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Significato di “Alla luna”, la poesia di Giacomo Leopardi

Il tema di quanto un ricordo possa essere dolce e amaro per l’uomo emerge prepotente nel paesaggio notturno di un idillio squisitamente romantico

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

“Alla luna”, il cui titolo in origine era “La ricordanza”, fa parte, insieme a “L’infinito”, “La sera del dì di festa”, “Il sogno” e “La vita solitaria”, dei “piccoli idilli”, componimenti scritti da Giacomo Leopardi in età giovanile, tra il 1819 e il 1821, caratterizzati dal linguaggio colloquiale e da tematiche intime e autobiografiche. Pubblicati sul “Nuovo ricoglitore” nel 1826, vennero poi raccolti nei Canti del 1831. Il nome “piccoli idilli” fu ideato dallo stesso autore, che li definiva “espressione di sentimenti, affezioni, avventure storiche dell’animo”.

“Alla luna” è una delle poesie più significative nella produzione di Leopardi, andando a toccare un argomento a lui caro e particolarmente presente in tutta la composizione leopardiana, quello del ricordo. Il tema del componimento è squisitamente romantico, dalla scelta del paesaggio notturno, alla percezione di quanto un ricordo possa essere dolce e amaro allo stesso tempo, al fatto che possa essere facilmente divisibile in due parti: una prima in cui viene descritto un notturno lunare e una seconda in cui viene evidenziato il valore consolatorio del ricordo. Una riflessione, questa, che costituisce il fulcro di quella poetica della rimembranza, che si svilupperà in altri componimenti leopardiani, sia in versi che in prosa.

Testo e parafrasi

“O graziosa luna, io mi rammento

Che, or volge l’anno, sovra questo colle

Io venia pien d’angoscia a rimirarti:

E tu pendevi allor su quella selva

Siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

Il tuo volto apparia, che travagliosa

Era mia vita: ed è, né cangia stile,

O mia diletta luna. E pur mi giova

La ricordanza, e il noverar l’etate

Del mio dolore. Oh come grato occorre

Nel tempo giovanil, quando ancor lungo

La speme e breve ha la memoria il corso,

Il rimembrar delle passate cose,

Ancor che triste, e che l’affanno duri!”

O luna graziosa, mi ricordo che, un anno fa, salivo pieno d’angoscia su questa collina per contemplarti: e anche in quel momento, così come fai ora, rimanevi sospesa su quella selva che illumini interamente.

A causa, però, del pianto che mi sgorgava dagli occhi il tuo aspetto mi appariva sfocato e annebbiato, poiché la mia vita era dolorosa, e lo è ancora, né dà alcun segno di voler cambiare, mia cara luna.

Tuttavia ricordare mi dà sollievo, così come contare gli anni che ho passato a soffrire.

Oh, com’è gradito quando giunge in età giovanile, quando la speranza ha di fronte un lungo cammino e la memoria ha alle sue spalle invece un tratto breve, il ricordo del passato, nonostante questo sia stato triste e la sofferenza prosegua ancora!

Analisi

La poesia, il cui titolo in origine come già accennato era “La ricordanza”, affronta il tema del ricordo e del suo potere di trasformare la realtà, migliorandola. Seppure triste e dolorosa, infatti, la “rimembranza” riesce a rendere “poeticissima” ogni cosa, in quanto, come scritto da Leopardi nella nota dello Zibaldone del 14 dicembre 1928, essa “è essenziale e principale nel sentimento poetico”. La distanza temporale, come quella spaziale, rende le immagini indeterminate, quasi sfocate, quindi particolarmente poetiche, perché favoriscono lo scatenarsi dell’immaginazione. E’ quell’atmosfera di “vago e indefinito” per Leopardi ad essere sommamente poetica, angoscia e dolcezza possono coesistere tranquillamente, perché è il ricordo a mitigare il dolore e provoca sentimenti di pacatezza.

Come tutti i primi idilli, anche “Alla luna” è costruita sull’opposizione tra presente e passato, i sentimenti dell’anno precedente, quando il poeta ammirava la luna pieno di angoscia e quelli del presente, in cui il dolore è sempre lo stesso. Nulla è cambiato nella vita di Leopardi, ma è il ricordo ad addolcire la tristezza, perché rievoca il tempo della giovinezza, quando è la speranza, data dalle illusioni, a prevalere sulla memoria, che è ancora troppo breve per essere fonte di turbamento.

Con la luna, sua interlocutrice prediletta, il poeta instaura un dialogo affettuoso, la chiama prima “graziosa” e poi “diletta”, illudendosi che possa rendersi partecipe del suo dolore. La natura, infatti, in questa prima fase della poetica leopardiana, è ancora considerata una “madre benigna” e non la “madre di parto e di voler matrigna”, che dieci anni dopo, nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, resterà totalmente indifferente al dolore del poeta, ormai giunto alla fase del “pessimismo cosmico”.

Significato

Il poeta osserva la luna dal monte Tabor, lo stesso della siepe de “L’infinito”. Da quella piccola altura ne contempla la luce che illumina la selva circostante. Inizia quindi a riflettere sul proprio stato d’animo e sulla vita. La luna svolge il ruolo di ideale confidente del giovane Leopardi, che gli confessa i suoi tormenti interiori. L’io lirico intraprende quindi questo dialogo che in verità è un monologo, caratterizzato da una amara tristezza e mera malinconia, con l’elemento lunare. L’aspetto paesaggistico appare funzionale a tale colloquio e all’espressione dei propri ricordi e del senso di tristezza da essi determinato. E’ qui però che il poeta dimostra di essere in grado di plasmare la realtà, dandole quell’aspetto vago e indefinito da cui derivano le illusioni e le speranze, e utilizzando così il “bello poetico” per riportare alla mente sentimenti e affezioni del passato. Il ricordo, seppur doloroso, è anche dolce, perché riferito a una giovinezza che per quanto triste è passata. E’ dunque il fatto stesso che sia passata a renderla migliore del tempo presente, in cui la sofferenza è la stessa, ma ancora viva più che mai.

“In luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra il reale”. (Zibaldone)