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Homo Sapiens, storia e origini del nostro antenato

Con tale termine latino s'intende il primate della famiglia degli ominidi, o delle grandi scimmie, comparso tra i 200 e i 130mila anni fa: l'uomo moderno

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

I ‘Sapiens’ sono l’unica specie vivente tra le sette sottotribù Hominina del genere Homo tuttora esistente. Se è ampiamente dimostrata la sua presenza oggigiorno, non è altrettanto semplice stabilirne la comparsa: secondo alcune teorie apparvero intorno ai 130mila anni fa, ma alcuni ritrovamenti in Etiopia, sottoposti poi a tecniche come la datazione radiometrica, hanno indotto i ricercatori a spostare indietro il loro ‘arrivo’ di almeno 65mila. C’è meno dibattito, invece, per quanto riguarda il periodo migratorio dall’Africa e la successiva ‘colonizzazione’ dell’intero pianeta, partendo da un ‘corridoio’ che portava in Medio Oriente: questi eventi, con tutta probabilità, iniziarono tra i 65 e i 75mila anni fa, in concomitanza con un evento tuttora sconosciuto che provocò una fortissima riduzione della popolazione globale. Ad ogni modo, la diffusione invasiva e ubiquitaria dell’Homo Sapiens ebbe un grandissimo impatto su tutti gli ambienti, oltre che sul clima.

Homo Sapiens, l’evoluzione

La famiglia degli ominidi – la sottotribù Hominina, progenitrice comune agli scimpanzé – si è evoluta nel tempo da una popolazione di primati stanziatasi nella Rift Valley, in Africa, tra i 5 e i 6 milioni di anni fa. Tra i 2,2 e i 2,3 il genere Homo si è differenziato dall’Australopithecus e le prime specie – l’Homo ergaster, poi evolutosi in Homo erectus – si spostò seguendo le coste e si diffuse in tutte le aree tropicali, anche le più inospitali, cacciando scimmie, scoiattoli e altri piccoli mammiferi (come dimostrano alcuni studi condotti in Sri Lanka). Con i primi processi di migrazione, detti ‘Fuori dall’Africa 1’, si spostò in Eurasia, dando vita all’Homo Heidelbergensis e all’Homo di Neanderthal. Secondo la teoria più diffusa, che potrebbe tuttavia essere messa in crisi dal ritrovamento nelle grotte di Sima de los Huesos, in Spagna, di un Homo vissuto 400mila anni fa, gli ominidi rimasti nel continente si evolsero in Homo Sapiens. Quindi, una successiva fase migratoria, ‘Fuori dall’Africa 2’, permise loro di conoscere le specie precedentemente sviluppatesi, come i Denisoviani in Asia orientale e i Neanderthaliani in Eurasia occidentale e in America, prima di ‘vincere’ la battaglia per la sopravvivenza e condannarli all’estinzione.

Vita e abilità dell’Homo Sapiens

Dalla corporatura tozza, il cervello molto sviluppato, le mani robuste e i forti denti adatti a strappare la carne a morsi, ma mosso anche dalla curiosità di comprendere, influenzare e, se possibile, manipolare i fenomeni naturali, l’Homo Sapiens acquisì le conoscenze raggiunte dall’Homo erectus e le ampliò ulteriormente: ad esempio, comprese il valore del fuoco ed imparò a domarlo, prolungarlo e generarlo. La più grande invenzione, però, è sicuramente quella del linguaggio: in quanto animale sociale all’interno di un gruppo in cooperazione, ma anche in competizione con altri, si ritrovò ‘costretto’ a ideare sistemi di comunicazione per l’espressione, l’organizzazione e lo scambio di idee. L’interazione sociale aumentò e si perfezionò negli anni, parallelamente allo sviluppo di grandi unioni – politiche, scientifiche, economiche – e fungerà da base per la nascita di tradizioni, rituali, regole e norme comportamentali, morali e sociali, sopravvissute – fra mille modifiche – fino alla moderna società umana. Erano nomadi e vivevano in gruppo, cosa che gli permise di praticare la caccia ai grandi mammiferi come mammut, bisonti e orsi, ma erano perfettamente in grado anche di pescare nei fiumi. Nelle stagioni più calde vivevano in tende costruite con rami e tronchi e coperte dalle pelli di animale, mentre in quelle più fredde si radunavano numerosi in caverne riscaldate dal fuoco. Abbiamo una traccia di questa particolare abitudine invernale grazie alle pitture rupestri del Paleolitico superiore ritrovate nelle grotte di Altamira, in Spagna, che ci forniscono importantissimi elementi anche riguardo le tecniche di caccia e l’utilizzo di utensili, realizzati con ossa e corna di animali. Le donne, invece, si dedicavano nel frattempo al confezionamento di abiti e alla raccolta di frutta ed erbe. All’Homo Sapiens si deve anche il culto e il seppellimento dei morti: credendo probabilmente in una vita ultraterrena, imparò a deporre i defunti in posizione rannicchiata all’interno di una fossa nella quale venivano posti anche alcuni oggetti e fiori, come a rendere omaggio al compagno appena perso. L’ultima Era glaciale, datata all’incirca 12mila anni fa, contribuì invece all’evoluzione culturale dei Sapiens: l’agricoltura sostituì la caccia e la pesca, il nomadismo lasciò posto ai primi nuclei di villaggi e, tra il Neolitico e l’Età dei metalli, comparve la scrittura, evento che segna la fine della preistoria.

Homo Sapiens, le sottospecie

L’Homo Sapiens è monotipico, è cioè un genere con una sola specie: la nostra. In passato sono state proposte delle ramificazioni, ma il dibattito è tuttora in corso in quanto, specie, sottospecie e paleosottospecie, sono termini convenzionali e non delle differenziazioni oggettivamente calcolabili. Ad ogni modo, alcuni antropologi tendono a distinguere l’Homo sapiens sapiens, cioè l’uomo moderno, dall’Homo sapiens idaltu, che si sarebbe invece estinto. Ma l’argomento, vastissimo, abbraccia anche i Neanderthal e l’Homo Heidelbergensis, entrambi considerati tanto una specie, quanto una sottospecie. Il problema principale deriva dalla difformità di informazioni relativa alla possibile ibridazione fra Neanderthal e Sapiens: la teoria secondo cui fu pressoché nulla sta facendo sempre più spazio a quella della ‘commistione genetica’, al punto che la ricerca Archeogenetiche di Svante Pääbo del Max Planck Institute ha dimostrato che circa il 70-80% del genoma Neandertaliano è ancora presente attualmente nell’umanità, fino al 5% circa nel DNA degli eurasiatici.