Salta al contenuto

Mitologia greca: la favola di Amore e Psiche

Uno dei miti più romantici della storia racconta di un profondo sentimento ostacolato dall'invidia di una dea: Venere

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Da Apuleio a David e Canova

La storia di Amore e Psiche è uno dei miti più romantici, appassionanti e al tempo stesso struggenti mai raccontati nella storia e narra del profondo sentimento di due giovani che, nonostante le numerose peripezie e difficoltà create da una dea invidiosa, riescono a ricongiungersi. La favola, probabilmente proveniente – almeno in parte – dal repertorio della fabula Milesia e ricca di riferimenti al mondo greco-latino, nordafricano e – secondo alcuni storici – siriano, è contenuta nelle Metamorfosi, scritte da Apuleio nel II secolo d.C., e ha ispirato numerosi artisti nel corso del tempo. Tuttavia, a dare un volto, un’espressione e, in certi sensi, un’anima ai due innamorati, ancor più del dipinto di Jacques Louis David, è il capolavoro di Antonio Canova, l’omonimo gruppo scultoreo custodito fra le collezioni permanenti del Museo del Louvre: vi è rappresentato il risveglio di Psiche che, anche se ancora priva di forze, tende le braccia verso l’amato, in un abbraccio che incornicia il volto di Amore.

Mitologia greca: la storia di Apollo e Dafne

La favola di Amore e Psiche

Secondo la leggenda, Psiche era un’incantevole fanciulla, talmente bella da essere sovente chiamata ‘Venere’. Proprio tale appellativo, non appena esserne venuta a conoscenza, scatenò le ire della vera dea, che decise di affidare a suo figlio Amore (cioè, Cupido) la sua sete di vendetta: nelle intenzioni di Venere, infatti, Psiche si sarebbe dovuta innamorare dell’uomo più brutto e avaro del mondo. Tuttavia, le cose non andarono come preventivato e, nello scoccare la freccia, Amore sbagliò mira, con il dardo che finì invece per colpire se stesso. Pertanto, con la ragazza perdutamente innamorata di lui, Cupido decise di unirsi a lei. I genitori di Psiche, nel frattempo, desiderosi di trovarle un marito, la abbandonarono su una rupe seguendo il consiglio di un oracolo, che aveva profetizzato che ella sarebbe stata portata via da un essere mostruoso, temuto perfino dagli dei, molto simile a un drago. Sulla rupe, tuttavia, ad arrivare non fu una tale, spaventosa creatura, bensì Amore che, con l’aiuto di Zefiro, la prese con sé e la portò nel suo palazzo. Senza mai rivelarle il proprio volto e totalmente di nascosto da sua madre, Venere, il dio dio dell’amore divino e del desiderio sessuale giacque con la ragazza durante la notte, in un atto talmente passionale “che nessun mortale conosce, né conoscerà mai”. La relazione proseguì nonostante il ‘mistero’ circa l’identità di Cupido, che continuò a non svelare: anzi, egli riuscì a far promettere a Psiche che non cercherà mai di vedere il suo volto, pena l’immediata interruzione della loro relazione.

Nonostante il giuramento, però, mossa da un’ardente curiosità, alimentata anche dalle sue sorelle, la giovane disobbedì all’amato e, di nascosto, si avvicinò a lui con una lampada, ammirando il suo viso e restando estasiata dalla sua bellezza. Una banale distrazione, tuttavia, fece sì che una goccia d’olio cadde, svegliando Amore il quale, vedendo tradita la propria fiducia, scappò via, lasciandola sola nel castello. In preda alla disperazione, la ragazza tentò invano di seguirlo, cercandolo ovunque e finendo in diversi templi e fermandosi in ognuno di essi per portare le sue cure. Quando giunse a quello di Venere, si consegnò alla dea chiedendole perdono, nella speranza di placare la sua ira. La dea la sottopose a diverse prove al limite dell’impossibile per un essere umano, che riuscì a superare soltanto grazie al prezioso aiuto di altre creature, mortali e, soprattutto, divine, mosse dalla compassione. Venere, letteralmente furiosa, le chiese quindi un’ultima prova, convinta che non avrebbe avuto successo: Psiche, infatti, sarebbe dovuta scendere negli inferi al fine di chiedere a Proserpina parte della sua bellezza. Ancora una volta, grazie a delle intrusioni esterne alla faccenda, fece ritorno con un’ampolla da non aprire per nessun motivo ma ella, curiosa, ingenua e disobbediente, non rispettò l’ordine: all’interno, tuttavia, era contenuto un sonno profondissimo che, per mezzo di una nuvola che la avvolse, la fece cadere addormentata. Fu poi Amore a svegliarla, che si rivolse a suo padre, Zeus, al fine di portarla con sé sull’Olimpo. Qui Psiche, bevendo l’ambrosia, ottenne l’immortalità e il suo amore con Cupido, finalmente accettato da tutti gli dei, venne festeggiato con un banchetto nuziale. Da quel momento, Psiche divenne la dea protettrice delle fanciulle e, poco dopo, diede alla luce Voluttà.