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Mitologia greca: il mito di Narciso

La storia, di cui esistono varie versioni, di cui la più famosa è contenuta nelle Metamorfosi di Ovidio, narra di un giovane la cui bellezza coincise con la sua rovina

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Chi era Narciso

Il mito di Narciso è uno dei più importanti e conosciuti dell’intera mitologia greca. Ne esistono diverse versioni, la più famosa delle quali è contenuta nelle Metamorfosi di Ovidio. Nacque dall’unione del fiume Cefiso con la ninfa Liriope (o da quella di Oceano e Teti secondo altri autori), che la avvolse nelle sue onde e nelle sue correnti per possederla, e sin dai primi attimi di vita spiccò per delle indescrivibili grazia e bellezza, che quasi lo accomunavano ad un dio. La madre, desiderosa di conoscere il suo destino, si recò da Tiresia, il più grande fra tutti gli indovini e che la sorte aveva reso cieco per aver posato gli occhi su Atena mentre era nuda: fu proprio la dea della guerra, tuttavia, a fargli dono del vaticinio. Tiresia, dopo aver ascoltato le richieste di Liriope, affermò – con tono greve – che Narciso avrebbe avuto una lunga vita nel caso in cui non avesse conosciuto se stesso. La madre, tuttavia, non comprendendo il significato di tali parole, andò via e, con il passare del tempo, dimenticò la profezia. Narciso crebbe e la sua bellezza fece cadere preda dell’amore chiunque lo ammirasse, sia uomini che donne, ma egli rifiutò qualsiasi attenzione. Anzi, sviluppò una tale vanità – e con essa una certa insensibilità – che si dice che un giorno regalò una spada a un suo spasimante, Aminio, perché si suicidasse – trafiggendosi il cuore sulla soglia di casa – per dimostrare l’amore che provava nei suoi confronti. Nefasto, per entrambi, fu l’incontro con la ninfa Eco: si dice che la sposa di Zeus, Era, estremamente gelosa e perennemente impegnata nell’affannosa ricerca dei tradimenti del marito, si rese conto un giorno che le sue lunghe chiacchierate con Eco altro non erano che un modo per tenerla lontana dagli ‘affari’ del re degli dei olimpi. La sua rabbia fu talmente grande che condannò la ninfa a ripetere per sempre solo le ultime parole delle frasi che le venivano rivolte. Così, un giorno, mentre Narciso era intento a girovagare per i boschi tendendo reti tra gli alberi al fine di catturare cervi, fu visto da Eco che, non potendo proferire favella alcuna, si limitò a guardarlo incantata.

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Il tragico destino di Narciso

Per diverso tempo Eco osservò Narciso da lontano, senza farsi notare, fin quando il giovane – smarriti i compagni e il sentiero per seguire alcuni cervi – non iniziò ad urlare chiedendo aiuto. La ninfa, allora, decise di mostrarsi e tese le braccia verso di lui, offrendosi teneramente, con il cuore traboccante d’amore. La reazione di Narciso, tuttavia, fu ancora una volta brutale e spietata e fuggì inorridito alla sua vista, al punto che la fanciulla, avvilita e distrutta dalla vergogna, scappò via disperata, si nascose nel bosco e iniziò a vivere in solitudine. La sua mente, però, era ossessionata da Narciso e tale pensiero si fece ogni giorno sempre più opprimente, fino a che non si dimenticò della sua stessa vita e deperì, scomparendo: da quel momento, la sua presenza si manifestò soltanto attraverso la voce, ripetendo all’infinito le ultime parole che le vennero rivolte. Gli dei decisero allora di punire Narciso per la sua freddezza e, a tale scopo, inviarono la dea della vendetta Nemesi: ella fece in modo che il giovane, chinandosi presso una fonte per bere un sorso d’acqua, s’innamorò perdutamente della sua immagine riflessa. Non essendo consapevole di avere di fronte se stesso, ‘vittima’ di un cuore palpitante e di un amore profondo e sincero, Narciso offriva a quella figura sguardi languidi, mandando baci e tenere carezze, ma ogni volta che immergeva le braccia, essa spariva. Rimase pertanto per giorni interi nel tentativo di afferrarla, senza rendersi conto che il tempo scorreva inesorabilmente, dimenticandosi di mangiare e di bere, mosso dalla sola speranza che quel malefico sortilegio che faceva scomparire quella splendida e irresistibile immagine finalmente finisse. Ma ciò non avvenne e Narciso morì di stenti, chino nella fonte che gli regalò il vero amore, anelando un abbraccio dal suo stesso riflesso. Si narra che, quando le Naiadi e le Driadi andarono a recuperare il suo corpo inerme per collocarlo sulla pira funebre, al suo posto trovarono un meraviglioso fiore bianco, che da quel momento prese il suo nome. Narciso, tuttavia, raccontavano gli antichi, non imparò la lezione neppure dopo essere passato a miglior vita: nell’Oltretomba, infatti, continuò a cercare il suo grande amore nelle acque del nero fiume.