Enrico IV: riassunto e commento dell'opera
Capolavoro teatrale di Luigi Pirandello, è uno studio sul significato della pazzia e sul complesso rapporto tra personaggio e uomo e tra finzione e verità
Enrico IV, il riassunto
Dramma in tre atti di Luigi Pirandello, ‘Enrico IV’ fu scritto nel 1921 e rappresentato il 24 febbraio 1922 al Teatro Manzoni di Milano. Insieme a ‘Sei personaggi in cerca d’autore’, è considerato uno dei capolavori del drammaturgo, scrittore e poeta siciliano, Premio Nobel per la letteratura nel 1934, e può essere definito uno studio sul significato della pazzia e sul complesso rapporto, pressoché inestricabile, tra personaggio e uomo e tra finzione e verità. L’opera, ambientata nei primi anni del Novecento, parla di un nobile che partecipa a una cavalcata in costume, nella quale impersona l’imperatore Enrico IV di Franconia. Alla messa in scena prendono parte anche la donna di cui è innamorato, cioè Matilde Spina, nei panni di Matilde di Canossa, e il suo rivale in amore, Belcredi. È proprio quest’ultimo a disarcionarlo e, cadendo, batte violentemente la testa a terra, e le conseguenze sono terribili: il protagonista, infatti, si convince di essere realmente il personaggio storico che stava impersonando. La follia dell’uomo, tuttavia, viene assecondata dai servitori che il nipote Di Nolli, il figlio della sorella, mette al suo servizio al fine di alleviargli le sofferenze. Ad Enrico serviranno dodici lunghissimi anni per guarire e comprendere che Belcredi, in realtà, lo ha fatto cadere di proposito, mosso dal desiderio di ‘rubargli’ l’amore di Matilde. A questo punto, decide di mantenere socialmente lo status quo, fingendosi ancora pazzo, spinto dalla necessità di immedesimarsi nella sua maschera con l’obiettivo di non vedere – ed affrontare – una realtà troppo dolorosa. Due decenni esatti dopo la caduta, Belcredi, Matilde, sua figlia Frida, Di Nolli (nel frattempo fidanzatosi con quest’ultima) e uno psichiatra, particolarmente interessato a studiare il suo caso, vanno a trovare Enrico IV. Così, il protagonista dice loro che, per tornare in sé, potrebbe essere utile provare a ricostruire la stessa situazione di venti anni prima, ripetendo la caduta da cavallo. La scena viene così allestita, con una sola differenza: al posto di Matilde recita Frida. Enrico IV, quindi, si ritrova di fronte la ragazza, una ‘copia’ incredibile della madre da giovane, la donna che aveva sempre amato e per la quale prova tuttora i medesimi sentimenti. Pertanto, in maniera del tutto inconsapevole, sente un istinto irrefrenabile di abbracciarla, trovando però l’opposizione di Belcredi, che voleva evitare a ogni costo tale gesto. Enrico IV, allora, sguaina la propria spada e ferisce il rivale. Per scappare definitivamente alla realtà, oltre che alle conseguenze delle sue azioni, decide di continuare a far credere a tutti di essere pazzo fino alla fine dei suoi giorni, con Belcredi che, portato via poco prima di morire, urla ai presenti che Enrico è in realtà guarito e che sta soltanto fingendo.
Enrico IV, il commento
L’opera fu scritta appositamente per Ruggero Ruggeri, appartenente alla compagnia del Teatro d’Arte di Roma fondato da Luigi Pirandello a Roma: “Senza falsa modestia, l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte”, scrisse il drammaturgo siciliano in una lettera inviata a quello che fu uno degli attori più noti dell’epoca. Il personaggio di Enrico IV, del quale non viene mai svelato il vero nome, è descritto minuziosamente, non solo come una vittima della follia, prima vera e poi simulata, ma anche come un uomo incapace di adeguarsi a una realtà che non gli piace e che non gli si addice, restando imprigionato all’interno di una maschera. L’ambientazione del dramma è l’emblema della mendace situazione, che oscilla inesorabilmente tra la realtà e la finzione: la reggia – palesemente finta – dove il protagonista risiede, così come la costruzione drammaturgica dell’insieme, proiettano il personaggio in un passato ormai perduto, che si contrappone al presente che non può vivere con la sua vera identità e al futuro ‘negatogli’, in quanto considerato pazzo, nonché privato dal rivale Belcredi dell’amore di Matilde. Da un punto di vista completamente opposto, tuttavia, è proprio la fissità della forma nella quale è rinchiuso a rappresentare una via di salvezza, soprattutto grazie alla sua lucida capacità di estraniarsi dalla vita reale, da chi lo circonda e dai suoi stessi sentimenti. Una volta guarito, infatti, cerca di dimostrare quanto false e ipocrite siano le vite degli altri personaggi e la stessa morte di Belcredi, più che una vendetta per gelosia, simboleggia il suo bisogno esasperato di un netto taglio con il passato perduto. Al tempo stesso, la sua scelta di continuare a fingersi pazzo, più che un modo per sfuggire alle conseguenze giudiziarie, altro non è che la sua unica possibilità di ottenere la ‘libertà’: l’illusione di aver recuperato di colpo venti anni di vita persi, generatagli dalla vista della giovane figlia di Matilda, dura pochissimo e rifugiarsi di nuovo nella pazzia gli permette di tenere a bada turbamenti, tristezza e rimpianti. La genialità di Pirandello è stata proprio questa sublime dicotomia tra sensatezza della follia e finzione della realtà, un punto di rottura all’interno di un’opera che, comunque, è perfettamente coerente con le tematiche del primo Novecento: Enrico, infatti, è un personaggio del suo tempo, metafora dell’uomo moderno con tutte le sue problematiche, un emarginato sociale come Des Esseintes di ‘Controcorrente’ di Joris Karl Huysmans o Rosario Chiarchiaro de ‘La patente’ dello stesso drammaturgo agrigentino, e che appare sia positivo, oltre distruttore di verità fittizie, sia sinonimo di repressione volontaria.