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Le invettive di Archiloco

Primo artista della storia a rinunciare alla figura di poeta vate in favore dell'individualità e della nuda umanità, utilizzò espressioni simili ad attacchi e scherni per denunciare i molteplici aspetti negativi della realtà

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Chi era Archiloco

Archiloco nacque a Paro, nell’arcipelago delle Cicladi, probabilmente intorno al 680 a.C. (in quanto in un frammento viene menzionata un’eclissi di sole avvenuta il 6 aprile 648 a.C.), da Telesicle, di famiglia nobile, e – secondo una tradizione autoschediastica – Enipò, una schiava tracia il cui nome è certamente fittizio. Ebbe vari fratelli e almeno una sorella, dal momento che in un’elegia si mostrò rattristato per la prematura perdita del cognato a causa di un nubifragio, mentre in un altro componimento abbiamo testimonianza della sua profonda insofferenza verso la vita trascorsa nell’isola natia, nonostante “il dolce vino e il vitto peschereccio“. Visitò Scarpanto, Creta, l’Eubea, Lesbo e il Ponto ed amò una fanciulla (“Oh, se potessi così toccar la mano di Neobule“) promessagli in sposa dal padre Licambe, che si rimangiò in un secondo momento il proprio assenso. La tradizione – la cui veridicità è quantomeno dubbia – vuole che, a causa dei pesantissimi attacchi rivolti all’uomo nei propri versi, egli – e con lui la figlia – decisero di impiccarsi. Archiloco si guadagnò da vivere facendo il soldato mercenario, in un periodo in cui – la seconda metà del VII secolo a.C. – i Pari, nel pieno del grande movimento di colonizzazione ellenica, occuparono a nord l’isola di Taso, ma dovettero sostenere lunghe lotte contro i barbari del continente e contro i possedimenti delle città rivali, tra cui la vicina Nassoː Archiloco, figlio del fondatore della colonia tasia, combatté molte di queste guerre, cantandone le vicende, ma si dice che perse la vita proprio durante una battaglia contro Nasso, ucciso da un certo Calonda. A prescindere dall’epilogo, quel che è certo è che ebbe una grande fama e divenne un modello ispiratore per molti poeti e artisti (Anacreonte, Alceo, Saffo e Orazio su tutti), studiato nelle scuole, imitato, canzonato dai comici, discusso da filosofi e sofisti, citato per antonomasia da Platone e considerato da Quintiliano come un notevolissimo esempio di stile. Claudio Eliano, nella ‘Ποικίλη στορία’ (Varia Historia), riporta il pensiero di Crizia, uomo politico ateniese della fine del V secolo a.C., che affermò come “se costui non avesse diffuso fra gli Elleni una tale fama di sé, noi non sapremmo che era figlio di una schiava, Enipò, né che per povertà e per angustie lasciò Paro e si recò a Taso, né che, giunto qui, si rese nemici tutti, e neanche che parlava male degli amici non meno che dei nemici. […] Oltre a ciò non sapremmo nemmeno, se non l’apprendessimo da lui, che fu adultero, né che fu sensuale e litigioso, né – il che è la più grande vergogna – che abbandonò lo scudo. Dunque, Archiloco non fu buon testimone di se stesso, lasciando di sé una tale opinione e una tale fama“.

Archiloco, l’addio al poeta vate

Archiloco è considerato il primo artista del mondo greco che, rompendo decisamente con il passato, rinunciò consapevolmente alla figura di poeta vate, dedicandosi piuttosto alla totale individualità e alla nuda umanità. Egli, nelle sue poesie, quattro libri di elegie, giambi, tetrametri trocaici, asinarteti ed epodi, parlò spesso di sé, dai sentimenti alle vicende personali, non esitando mai a rivelare anche gli aspetti meno invidiabili della propria vita e del proprio carattere. Questa originale forma di sincerità costituisce un documento importante del suo carattere, ma rappresenta anche una novità assoluta nella poesia del mondo antico. Sulla base dei pochi frammenti rimasti dell’opera archilochea, è stato tracciato un identikit del poeta, che appare come individualista, litigioso, trasgressivo e anticonformista. Ricorse spesso all’uso della persona ‘loquens’, un personaggio terzo a cui attribuiva fatti personali, ideali e considerazioni personali: secondo Aristotele, ciò altro non era che un mezzo per esprimere un’opinione o un ideale in contrasto con quelli della società contemporanea, anche se occorre sottolineare che Archiloco era solito parlare a nome della “comunità" o del gruppo a cui apparteneva. Altri autori, tuttavia, ritengono che tale interpretazione vizi in senso autobiografico i caratteri satirici della poesia giambica, in cui alla negazione dei topoi dell’ethos eroico si affianca l’affermazione di una visione pragmatica tipica del lavoro mercenario, nel quale rifiuta anche la ‘καλοκγαθία’ (kalokagathia), sintesi tradizionale di bellezza e virtù. Ad ogni modo, può essere considerato anche il primo poeta della letteratura occidentale a rappresentare l’amore non solo come tenerezza, passione e sensualità, ma anche come tormento, delusione e sfoghi d’ira, in una sorta di violento erotismo (seppur meno oscenamente crudo rispetto a Ipponatte) e spregio dei valori tradizionali, che gli costarono aspri rimproveri da parte degli antichi.

Archiloco, cosa sono le invettive

Nei suoi componimenti elegiaci, tuttavia, trattò motivi autobiografici, evitando ogni forma di oscenità. Le invettive di Archiloco, infatti, devono essere innanzitutto considerate come una sincera volontà di denunciare tutti i molteplici aspetti negativi della realtà a lui contemporanea, criticando o deridendo persone e fatti non con l’intento di distruggere le loro vite o la loro reputazione, bensì allo scopo di costruire e affermare quei principi e quei valori che avrebbero dovuto essere condivisi da tutti gli uomini. Ecco perché, come appare evidente dai frammenti sopravvissuti, la denuncia si intreccia inestricabilmente con la riflessione e l’esortazione. Nelle invettive di Archiloco, quelli che a prima vista sembrano essere a tutti gli effetti degli attacchi o degli scherni, sono in realtà delle schiette e risentite denunce delle incoerenze, prepotenze e storture del mondo conosciuto. Pertanto, la sua poesia non è individualista, maledetta e irridente, ma è semplicemente l’espressione di un convinto assertore di valori quali modestia, lealtà, amicizia, equilibrio e misura. Il linguaggio utilizzato è quello omerico, sottoposto tuttavia a un continuo processo di transcodificazione, spesso violentemente rappresentativo (e per questo definito carattere ironico anti-omerico). Lo stile invece, si caratterizzava per brevità, efficacia espressiva ed espressione sanguigna, arricchita da una notevole ricchezza tropica (soprattutto metafore e similitudini). Archiloco, ricordato e apprezzato anche per il ricorso al mito, come rappresentazione ideale della vita umana, e alla favola, rappresentazione quotidiana trattata in modo sistematico, fu anche un grande innovatore nel campo della musica: a lui, infatti, secondo la tradizione, si deve l’invenzione della ‘parakataloghè’, il recitativo musicale tipico della poesia giambica, di cui è considerato uno dei primi esponenti della storia, dove la voce narrante è accompagnata da uno strumento a corda o a fiato, senza arrivare al canto spiegato vero e proprio (anche se, va detto, che ancora oggi non è chiaro in cosa si differenziasse dal recitativo dell’epica).