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La produzione drammatica di Eschilo

L'autore di 'Persiani', 'Sette contro Tebe', 'Supplici', 'Prometeo incatenato' e 'Orestea' è considerato l'iniziatore della tragedia greca nella sua forma matura

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Le innovazioni introdotte da Eschilo

Eschilo è considerato il padre della tragedia greca nella sua forma matura. A lui vengono attribuite alcune innovazioni, come maschera e coturni, ma anche la trilogia “legata” (dal punto di vista contenutistico, cioè di tre opere tragiche presentate durante l’agone. Inoltre, introducendo un secondo attore sulla scena, rese possibile la drammatizzazione di un conflitto, ricorrendo ai dialoghi (e non più soltanto monologhi), ai contrasti e agli effetti teatrali, aumentando al contempo il coinvolgimento emotivo del pubblico e la complessità espressiva. Con Eschilo, via via, si ridusse l’importanza del coro, in precedenza una continua controparte all’attore. Nonostante tali novità, l’autore rimase ad ogni modo rigidamente fedele al rigore estremo e a una religiosità quasi monoteistica, tanto che Zeus è spesso rappresentato come un dio onnipotente. Lo stile, invece, particolarmente potente, ricco di espressioni retoriche, neoformazioni linguistiche (fra cui anche hapax) e arcaismi molto ricercati, è colmo di immagini suggestive, mentre i suoi personaggi, anche se non sempre degli eroi, possiedono quasi sempre caratteristiche superiori all’essere umano.

Persiani, Sette contro Tebe e Supplici

I fatti raccontati in “Persiani” si svolgono a Susa, da dove il re di Persia Serse parte in spedizione contro la Grecia. Quando un messo porta la notizia della sconfitta persiana, la regina consorte Atossa, rimasta sconvolta da una serie di macabre visioni notturne, offre libagioni per i morti evocando lo spirito di Dario: questi appare, scarica la colpa della sconfitta sulla tracotanza di Serse, che ha osato sfidare la natura attraversando lo stretto di Elle con un ponte di navi, predice nuove disgrazie ed esorta il figlio a metter da parte la propria presunzione. Mentre il coro piange, compare sulla scena Serse, uno dei pochi superstiti di Salamina il quale, in preda alla disperazione, dà vita al canto funebre finale. In “Sette contro Tebe”, invece, si racconta della maledizione di Edipo, scagliata sui figli Eteocle e Polinice. Il primo di loro ha l’esercito del fratello alle calcagna, pronto a sferrare l’ultimo, decisivo attacco, quando sopraggiungono prima delle donne tebane, terrorizzate per la strage imminente, poi un messaggero, che informa di come sei delle sette porte della città abbiano resistito e che l’offensiva è stata respinta. Nel settimo ingresso, però, i due protagonisti si sono reciprocamente uccisi e la gioia per la fine della guerra lascia spazio al dolore, con il coro che piange la loro triste sorte alla comparsa dei due cadaveri. La tragedia “Supplici”, poi, narra della crisi dinastica dei fratelli Danao ed Egitto, che condividevano la sovranità nella ‘terra dei faraoni’: il primo, infatti, aveva avuto 50 figlie femmine, il secondo altrettanti maschi. Le Danaidi, appena sbarcate in Grecia, vengono esortate da Danao a raggiungere il recinto sacro, dove i supplici hanno per antica consuetudine un diritto di asilo inviolabile, ma il re di Argo Pelasgo è restio a offrire loro aiuto, salvo ritrattare la propria posizione quando le donne, minacciando di impiccarsi, invocano Zeus. L’assemblea cittadina vota favorevolmente per l’accoglienza ma, appena intonato un canto di gratitudine, si scopre che gli Egizi sono giunti in città allo scopo di rapire le Danaidi. Pelasgo respinge l’araldo nemico, che scappa via tra urla e minacce: le donne vengono fatte entrare all’interno delle mura della città, ma la guerra è ormai inevitabile.

Eschilo: Prometeo incatenato e Orestea

Il “Prometeo incatenato” si apre sui monti desolati della Scizia. Il titano protagonista della tragedia è stato catturato da Efesto, Potere e Forza e intrappolato su una rupe: si tratta della punizione inflittagli da Zeus per aver infranto il suo volere, avendo donato agli uomini il fuoco, oltre che la speranza, il pensiero, la coscienza, la scrittura, la memoria, la medicina e la capacità di interpretare il volere degli dèi e il futuro. A portargli conforto ci pensano le Oceanine, Oceano e, soprattutto, Io, a cui predice il destino, ma anche il difficile futuro di Zeus, di lei perdutamente innamorato (e per questo invisa a Era). Prometeo, tuttavia, è convinto di avere una via di fuga, in quanto a conoscenza della relazione tra il re degli dèi olimpi e Teti, da cui potrebbe nascere un figlio estremamente più potente del padre. Così, Zeus invia Ermes al fine di estorcere al titano tale segreto il quale, rifiutandosi, viene scagliato in un burrone senza fondo insieme alla rupe su cui era stato incatenato. L'”Orestea”, infine, è una trilogia composta dalle tragedie “Agamennone”, “Coefore” e “Le Eumenidi”: originariamente, tuttavia, era seguita dal dramma satiresco “Proteo”, andato perduto insieme ad altre circa novanta rappresentazioni teatrali di Eschilo. Si tratta sostanzialmente di un’unica storia divisa in tre episodi, che riguardano l’assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra, la vendetta del figlio Oreste perpetrata contro la madre e la persecuzione subita dal matricida da parte delle Erinni, culminata però con l’assoluzione finale decisa dal tribunale dell’Areopago.