Utilitarismo e felicità: la concezione etica di John Stuart Mill
Riprendendo la teoria etica sviluppata dal suo predecessore Jeremy Bentham, relativizzò la quantità di piacere al grado di raffinatezza dell'individuo
Il pensiero di John Stuart Mill
John Stuart Mill – nato a Londra il 20 maggio 1806 e morto ad Avignone l’8 maggio 1873 – è stato un filosofo ed economista britannico, membro del Partito Liberale e tra i massimi esponenti del liberalismo e dell’utilitarismo, la teoria etica sviluppata dal suo predecessore Jeremy Bentham, di cui il padre James fu amico e seguace. Mill, però, se ne distaccò, adottando un approccio più liberale e meno fedele al consequenzialismo, auspicando che tale criterio, inteso come maggior benessere per il maggior numero di persone, potesse guidare le riforme necessarie per una più equa distribuzione della ricchezza. Anche Mill, come il suo mentore, era convinto che l’egoismo fosse congiunto all’altruismo, in quanto la felicità umana deriva anche dalla felicità dei propri simili e dalla promozione della stessa. Nel celebre saggio ‘Sulla libertà’ del 1859, uno dei capisaldi della cultura filosofica della società moderna, sostiene che un individuo è libero di raggiungere la propria felicità come meglio crede e che nessuno possa costringerlo a fare altro con la motivazione che ciò sia meglio per lui, ma potrà – al massimo – limitarsi a fornire dei consigli. L’unico caso in cui l’umanità è legittimata ad interferire sulla libertà d’azione è quando la libertà di uno provochi danno a qualcun altro: è, pertanto, giustificata ad agire al solo scopo di proteggersi. In questo contesto s’inserisce l’azione di uno Stato che può indirizzare la vita degli individui nel caso in cui il comportamento di uno di essi danneggi gli altri.
Cos’è l’utilitarismo
L’utilitarismo, secondo la definizione coniata da Jeremy Bentham, è l’utilità intesa come “ciò che produce vantaggio e che rende minimo il dolore e massimo il piacere“. Nella sua opera del 1861 intitolata, appunto ‘Utilitarismo’, Mill relativizzò, invece, la quantità di piacere al grado di raffinatezza dell’individuo. Mantenendo l’analisi al livello individuale, un agente posto di fronte a una scelta tra N alternative sarà portato a scegliere quella che ne massimizza la felicità (utilità). Tale analisi, tuttavia, è estendibile anche a livello complessivo in quanto, nella formulazione originaria, l’utilità è una misura cardinale (o additiva) della felicità: essa, pertanto, è aggregabile mediante l’operazione di somma, rendendo possibile misurare il “benessere sociale”, definito come somma delle singole utilità degli individui appartenenti alla società. L’utilità si trasforma così nel perno del ragionamento etico e la sua diretta applicazione è che diversi stati sociali (nel senso di welfare state) risultano comparabili a seconda del livello di utilità globale da essi generati, intesi come aggregazione del grado di utilità raggiunto dai singoli. La finalità della giustizia è la massimizzazione del benessere sociale (cioè, la massimizzazione della somma delle utilità dei singoli) e ciò rende l’utilitarismo una teoria della giustizia secondo la quale è “giusto” compiere l’atto che, tra le alternative, massimizza la felicità complessiva, misurata tramite l’utilità, senza prendere in considerazione aspetti quali la moralità dell’atto, la doverosità o l’etica supererogatoria. Inoltre, avendo definito “giusto” ciò che massimizza l’utilità, ne deriva una visione di giustizia di tipo allocativo, dove la giustizia è definita come la gestione efficiente dell’utilità sociale. In altre parole, si può affermare che l’utilitarismo sia una dottrina dell’obbligo morale (perché, di fronte a diverse prospettive d’azione, impone la scelta di quella che produce più benessere), del valore morale (perché un atto ha valore morale se produce benessere), prescrittiva (perché indica agli uomini quel che essi devono fare), al tempo stesso descrittiva (perché cerca di indicare le motivazioni interiori che spingono gli uomini ad agire, cioè la ricerca del benessere e della felicità) e monistica (perché indica un unico criterio – la promozione dell’utile – quale motivazione dell’azione). In chiave contemporanea, invece, l’utilitarismo è caratterizzato dal consequenzialismo (la giustificazione di una scelta dipende dal risultato, in termini di utilità-felicità, che comporta per gli esseri sensibili), dal welfarismo e dall’assioma dell’ordinamento-somma (secondo il quale va massimizzata la somma totale delle utilità individuali dei soggetti coinvolti) e si distingue per il suo carattere universale (poiché l’utilità massimizzata deve andare a vantaggio del maggior numero possibile di individui).