Mimnermo: la vecchiaia è il male peggiore
Nel frammento 'Contro la vecchiaia' il poeta elegiaco greco afferma che i piaceri della vita appartengono alla giovinezza, utilizzando un tono pessimistico riguardo l'età senile
Chi era Mimnermo
Mimnermo, il cui nome – etimologicamente – significa “colui che resiste sull’Ermo“, un fiume dell’Eolide, nacque a Colofone (secondo Strabone) o a Smirne (per Pausania il Periegeta) e visse – probabilmente – tra la seconda metà del VII e l’inizio del VI secolo a.C.. Tale tesi, analogamente a quanto ritenuto per Archiloco, potrebbe essere supportata dal fatto che il poeta elegiaco greco antico sarebbe stato testimone di un’eclissi di sole nel 647 a.C.. Secondo altri, invece, l’evento a cui assistette si verificò nel 585 a.C.: in tal caso, la data di nascita e il periodo di attività di Mimnermo andrebbero posticipati. Quest’altra teoria, invece, sarebbe suffragata dal frammento di una sua opera in cui affermava che un suo avo partecipò alla guerra condotta da Smirne contro il re di Lidia, Gige, morto intorno alla metà del VII secolo a.C.. Tra le poche notizie che si conoscono della sua vita, ad ogni modo, quel che è certo è che fu un apprezzato flautista, esattamente come – secondo la tradizione – la donna di cui fu innamorato, considerata ‘trasgressiva’ in riferimento agli standard dell’epoca.
Opere e stile
La produzione di Mimnermo comprendeva elegie, che vennero divise in due libri dai filologi alessandrini: il primo, intitolato ‘Smirneide’, era un poemetto che raccontava la guerra dei Greci di Smirne contro i Lidi governati dal re Gige, mentre il secondo, ‘Nannò’, dal nome della donna amata dal poeta. Di tutta la sua produzione poetica, tuttavia, sono sopravvissuti fino ai giorni nostri soltanto una ventina di frammenti, per un totale di circa 80 versi, una quantità troppo esigua per poter giudicare con accuratezza l’arte dell’autore. Ciò che si può affermare con certezza è che nell’antichità fu apprezzato soprattutto in qualità di poeta d’amore. L’aspetto erotico, infatti, è centrale nei frammenti di Mimnermo, al pari di giovinezza, gioie della vita, orrore e paura della vecchiaia, che definì odiosa, un male infinito più gelido della morte. La sua poesia, infatti, è inondata da un profondo pessimismo, arrivando ad augurarsi che la propria fine sopraggiunga entro e non oltre i 60 anni: dinanzi alla prospettiva desolante del decadimento, per il flautista greco morire è meglio che vivere. Il sopraggiungere della vecchiaia, del resto, nella sua ottica, non fa altro che rendere l’uomo turpe e spregevole, inviso tanto ai fanciulli quanto alle donne, considerati i soggetti erotici per eccellenza: raggiunta l’età senile, l’uomo non può più godere dei dolci e desiderabili doni di Afrodite, né gioire nel vedere i raggi del sole, a causa dei tormenti provocati dai pensieri tristi e dalla pesantezza nel cuore.
Il frammento ‘Contro la vecchiaia’
«τίς δὲ βίος, τί δὲ τερπνὸν ἄτερ χρυσῆς Ἀφροδίτης;
τεθναίην, ὅτε μοι μηκέτι ταῦτα μέλοι,
κρυπταδίη φιλότης καὶ μείλιχα δῶρα καὶ εὐνή·
οἷ’ ἥβης ἄνθεα γίγνεται ἁρπαλέα
ἀνδράσιν ἠδὲ γυναιξίν· ἐπεὶ δ’ ὀδυνηρὸν ἐπέλθῃ
γῆρας, ὅ τ’ αἰσχρὸν ὁμῶς καὶ κακὸν ἄνδρα τιθεῖ
αἰεί μιν φρένας ἀμφὶ κακαὶ τείρουσι μέριμναι,
οὐδ’ αὐγὰς προσορῶν τέρπεται ἠελίου,
ἀλλ’ ἐχθρὸς μὲν παισίν, ἀτίμαστος δὲ γυναιξίν·
οὕτως ἀργαλέον γῆρας ἔθηκε θεός».
«Che cosa è la vita, che cosa è dolce, se manca l’aurea Afrodite?
Sarebbe meglio di gran lunga la morte che vivere sempre senza
incontri amorosi e il dono della tenerezza e il letto,
tutte quelle cose che son dolci fiori di giovinezza,
sia per gli uomini che per le donne. Ma quando arriva l’opprimente
vecchiaia, che rende brutto anche un bell’uomo
e il cuore si consuma sotto infinite tempeste,
non c’è gioia più poi alla luce del sole,
ma nei bambini si trova odio e nelle donne non vi si trova alcun rispetto.
Così odiosa ci diede un dio la vecchiaia!».
Il brano riassume in sé l’atteggiamento pessimistico di Mimnermo: riprende, infatti, i piaceri della vita, sottolineando, tuttavia, che questi appartengono alla giovinezza, per dar spazio poi a un disfattismo legato alla vecchiaia, successivamente ripreso da molti autori, su tutti Giacomo Leopardi.