Salta al contenuto

​ Capitolo 14 de I Promessi Sposi: riassunto e analisi

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il Capitolo 14 dei Promessi Sposi è un capitolo di transizione, ma denso di significato. Dopo il tumulto popolare descritto nei capitoli precedenti, Manzoni concentra l’attenzione su Renzo, rimasto a Milano dopo i disordini, inconsapevole delle conseguenze delle sue parole pronunciate in pubblico.

È un capitolo che si svolge quasi tutto in una giornata, dominato dall’apparente tranquillità che segue l’esplosione del caos e segnato da una serie di scelte sbagliate che porteranno Renzo sempre più vicino alla rovina. In queste pagine Manzoni mette in scena il contrasto tra l’ingenuità del protagonista e la fredda macchina della giustizia, che si sta già muovendo nell’ombra per colpirlo. Il tono della narrazione alterna leggerezza e ironia a momenti di tensione crescente, fino ad arrivare all’ultima scena, che prelude chiaramente all’arresto imminente.

Renzo tra entusiasmo e inconsapevolezza

Renzo inizia la giornata con un senso di soddisfazione ingenua. La sera precedente ha partecipato ai tumulti, ha visto il popolo imporsi sulle autorità e crede, da bravo idealista, di aver vissuto un momento storico di giustizia e liberazione. La sua fiducia nella bontà delle masse e nella legittimità della protesta è totale, tanto da non sospettare minimamente che i suoi comportamenti possano aver attirato l’attenzione delle autorità. In questa prima parte del capitolo, Manzoni descrive con sottile ironia il giovane che cammina per Milano con l’animo leggero, convinto che tutto sia andato per il meglio. Non si accorge della tensione che ancora aleggia per le strade, dei gruppi sparsi, dei visi guardinghi. Vive in una bolla di entusiasmo personale, che lo isola dal pericolo reale che si sta già profilando.

Questa inconsapevolezza è ciò che rende Renzo vulnerabile. La sua condotta non è quella di un uomo in fuga o in allerta: si muove liberamente, osserva, ascolta, parla con chi incontra. Ed è proprio questa sua apertura, questa sua spontaneità a metterlo nei guai. Manzoni ci mostra come l’eccesso di fiducia, in certi contesti, possa diventare una forma di imprudenza pericolosa. L’eroismo del popolo, che Renzo ha visto con ammirazione, è già diventato oggetto di repressione e censura da parte delle autorità.

Il notaio criminale e la macchina della giustizia

Parallelamente ai movimenti di Renzo, Manzoni introduce una seconda linea narrativa, quella del notaio criminale, l’uomo incaricato di raccogliere le accuse contro i presunti sobillatori della rivolta. È una figura emblematica della giustizia distorta e burocratica che Manzoni intende denunciare. Questo funzionario riceve un rapporto su Renzo, accusato da un informatore di aver parlato con troppa libertà durante il tumulto. Il documento non è particolarmente dettagliato, ma basta per mettere in moto la macchina repressiva. Il notaio non si cura di verificare la veridicità delle affermazioni, né di approfondire il contesto: il suo compito è compilare un’accusa formale e istruire il processo.

Questa parte del capitolo è fondamentale per comprendere la visione manzoniana della giustizia del tempo. Il sistema è cieco, impersonale e interessato solo al mantenimento dell’ordine, non alla verità. Non c’è spazio per l’individuo o per la valutazione del caso concreto: chiunque venga segnalato è un colpevole in potenza. L’atteggiamento del notaio, freddo e metodico, contrasta profondamente con l’animo spontaneo di Renzo e rende ancora più drammatica la sproporzione tra colpa e punizione. In questo scenario, la giustizia non è un’istituzione che protegge, ma una forza che colpisce senza pietà.

L’osteria e l’ingenuità di un linguaggio pericoloso

Il momento centrale del capitolo è rappresentato dalla sosta di Renzo in osteria, dove si consuma uno dei passaggi più significativi della sua parabola. Seduto al tavolo, tra vino e chiacchiere, Renzo si lascia andare a una serie di riflessioni ad alta voce. Parla dei tumulti, critica le autorità, inneggia alla giustizia popolare. Lo fa con la foga di chi crede di essere nel giusto e non teme nulla. Ma ciò che Renzo non sa è che l’osteria non è un luogo sicuro: tra gli avventori, ci sono occhi e orecchie attenti, pronti a riferire. Ogni sua parola diventa un’arma contro di lui, un pezzo in più nel mosaico delle accuse.

La scena è costruita da Manzoni con un equilibrio perfetto tra comicità e dramma. Da un lato, l’euforia di Renzo, che si sente quasi un oratore politico; dall’altro, l’invisibile presenza del pericolo, che lo osserva in silenzio. È un episodio che illustra quanto il linguaggio possa essere pericoloso, soprattutto quando si è inconsapevoli delle sue conseguenze. Renzo non ha malizia, ma questo non lo salva: al contrario, lo espone ancora di più. E il lettore, che vede ciò che Renzo non vede, è costretto a vivere una tensione crescente, anticipando il disastro che si sta preparando.

Il sospetto che si fa realtà e l’inizio della minaccia

Verso la fine del capitolo, Renzo comincia finalmente ad avvertire che qualcosa non va. Dopo aver lasciato l’osteria, nota movimenti strani, sguardi insistenti, un’atmosfera inquieta. I birri lo stanno tenendo d’occhio. È un sospetto che si insinua lentamente nella sua mente, ma che ancora non riesce a concretizzarsi del tutto. Manzoni gioca abilmente su questo crescendo di tensione, facendo sentire al lettore che il pericolo è ormai vicino, ma lasciando Renzo in una sorta di incertezza sospesa.

La scena finale è carica di presagi: Renzo torna all’albergo dove alloggia, si accorge di qualche anomalia, ma decide di rimanere, senza sapere che l’arresto è imminente. Il capitolo si chiude su questa nota di inquietudine crescente, lasciando il lettore con la consapevolezza che il giorno seguente sarà fatale. È il preludio all’arresto che avverrà nel capitolo successivo, ma anche il compimento di un percorso di discesa, in cui l’entusiasmo iniziale ha lasciato il posto all’ansia e al sospetto.

Un capitolo di attesa e fragilità

Il Capitolo 14 è un esempio magistrale di costruzione narrativa basata sull’attesa. Non succede nulla di clamoroso, ma ogni elemento contribuisce a creare un clima di tensione crescente. Renzo è ancora libero, ma la sua libertà è già minata. È un capitolo che parla di fragilità, della facilità con cui un uomo onesto può diventare colpevole per errore, per imprudenza, o per una parola di troppo. Manzoni usa la figura di Renzo per mostrare come, in una società malata, anche la buona fede può trasformarsi in una colpa.

Ma è anche un capitolo di passaggio interiore. Renzo comincia lentamente a capire che la realtà è più complessa di quanto pensasse. I suoi ideali, il suo entusiasmo, la sua fiducia nella giustizia vengono messi alla prova. Non è ancora la piena maturazione del personaggio, ma è il primo scossone, il momento in cui comincia a vedere le crepe del mondo che lo circonda. Un capitolo che, sotto l’apparenza del silenzio, prepara il rumore assordante del giorno dopo.