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​ Capitolo 15 de I Promessi Sposi: riassunto e commento

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Il Capitolo 15 dei Promessi Sposi è uno dei momenti più tesi e drammatici della vicenda di Renzo. Dopo l’atmosfera di crescente sospetto che aveva chiuso il capitolo precedente, Alessandro Manzoni mette in scena il tanto atteso arresto del protagonista, segnando una svolta decisiva nella sua parabola narrativa. Se fino a questo momento Renzo si era mosso con una certa leggerezza, ancora convinto della bontà delle sue azioni e della legittimità delle sue parole, qui si scontra con la crudeltà e l’arbitrarietà della giustizia del tempo, che non distingue tra colpevoli e innocenti, ma colpisce chi si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Il tono del capitolo alterna la tensione dell’azione alla riflessione morale e sociale, denunciando un sistema giudiziario incapace di garantire equità, e capace invece di trasformare un onesto cittadino in un criminale, sulla base di sospetti infondati.

L’arresto all’albergo: Renzo ingannato dai birri

Il capitolo si apre con una scena dall’andamento teso ma calcolato: Renzo viene svegliato al mattino nell’albergo dove ha trascorso la notte, convinto che qualcuno voglia parlargli. Due birri si presentano con un atteggiamento falsamente cortese, fingendo di volerlo accompagnare per un semplice chiarimento. Manzoni, con la sua consueta abilità narrativa, costruisce un’atmosfera ambigua, in cui la menzogna si maschera da legalità. Renzo, ancora assonnato e ignaro del pericolo imminente, segue gli uomini senza sospettare nulla. È un momento che mette in evidenza tutta la sua vulnerabilità: non si tratta di ingenuità pura, ma di fiducia residua in un sistema che ancora non ha mostrato fino in fondo il proprio volto più crudele.

Nel percorso verso la cancelleria criminale, la situazione cambia gradualmente. Il tono dei birri diventa più rigido, le loro risposte evasive, i movimenti più decisi. A quel punto Renzo comincia a intuire che non si tratta di un semplice colloquio, ma di un vero e proprio arresto mascherato. È uno snodo importante nella coscienza del protagonista: il passaggio da una percezione ingenua a una più lucida della realtà. Manzoni riesce a trasformare una scena apparentemente banale in un momento di grande tensione morale e psicologica.

L’interrogatorio farsa e il peso delle parole

Una volta condotto nella cancelleria criminale, Renzo viene sottoposto a un interrogatorio condotto dal notaio criminale, già introdotto nel capitolo precedente. L’interrogatorio si configura fin da subito come una farsa legale, in cui il protagonista non ha alcuna possibilità di spiegarsi. Le sue parole vengono sistematicamente travisate, interrotte, forzate in una narrazione già scritta. Il notaio, infatti, non cerca la verità, ma una conferma ai sospetti già formulati nei suoi confronti. Non c’è spazio per la difesa, non c’è ascolto: tutto si basa sull’apparenza e sulla logica della repressione.

Renzo cerca di spiegare la sua posizione, insiste sul fatto di essere uno straniero in città, di aver parlato in buona fede, di non aver incitato nessuno alla rivolta. Ma ogni tentativo viene soffocato da un linguaggio burocratico e inquisitorio, che interpreta la realtà secondo una logica opposta alla verità. Manzoni descrive con precisione la dinamica di questo potere verbale: le parole di Renzo vengono annotate solo in parte, tagliate, riscritte. È un momento emblematico di giustizia distorta, dove la parola dell’accusato non ha alcun valore se non quello che gli viene arbitrariamente attribuito dal potere.

La svolta improvvisa: l’aiuto inatteso e la fuga

Proprio quando la situazione sembra destinata a precipitare verso la prigione, avviene un colpo di scena decisivo: un alto funzionario, forse mosso da pietà o semplicemente per convenienza politica, decide di far liberare Renzo. Il giovane viene consegnato di nuovo ai birri, ma lungo il tragitto verso la destinazione finale riesce a sfruttare un momento di distrazione e a fuggire, confondendosi tra la folla e facendo perdere le proprie tracce. Manzoni descrive la fuga con un ritmo più serrato, sottolineando la concitazione, la paura e la determinazione di Renzo, che finalmente abbandona ogni residuo di fiducia nei confronti della legge e capisce di doversi affidare soltanto alla propria astuzia e prontezza.

Questo momento segna una trasformazione profonda del personaggio. La fuga non è soltanto fisica, ma simbolica: Renzo rompe il legame con un sistema che lo ha tradito, e comincia a maturare una nuova consapevolezza. Da semplice filatore e uomo del popolo, inizia a diventare un individuo più complesso, capace di agire in autonomia, anche in condizioni estreme. La libertà riconquistata, seppure temporanea, ha un prezzo: quello della disillusione e della perdita dell’innocenza.

Il viaggio verso l’Adda: paesaggio e tensione interiore

Dopo la fuga, Renzo si dirige verso l’Adda, con l’intento di oltrepassare il confine e rifugiarsi nella Repubblica di Venezia. Questo tratto del capitolo è dominato da due elementi paralleli: da un lato la descrizione del paesaggio, dall’altro il tumulto interiore del protagonista. Manzoni alterna spazi aperti e silenziosi, boschi e strade poco frequentate, con il dialogo interiore di Renzo, che rielabora ciò che gli è appena accaduto. Si tratta di uno dei momenti più lirici e riflessivi del romanzo, in cui l’azione cede il passo alla contemplazione e al ripensamento.

La natura, spesso descritta da Manzoni come uno specchio dello stato d’animo dei personaggi, qui accompagna Renzo nel suo processo di transizione. L’acqua dell’Adda rappresenta un confine concreto ma anche simbolico: lasciare lo Stato di Milano significa anche abbandonare una parte della propria identità. È un passaggio doloroso, ma necessario. E il lettore percepisce, insieme al protagonista, la fatica del distacco, il peso della solitudine e il senso di precarietà di chi è costretto a fuggire senza sapere cosa lo aspetta.

Un capitolo di svolta morale e narrativa

Il Capitolo 15 è un punto di snodo fondamentale all’interno del romanzo. Segna il passaggio di Renzo da figura marginale a protagonista attivo di una vicenda più ampia. Ma soprattutto, rappresenta una riflessione profonda sulla giustizia corrotta, sull’ipocrisia delle istituzioni e sul destino degli innocenti in una società dove il potere si esercita senza controllo. Manzoni denuncia con forza un sistema che punisce l’apparenza invece dell’intenzione, e mostra come spesso sia proprio chi cerca la verità a essere ridotto al silenzio.

Dal punto di vista stilistico, il capitolo è costruito con equilibrio perfetto tra azione e introspezione, tra ironia e denuncia, tra ritmo narrativo e profondità tematica. Il lettore è guidato passo dopo passo attraverso le emozioni del protagonista, fino a condividere con lui la fatica della fuga e il bisogno di giustizia. Ma ciò che resta alla fine del capitolo è soprattutto un senso di inquietudine e amarezza: perché se Renzo è salvo, la sua vita è comunque sconvolta. E il viaggio che lo attende sarà ancora lungo, difficile e pieno di ostacoli.