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Caronte: chi era il traghettatore dell'Ade

Francesca Mondani

Francesca Mondani

DOCENTE DI INGLESE E ITALIANO L2

Specializzata in pedagogia e didattica dell’italiano e dell’inglese, insegno ad adolescenti e adulti nella scuola secondaria di secondo grado. Mi occupo inoltre di traduzioni, SEO Onsite e contenuti per il web. Amo i saggi storici, la cucina e la mia Honda CBF500. Non ho il dono della sintesi.

Caronte è una figura centrale della mitologia greca e romana, noto per il suo ruolo di traghettatore delle anime nel mondo sotterraneo, l’Ade. Il suo compito è quello di traghettare i defunti attraverso il fiume Stige o Acheronte, a seconda delle versioni del mito, portandoli da una riva all’altra verso il regno dei morti. Caronte non è una divinità nel senso tradizionale del termine, ma un demone o una figura sovrannaturale incaricata di un compito preciso: quello di gestire il passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Il suo aspetto, spesso descritto come inquietante e spaventoso, ha ispirato poeti e artisti per secoli, e la sua presenza nei testi classici lo ha reso uno dei simboli più potenti del passaggio nell’aldilà.

Chi era Caronte: il traghettatore dell’Ade

Secondo la mitologia greca, Caronte era il figlio di Erebo e Notte (Nyx), due divinità primordiali legate rispettivamente all’oscurità e alla notte. Il suo compito principale era traghettare le anime dei defunti che avevano ricevuto i corretti riti funebri, attraverso il fiume che separava il mondo dei vivi dall’Ade, il regno dei morti. Solo le anime dei defunti sepolti correttamente, con la moneta chiamata obolo posta sotto la lingua o sugli occhi, potevano ottenere il passaggio. Le anime che non ricevevano una sepoltura adeguata o non avevano l’obolo venivano condannate a vagare per l’eternità lungo le sponde del fiume.

Caronte è solitamente descritto come un vecchio scorbutico, dall’aspetto ruvido e poco amichevole, che chiede un pagamento in cambio del suo servizio. Il suo lavoro è incessante: trasporta le anime lungo le acque torbide e nere del fiume su una barca scura e malconcia, senza mostrare pietà o emozione. Il viaggio attraverso l’Acheronte, un fiume che simbolizza il confine tra la vita e la morte, è un rito di passaggio che segna l’ingresso definitivo delle anime nel mondo sotterraneo.

La figura di Caronte incarna il concetto di transizione: egli è il guardiano di una soglia, un intermediario tra due mondi, il vivo e il morto. Non giudica le anime che trasporta; il suo compito è esclusivamente quello di traghettarle, lasciando il giudizio finale ad altre divinità come Ade o i giudici dell’oltretomba. Caronte non è quindi una figura malvagia, ma necessaria all’ordine cosmico, poiché garantisce il passaggio tra i regni e mantiene l’equilibrio tra vita e morte.

La figura di Caronte nell’Eneide

La figura di Caronte è descritta con grande potenza nell’Eneide di Virgilio, uno dei testi più importanti della letteratura latina. Nell’opera, Enea, l’eroe troiano, scende nel regno dei morti per incontrare l’anima del padre Anchise. Durante il suo viaggio nell’Ade, Enea giunge sulle rive del fiume Acheronte e incontra Caronte. La descrizione che Virgilio fa del traghettatore è particolarmente suggestiva e carica di tensione.

Caronte, secondo Virgilio, è un vecchio con una barba bianca e ispida, gli occhi ardenti come tizzoni di fuoco e un mantello logoro. Nonostante l’età avanzata, ha una forza immensa e continua a trasportare le anime dei morti senza sosta. Il suo aspetto è quello di una figura severa e spietata, che non tollera domande o insubordinazioni. Virgilio lo presenta come un essere rude e scorbutico, che osserva attentamente le anime e non permette a nessuno di attraversare senza il pagamento dell’obolo.

Nel viaggio di Enea, la Sibilla, che accompagna l’eroe, convince Caronte a permettere a Enea di attraversare il fiume, nonostante fosse ancora vivo. Caronte, inizialmente riluttante, acconsente solo dopo aver riconosciuto l’importanza dell’eroe e delle sue imprese. Questa scena nell’Eneide sottolinea il potere e la natura inflessibile di Caronte, ma allo stesso tempo mostra la sua subordinazione alle leggi divine e al destino. Virgilio, con la sua descrizione, rende Caronte un simbolo dell’ineluttabilità della morte, una figura che non può essere aggirata, ma solo affrontata e rispettata.

La figura di Caronte nella Divina Commedia

Un altro celebre ritratto di Caronte è quello che compare nella Divina Commedia di Dante Alighieri, precisamente nel Canto III dell’Inferno. Qui, Caronte appare come il primo personaggio che Dante e Virgilio incontrano all’ingresso dell’Inferno. Dante riprende la tradizione classica, ma arricchisce la figura di Caronte con dettagli che riflettono la sua visione cristiana del mondo e del peccato.

Nella Commedia, Caronte è descritto come un vecchio dalla barba bianca e occhi infuocati, simile alla descrizione virgiliana, ma con una sfumatura più cupa e terrificante. È presentato come una figura demoniaca, il primo a traghettare le anime dannate verso la loro eterna punizione. Con la sua voce potente, Caronte intima alle anime di abbandonare ogni speranza e di prepararsi a soffrire nell’Inferno. Egli è descritto come un essere furioso e impaziente, che colpisce le anime recalcitranti con il suo remo per costringerle a salire sulla sua barca.

Dante, come Enea, si trova ancora vivo di fronte a Caronte, e questo suscita la reazione del traghettatore. Caronte, infatti, si rifiuta inizialmente di traghettare un’anima vivente, ma viene zittito da Virgilio, che gli ricorda che il viaggio di Dante è voluto da un’autorità superiore. Questo dettaglio evidenzia come, nella Divina Commedia, Caronte non abbia alcun potere di decidere chi può attraversare il fiume e chi no: egli è subordinato alla volontà divina.

La figura di Caronte nella Divina Commedia incarna la giustizia divina: il traghettatore non fa distinzioni, non prova pietà e non è soggetto ad alcun giudizio umano. La sua funzione è quella di eseguire gli ordini superiori, traghettando le anime dannate verso il loro destino finale. La sua presenza nel poema dantesco rappresenta il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e la sua barca diventa il simbolo dell’inevitabilità della morte e della separazione eterna.