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La pioggia nel pineto, parafrasi e spiegazione della poesia

Il poeta compose la lirica, inserita nella raccolta Alcyone, sezione dell'opera più grande delle Laudi, fra il luglio e l'agosto 1902 nella sua celebre Villa La Versiliana a Marina di Pietrasanta, dove abitava immerso nel verde della pineta

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

La poesia è composta da 128 versi, che sono totalmente liberi (cioè, non rispettano un numero preordinato di sillabe, anche se ricorrono spesso i ritmi ternario, senario e novenario), sciolti (perché non seguono uno schema metrico fisso di rime) e divisi in quattro strofe.

La pioggia nel pineto: il testo

Taci. Su le soglie

del bosco non odo

parole che dici

umane; ma odo

parole più nuove

che parlano gocciole e foglie

lontane.

Ascolta. Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove sui pini

scagliosi ed irti,

piove su i mirti

divini,

su le ginestre fulgenti

di fiori accolti,

su i ginepri folti

di coccole aulenti,

piove su i nostri volti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggeri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

t’illuse, che oggi m’illude,

o Ermione.

Odi? La pioggia cade

su la solitaria

verdura

con un crepitio che dura

e varia nell’aria secondo le fronde

più rade, men rade.

Ascolta. Risponde

al pianto il canto

delle cicale

che il pianto australe

non impaura,

né il ciel cinerino.

E il pino

ha un suono, e il mirto

altro suono, e il ginepro

altro ancora, stromenti

diversi

sotto innumerevoli dita.

E immensi

noi siam nello spirito

silvestre,

d’arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro

è molle di pioggia

come una foglia,

e le tue chiome

auliscono come

le chiare ginestre,

o creatura terrestre

che hai nome

Ermione.

Ascolta, Ascolta. L’accordo

delle aeree cicale

a poco a poco

più sordo

si fa sotto il pianto

che cresce;

ma un canto vi si mesce

più roco

che di laggiù sale,

dall’umida ombra remota.

Più sordo e più fioco

s’allenta, si spegne.

Sola una nota

ancor trema, si spegne,

risorge, trema, si spegne.

Non s’ode su tutta la fronda

crosciare

l’argentea pioggia

che monda,

il croscio che varia

secondo la fronda

più folta, men folta.

Ascolta.

La figlia dell’aria

è muta: ma la figlia

del limo lontana,

la rana,

canta nell’ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su le tue ciglia,

Ermione.

Piove su le tue ciglia nere

sì che par tu pianga

ma di piacere; non bianca

ma quasi fatta virente,

par da scorza tu esca.

E tutta la vita è in noi fresca

aulente,

il cuor nel petto è come pesca

intatta,

tra le palpebre gli occhi

son come polle tra l’erbe,

i denti negli alveoli

son come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,

or congiunti or disciolti

(e il verde vigor rude

ci allaccia i melleoli

c’intrica i ginocchi)

chi sa dove, chi sa dove!

E piove su i nostri volti

silvani,

piove su le nostre mani

ignude,

su i nostri vestimenti

leggeri,

su i freschi pensieri

che l’anima schiude

novella,

su la favola bella

che ieri

m’illuse, che oggi t’illude,

o Ermione.

La pioggia nel pineto: la parafrasi

Non parlare. Ora che siamo all’inizio del bosco

non sento più nessuna parola proveniente da alcun essere umano,

ma sento solo parole diverse, e migliori,

pronunciate dalle gocce e dalle foglie in lontananza.

Ascolta e basta: piove dalle nuvole sparpagliate nel cielo,

piove sulle tamerici ricoperte dal sale del mare e seccate dal sole estivo,

piove sui pini e sulle loro cortecce fatte a scaglie e sui loro aghi appuntiti.

Piove sui mirti, divine piante sacre a Venere,

e piove sulle ginestre che sotto la pioggia risplendono.

Piove anche sui fiori ancora chiusi e sui ginepri folti,

che diffondono però un dolce profumo.

Piove sui nostri volti,

come se anche noi fossimo una parte di questo bosco.

Piove sulle nostre mani nude,

sui nostri vestiti leggeri ed estivi,

e piove addirittura sui nostri pensieri, rinfrescati dalla pioggia,

e l’anima si dischiude e rinasce sotto la pioggia

e ci rivela sogni nuovi che in realtà, ieri come oggi, ci illudono e basta, oh Ermione.

Lo senti? La pioggia cade sulle foglie solitarie

e crea uno cigolio che si diffonde in modo costante tutto intorno

e cambia solo a seconda di quello che tocca, foglie più fitte o meno fitte.

E ascolta: il canto delle cicale,

che non si spaventano con l’arrivo dei venti australi e con il cielo grigio,

sembra rispondere alla pioggia che scende come un pianto.

E il pino ha un suono particolare,

e anche il mirto suona in un modo diverso sotto l’acqua che cade,

e così anche il ginepro e tutte le altre piante sembrano come strumenti musicali diversi

suonati dalla pioggia che sembra avere un numero infinito di dita.

E noi siamo immersi nello spirito del bosco,

è come se la vita degli alberi fosse anche la nostra vita,

perché il tuo volto è bagnato e inebriato come una foglia

e i tuoi capelli hanno lo stesso profumo di quelle ginestre,

anche se sei solo una creatura umana, mia Ermione.

E ti prego ascolta ancora il canto accordato delle cicale che stanno sugli alberi

e che prima diminuisce e poi aumenta all’unisono quando aumenta anche la pioggia,

ma arriva un altro suono, più cupo, quello delle rane,

dalla parte di bosco che sembra più una laguna paludosa.

Si tratta di un suono più sordo e più fastidioso,

ma anche questo aumenta o diminuisce finché quasi non si sente più.

Non si sente, poi, nessun rumore provenire dal mare,

si sente solamente, su tutti i rami, scrosciare la pioggia,

che pare di colore argenteo e che purifica,

si sente il suo scroscio che ancora continua a cambiare in base al fogliame su cui cade.

Ascolta la cicala che adesso è muta

mentre la figlia del fango lontana, la rana, canta dove c’è più ombra,

in quella zona paludosa chissà dove.

E piove sulle tue ciglia, oh Ermione.

Piove sulle tue ciglia e pare che tu stia piangendo,

ma è un pianto di piacere,

e sembra che la tua pelle non sia più bianca ma verde

e mi pare di vederti come una creatura nata dalla corteccia di un albero.

E così tutta la nostra vita è profumata e fresca, sembriamo anche noi un bosco:

i nostri cuori nel petto sono come due pesche profumate e non ancora colte,

le palpebre fra le tue ciglia sembrano le sorgenti d’acqua fra le zolle d’erba

e i denti e le gengive sembrano mandorle non ancora mature.

Andiamo fra i cespugli, insieme o separati,

e la forza intima e selvaggia degli alberi ci prende a sé

stringendoci le caviglie e ci lega le ginocchia!

Chissà dov’è tutto il resto, dove siamo noi?

E piove ancora sui nostri volti che ormai sono un bosco,

piove sulle nostre mani nude, sulle nostre vesti leggere,

sui pensieri nuovi che la pioggia ha rinnovato nella nostra anima

e su quel sogno che continua a illuderci, oh Ermione.

La pioggia nel pineto: la spiegazione

Il tema centrale della poesia è il forte sentimento provato da Gabriele D’Annunzio per l’attrice Eleonora Duse, con cui ebbe una relazione e che lo ispirò non solo per questo componimento, ma anche per l’intera opera. Qui, la donna lo accompagna durante una passeggiata estiva in campagna, finché non vengono sorpresi da un temporale, che li lascia soli, ma intimi, nel pineto: lo scroscio d’acqua crea, per D’Annunzio, un’atmosfera surreale. La Duse viene chiamata “Ermione”, richiamando il personaggio della mitologia greca, abbandonata da Oreste dopo il matrimonio: D’Annunzio, però, proprio come Oreste, torna a lei e agli ambienti incontaminati, ben lontani dalla vita caotica e mondana della città. Si tratta di una fusione tra l’uomo e la Natura, non a caso i due personaggi diventano “un tutt’uno con il bosco”, un aspetto che introduce i concetti di panismo, metamorfosi, sensismo e ricerca della bellezza. Le figure retoriche connesse a questa tematica sono quelle della climax (c’è una tensione che sale e che raggiunge l’apice nel nome di Ermione), della personificazione (Ermione rappresenta un concetto, quello di un amore puro e ormai dimenticato a cui tornare) e dell’apostrofe (infatti, il soggetto si rivolge direttamente alla donna amata, chiamandola più volte), ma non mancano parole onomatopee, allitterazioni e asindeti.