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Oratoria giudiziaria: Isocrate

Considerato uno dei maggiori maestri di retorica, fu anche un educatore degli individui che avrebbero formato la nuova classe dirigente

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Chi era Isocrate

Isocrate nacque a Erchia nel 436 a.C. da una famiglia piuttosto benestante – il padre Teodoro aveva una fabbrica di auloi – da cui ricevette un’ottima educazione. Le finanze, tuttavia, furono estremamente compromesse dalla guerra del Peloponneso e, per ovviare ai problemi, ancora giovane fu costretto a svolgere per circa un decennio la professione di logografo: le testimonianze in merito ci parlano di sei orazioni giudiziarie datate tra il 400 e il 390 a.C.: nonostante quanto affermato da Aristotele, però, l’uso effettivo di questi testi durante i processi appare quantomeno dubbio, in quanto si ritiene più probabile che si trattassero di esercitazioni utilizzate nella sua scuola, dalla quale uscirono illustri tragediografi, storiografi e oratori. Non a caso, Isocrate si sentì sempre in primis un pedagogo, impegnato proprio nella formazione culturale di cittadini di livello elevato (da cui uscirà la classe dirigente ateniese del quarto secolo a.C.) mediante l’insegnamento della retorica, oltre che un filosofo, molto vicino alle teorie di Platone, con cui condivideva un’avversione nei confronti dei Sofisti: egli ricercò la conoscenza relativa e la ‘δόξα’, cioè l’opinione, soprattutto in relazione a cose utili. In ambito politico, invece, fu un convinto sostenitore della centralità di Atene e della sua democrazia nella politica greca e si fece promotore di una corrente panellenica che prevedesse la collaborazione delle diverse poleis – unite contro i Persiani – raccolte sotto la guida della città-stato attica. Atene, infatti, avrebbe dovuto anche adempiere il ruolo di civilizzatore, favorendo il sorgere di nuove società democratiche. L’utopistica speranza di Isocrate s’infranse nel 338 a.C. quando, al termine della battaglia di Cheronea, la Grecia perse la propria indipendenza. Ormai ultranovantenne e affetto da diversi malanni, si lasciò morire di inedia.

Le orazioni

Secondo la tradizione, a Isocrate furono attribuite 60 orazioni, la metà delle quali spurie, al pari delle 9 epistole. Fino ai giorni nostri ne sono sopravvissute 21, di cui 14 di genere epidittico (‘Encomio di Elena’, ‘Busiride’, ‘Contro i Sofisti’, ‘Panegirico’, Plataico’, ‘Evagora’, ‘A Nicocle’, ‘Nicocle’, ‘Archidamo’, ‘Sulla pace’, ‘Areopagitico’, ‘Antidosi’, ‘Filippo’ e ‘Panatenaico’) e 6 di carattere giudiziario, oltre allo scritto ‘A Demonico’. Tra quest’ultime, di particolare importanza è ‘L’Eginetico’, l’unica relativa a un processo che non si svolse ad Atene, bensì ad Egina: datata fra il 394 e il 390 a.C., riguardò l’indovino Trasillo, che durante il suo peregrinare instaurò numerose relazioni intime, da cui nacquero figli che egli non riconobbe mai, e che venne citato in giudizio da una donna anonima al fine di ottenere una parte del suo copioso patrimonio. Ad ogni modo, molti studiosi del mondo greco antico dubitarono – e tanti altri dubitano tuttora – circa l’autenticità delle orazioni giudiziarie di Isocrate. Quel che è certo è che la cura formale fu il tratto distintivo ogni sua opera, dal momento che impiegò spesso lunghissimi anni per comporre ognuno dei suoi discorsi più celebri, impiegando tantissimo tempo in riletture continue, alla ricerca della perfezione stilistica, della scorrevolezza e dell’intensità emotiva: il risultato fu quello di dar vita a una prosa elegante, fluida, sintatticamente corretta e temperata ma, al tempo stesso, monocorde e priva delle coloriture che vennero particolarmente apprezzate in altri scrittori e retori. Riguardo alle orazioni epidittiche, invece, fu lo stesso Isocrate a informarci di come queste furono scritte per essere studiate dai suoi discepoli: il retore, infatti, non le pronunciò mai in pubblico a causa della sua timidezza. I suoi insegnamenti filosofici, infine, furono rivolti soltanto a chi considerava predisposto alla loro comprensione e, in particolare, a chi dimostrava l’ardire di parlare senza difficoltà di fronte alle folle e la capacità di apprendere le sue lezioni come un sistema idee, perché è proprio su di esse che – secondo Isocrate – si formava il discorso politico. Il corso nella sua scuola aveva la durata media di 3-4 anni e verteva principalmente sull’oratoria e sulla filosofia, le sole due discipline che, nella visione dell’autore natio di Erchia, permettevano di conferire una skill fondamentale, cioè quella di esprimersi in modo aulico.