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Il mito di Eco e Narciso

Un racconto immortale, vivido esempio di una storia d’amore, bellezza e vanità, che ha attraversato i secoli, stimolando e influenzando opere letterarie, artistiche e filosofiche

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Il mito di Eco e Narciso affonda le sue radici nell’antica Grecia e si distingue dalla vastità delle storie di dei, eroi e creature fantastiche, per essere un vivido esempio dell’intreccio tra amore, bellezza e vanità. Dalle acque specchiate in cui Narciso si perde, all’amore di Eco, che si propaga, inascoltato, tra le montagne dove vive la ninfa. Un racconto immortale, capace di attraversare i secoli, influenzando opere letterarie, artistiche e filosofiche, nel quale immergersi per scoprirne a pieno la profondità e il significato.

Il mito

Narciso è il frutto dell’amore tra Cefiso, dio delle acque, e la ninfa Lirope, che volendo preservare la straordinaria bellezza del figlio, si reca dall’astrologo Tiresia per sapere dall’oracolo come preservarla. La risposta è però enigmatica: “Il giovinetto vivrà molto a lungo e la sua bellezza non si offuscherà, se non conoscerà se stesso”. In pratica, il destino del ragazzo sarà quello di mantenere intatto il suo aspetto, a patto che non veda mai il suo volto.

Così Narciso cresce e con la sua bellezza fa strage di cuori tra le ninfe, ma non ne corrisponde l’amore, preferendo condurre una vita solitaria, cavalcando tra le foreste e andando a caccia di animali selvatici. Proprio durante una di queste sue escursioni, viene visto da Eco, ninfa della montagna, nota per la sua loquacità e per la voce melodiosa, con la quale è abilissima a ripetere i suoni le parole, che se ne innamora perdutamente.

Narciso, però, superbo e troppo preso da se stesso, ignora i richiami di Eco, che inizia a seguirlo ovunque andasse, accontentandosi anche solo di accarezzarlo con lo sguardo da lontano, struggendosi per l’amore non corrisposto. Il dolore la consuma anche fisicamente, tanto che il corpo della ninfa diventerà quasi trasparente e non più in grado di proiettare l’ombra sul suolo.

Consumata dal sentimento incontrollabile, Eco si rinchiude in una profonda caverna ai piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare, e da lì continua ad invocare l’amato, che pur udendone il richiamo non avrà mai neanche la tentazione di seguirlo. Così della ninfa, dopo notti d’angoscia, restano solamente le ossa e la voce, che però si fa più fioca e lontana, ripetendo solamente l’ultima sillaba delle parole udite.

L’indifferenza di Narciso rispetto all’agonia di Eco suscita però il risentimento da parte degli dei, che decidono di dare una lezione al bel giovinetto e punire tanta ingratitudine, facendolo cadere vittima del suo stesso amor proprio.

Così, un giorno, durante una delle sue consuete escursioni nei boschi, Narciso è attirato in trappola da Nemesi, dea della vendetta, decide di bagnarsi in uno specchio d’acqua dalla straordinaria limpidezza e, per la prima volta, vede riflessa l’immagine del suo splendido viso, innamorandosene perdutamente all’istante. Un’attrazione fatale, perché ogni giorno il giovane tornerà nello stesso posto per ammirare quell’immagine che gli sfugge, increspandosi e scomparendo, ogni qual volta allunga la mano per accarezzarla. Fino a quando, sporgendosi nel tentativo di vederla meglio, perde l’equilibrio, cadendo nelle fredde acque che subito si richiudono per sempre sopra di lui. La sua bellezza resterà però ammirata, perché da quelle acque nascerà un fiore giallo e dal profumo inebriante, che prenderà il suo nome.

Analisi

Questo mito contiene in sé molti elementi ripresi dalla moderna psicoanalisi, dalla figura di Liriope, madre di Narciso, che addirittura si rivolge a Tiresia per conoscere “l’elisir di eterna giovinezza e bellezza per la prole di cui tanto andava orgogliosa”, a quelle di Narciso e di Eco, contrapposte per natura, come la vista e l’udito che le guidano. L’uno è completamente assorbito dall’ammirazione di se stesso e incapace di connettersi con il mondo esterno, l’altra è incapace di interrompere il suo richiamo e si consuma nell’attesa di un amore non corrisposto. In tal senso, Narciso rappresenta un monito sulle conseguenze nefaste di una auto-ammirazione che sconfini nell’ossessione di sé. Ossessione che è anche protagonista dell’amore di Eco, che non perde mai la speranza di poter arrivare al cuore di Narciso, nonostante l’impossibilità di comunicare con lui per la condanna a potersi esprimere solamente ripetendo le ultime parole udite.

Bellezza e vanità, dunque, hanno recitato un ruolo cruciale nel plasmare l’essenza umana fin dagli albori dei tempi, ma mentre una volta la bellezza era considerata alla stregua di un dono divino, la vanità è sempre stata considerata un pericolo o una trappola. Narciso, con la sua incapacità di guardare oltre il suo riflesso, ed Eco, con il suo desiderio non corrisposto, rappresentano due aspetti fondamentali della psiche umana: l’egoismo e il desiderio. E se l’uno è la figura della pura e totale identità, che si sublima in un’immagine riflessa e irraggiungibile, l’altra rappresenta la pura alterità, totalmente incapace di esprimersi autonomamente, rendendo impossibile la comunicazione tra le due.

“Questi sono io, né la mia immagine mi inganna!”