti gli uomini di Ulisse. La sua nave, infatti, fu l’unica ad evitare l’atroce destino e a salpare verso l’isola di Circe, che trasformò in maiali quel che restava dei suoi compagni d’avventura. Egli, invece, riuscì ad evitare tale sorte grazie ad una pozione fornitagli da Ermes. Divenuto l’amante della maga, dopo un soggiorno di circa un anno, la convinse a riportare la sua ciurma alle sembianze naturali, solcò nuovamente i mari e finì in una baia all’estremo limite occidentale del mondo conosciuto, nella terra dei Cimmeri. Qui invocò i morti al fine di conoscere il proprio futuro dallo spettro dell’antico indovino Tiresia, ma ebbe anche modo di incontrare la madre, defunta di crepacuore per la sua assenza, Agamennone, ucciso dalla moglie Clitennestra, Achille, Aiace Telamonio (che si rifiutò di parlargli) e numerosi altri spiriti, riuscendo ad avere un quadro completo di quanto stava accadendo ad Itaca. Tornati da Circe, che li mise in guardia dalle nuove insidie che avrebbero trovato sul proprio cammino, riuscirono a superare indenni sia gli scogli delle Sirene – delle quali volle ascoltare l’ammaliante canto facendosi legare all’albero della nave e facendo al contempo cospargere di cera le orecchie dei suoi marinai – sia l’attuale Stretto di Messina, ‘dominato’ dal mostro dalle innumerevoli teste Scilla e dal gorgo Cariddi, sostando quindi a Trinacria, conosciuta oggi col nome di Sicilia. Un nuovo terribile nubifragio, però, attendeva la nave di Ulisse, causato dall’ennesima imprudenza dei suoi uomini, che – ignorando gli avvertimenti di Tiresia e di Circe – si cibarono di alcuni capi della sacra mandria del dio del sole Helios, causando la sua ira, ‘ben accolta’ da Poseidone. Morirono tutti, tranne Odisseo, trasportato dalle onde da Calipso.

Ulisse, il ritorno a Itaca

La narrazione torna ora al punto di partenza, con i Feaci che, ascoltata con grande interesse la sua storia, ed essendo un popolo di grandi navigatori, decisero di aiutarlo a far ritorno a casa. Così, mentre era addormentato, fu condotto ad Itaca, trasformato da Atena in un mendicante per non essere riconosciuto. Si incamminò dal guardiano dei Proci Eumeo, che gli era rimasto fedele nonostante fossero passati così tanti anni, parlò quindi con i suoi braccianti, raccontando storie false circa le sue origini cretesi, una lunga permanenza alla corte del re d’Egitto e di essere approdato in questo luogo sconosciuto a causa di un nubifragio. Nel frattempo, di ritorno da Sparta, Telemaco scampò ad un agguato dei Proci e, raggiunta Itaca, si recò anch’egli da Eumeo. Non alla presenza di quest’ultimo, Odisseo, sotto mentite spoglie, si rivelò al figlio, pianificando insieme l’attacco ai giovani nobili della città. Fece un sopralluogo al fine di definire i dettagli dell’operazione, venne travolto dalle feste del cane Argo, che morì dall’emozione di aver rivisto il suo padrone, e rivide la moglie Penelope, che tutta via non lo riconobbe, a differenza dell’anziana nutrice Euriclea, che notò immediatamente un’inconfondibile cicatrice sul ginocchio e alla quale chiese di mantenere il segreto. Il dì seguente, quindi, Penelope – su suggerimento di Atena – invitò i Proci a partecipare ad una gara: in palio c’era la sua mano. Dovendo utilizzare l’arco di Ulisse, l’unico in grado di tenderlo, fallirono tutti miseramente. Il legittimo proprietario, ancora nelle vesti di mendicante, chiese a questo punto di partecipare, suscitando l’ilarità generale. Ovviamente, superò la prova abilmente e, mentre i nobili restavano esterrefatti, li uccise uno ad uno, con il prezioso aiuto di Telemaco. Giunse quindi il momento di rivelarsi alla moglie che, estremamente titubante, si convinse dopo aver sentito la perfetta descrizione del letto da lui stesso costruito per suggellare il loro matrimonio. Il giorno dopo andò dal padre Laerte, che volle anch’egli una prova: un racconto dettagliato del frutteto che un tempo gli aveva donato. L’ultima sfida che dovette affrontare Ulisse fu la rivolta popolare, che lo accusarono di aver distrutto due intere generazioni, dai marinai morti durante il lungo viaggio allo sterminio dei Proci loro figli. Anche in questo caso, provvidenziale fu l’intervento di Atena, che li convinse a desistere. Riportata la pace, Ulisse riprese così il proprio posto sul trono di Itaca.