Enrico Fermi, biografia e scoperte del fisico italiano
Dopo aver teorizzato il decadimento beta e la statistica di Fermi-Dirac, progettò la costruzione del primo reattore nucleare a fissione e fu uno dei direttori tecnici del Progetto Manhattan, che portò alla realizzazione della bomba atomica. I suoi successi in ambito scientifico gli valsero il premio Nobel per la fisica nel 1938
“La professione del ricercatore deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l’amore di scoprire nuove verità, dato che in tutte le direzioni siamo circondati dall’ignoto e la vocazione dell’uomo di scienza è di spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, non solo in quelle che promettono più immediati compensi o applausi“.
Niente, meglio delle sue stesse parole, pronunciate nel 1947, può descrivere la grandezza di Enrico Fermi. In suo onore, vennero chiamati ‘fermio’ un nuovo elemento della tavola periodica (con il simbolo di Fm), ‘fermi’ un sottomultiplo del metro comunemente usato in fisica atomica e nucleare e ‘fermioni’ una delle due classi di particelle della statistica quantistica.
- Enrico Fermi: la vita e le prime scoperte
- Enrico Fermi, dalla statistica delle particelle al premio Nobel
- Il progetto Manhattan e la bomba atomica: gli ultimi anni di Fermi
Enrico Fermi: la vita e le prime scoperte
Nacque a Roma il 29 settembre 1901 da Alberto, piacentino ed ispettore capo presso il Ministero delle poste e dei telegrafi, e Ida De Gattis, barese ed insegnante di una scuola elementare della Capitale. Ultimo di tre figli, mostrò sin dalla più tenera età spiccate doti mnemoniche e un’intelligenza fuori dal comune, al punto da terminare il ginnasio con un anno d’anticipo, nonostante il dolore per la prematura perdita del fratello Giulio, al quale era legatissimo. “L’eredità” lasciatagli dal fratello fu l’amicizia con Enrico Persico: i due, anche grazie agli insegnamenti del professore di fisica Filippo Eredia, si ‘stimolarono’ vicendevolmente per anni nella conduzione di studi e ricerche, un virtuoso modus operandi che permise ad entrambi – nel 1926 – di vincere due delle prime tre cattedre di fisica teorica istituite in Italia. Consigliato dall’amico di famiglia e ‘tutor’ personale, l’ingegner Adolfo Amidei, appena 17enne, s’iscrisse all’Università di Pisa, superando al contempo il concorso per la prestigiosa Scuola Normale Superiore. Si mise subito in luce in campi quali la relatività generale, la meccanica quantistica e la fisica atomica, oltre che nel ‘padroneggiare’ il calcolo tensoriale, tanto che il direttore dell’Istituto di Fisica dell’ateneo toscano, Luigi Puccianti, gli chiese di organizzare alcuni seminari. Tra il 1921 e il 1922, oltre ad una serie di lavori pubblicati su alcune importanti riviste scientifiche non solo italiane, introdusse quelle che verranno in seguito denominate le coordinate di Fermi, dimostrò che – in prossimità di una linea oraria – lo spazio si comporta come se fosse euclideo, iniziò la sua tesi sperimentale sulle immagini di diffrazione dei raggi X prodotte da cristalli curvi, si laureò il 4 luglio all’università pisana e si diplomò – tre giorni dopo – alla Normale, in entrambi i casi ottenendo la ‘magna cum laude’. Nel 1923 si recò per sei mesi – grazie ad una borsa di studio – alla scuola di Max Born, a Gottinga, in Germania, ma non riuscì ad ambientarsi: ciò non gli evitò di proseguire la propria attività scientifica, palesata dalla pubblicazione di alcuni articoli, fra cui quello nel quale dimostrò i limiti di validità del principio di Ehrenfest. Tornato a Roma, quindi, in un nuovo lavoro, presentò il paradosso della statistica classica in relazione al calcolo della probabilità dei diversi stati quantici di un gas di atomi a temperatura elevata, sviluppò la teoria del fenomeno della risonanza ottica e gettò le basi per la nuova statistica quantistica che porta il nome di ‘statistica di Fermi-Dirac’, scoperta ufficialmente due anni più tardi. Grazie ad una nuova borsa di studio si trasferì a Leida, nei Paesi Bassi, dove elaborò un metodo, poi chiamato ‘dei quanti virtuali’ o ‘metodo dei fotoni equivalenti’, che attirò le (ingiustificate) critiche del fisico danese Bohr. Durante il soggiorno olandese ebbe modo di conoscere autorità mondiali della fisica, come Einstein e Lorentz, e di stringere una grande amicizia con Samuel Goudsmit e Niko Tinbergen. Il ritorno in Italia, in qualità di professore di fisica matematica presso l’istituto fiorentino Antonio Garbasso, avvenne a cavallo tra il ’24 e il ’25, periodo caratterizzato anche dalle importanti ricerche sperimentali sugli spettri atomici per mezzo di campi a radiofrequenza e dal tentativo di dar vita – a Roma – alla prima cattedra di fisica teorica in Italia, per la quale dovrà attendere un anno e mezzo.
Enrico Fermi, dalla statistica delle particelle al premio Nobel
Non del tutto convinto dalla nuova meccanica quantistica (la ‘meccanica delle matrici’) sviluppata da Born, Heisenberg e Jordan, ed affascinato da quella ondulatoria di Schrödinger, Fermi – nel dicembre 1925 – scrisse il suo celebre lavoro ‘Sulla quantizzazione del gas perfetto monoatomico’, nel quale formulò la statistica antisimmetrica Fermi-Dirac, a cui obbediscono le particelle elementari a spin semintero. Fu una scoperta di rilevante valore, in quanto generale, e quindi applicabile ad un gran numero di particelle, che divise in due gruppi: le sopracitate, poi chiamate in suo onore ‘fermioni’, e quelle con spin intero, dette bosoni – come il fotone – e che obbediscono alla statistica di Bose-Einstein. Inoltre, in questo periodo Fermi si spese al fine di trasformare l’Istituto di via Panisperna in un centro di avanguardia a livello mondiale, all’interno del quale, tra il 1927 e il 1928, formò il famoso gruppo noto come ‘I ragazzi di via Panisperna’, composto da menti brillanti quali Franco Rasetti, Orso Mario Corbino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Ettore Majorana, Bruno Pontecorvo ed Oscar D’Agostino. Si dedicarono dapprima all’effetto Raman in molecole e cristalli, agli spettri di assorbimento dei metalli alcalini e alle strutture iperfini delle righe spettrali e poi, dopo aver compreso che la meccanica quantistica aveva risolto la maggior parte delle questioni aperte, spostarono il focus sul nucleo dell’atomo. Fermi, nominato nel ’29 da Mussolini membro della ‘Reale Accademia di Italia’ ed iscrittosi al partito fascista, concentrando i copiosi investimenti sulla fisica nucleare e sulla fisica dei raggi cosmici, organizzò – nelle vesti di segretario – due anni più tardi uno storico congresso internazionale di fisica nucleare – aperto con un intervento dello stesso Duce – dall’importanza scientifica enorme e che vide la partecipazione di personaggi del calibro di Marie Curie, Niels Bohr, Patrick Blochett, Robert Millikan, Arthur Compton, Werner Heisenberg e Wolfgang Pauli. Proprio quest’ultimo, in un discorso accolto con grande entusiasmo da Fermi, avanzò per la prima volta l’esistenza di una nuova particella, il neutrino. A distanza di pochi mesi dal convegno Solvay, poi, Fermi pubblicò la celebre teoria del decadimento beta dal titolo ‘Tentativo di una teoria dei raggi β’: essa aprì di fatto un nuovo campo, quello della fisica delle interazioni deboli. Nel 1934, insieme a Rasetti e con l’aiuto del chimico D’Agostino, iniziò a lavorare sulla radioattività artificiale e, in poco tempo, irradiò con neutroni circa 92 elementi della tavola periodica, molti dei quali vennero identificati come nuovi elementi radioattivi, tra cui l’esperio e l’ausonio, in onore di due antiche civiltà italiche. Convinto, tuttavia, di alcuni errori (i due ‘nuovi elementi’, ad esempio, altro non erano che la fissione dell’uranio), non gradì la scelta di Corbino di rendere pubblica la scoperta alla presenza del re Vittorio Emanuele III. In totale solitudine, e quasi per ‘sbaglio’, notò come la paraffina – in quanto ricca di idrogeno, e quindi di protoni – ‘rallentasse’ i neutroni incidenti amplificando la loro efficacia nel determinare la radioattività artificiale. La scoperta, per quanto casuale, dei ‘neutroni lenti’ gli valse nel 1938 il premio Nobel per la fisica, che consolidò definitivamente la sua fama a livello mondiale.
Il progetto Manhattan e la bomba atomica: gli ultimi anni di Fermi
All’indomani dell’importante riconoscimento Fermi si recò a Copenaghen dove, con Bohr e la moglie, si imbarcò su un transatlantico diretto a New York, dove giunse il 2 gennaio 1939. Dopo un primo periodo alla Columbia University, all’interno di un team sperimentale che condusse il primo esperimento di fissione nucleare negli Stati Uniti, si trasferì a Chicago, cominciando la costruzione della prima pila nucleare, la Chicago Pile-1. La minaccia nazista, la lettera di Einstein a Roosevelt e il fondo da 6mila dollari stanziato dalla Marina diedero ufficialmente inizio al ‘progetto Manhattan’. Il 2 dicembre 1942 il gruppo guidato da Fermi iniziò la prima reazione nucleare a catena auto-alimentata e il messaggio in codice “Il navigatore italiano è giunto nel nuovo mondo” inviato dal generale Groves al presidente americano certificò come l’esperimento fosse stato concluso con successo. Lavorò attivamente alla messa in funzione della Chicago Pile 1, considerata l’inizio dell’era dell’energia nucleare, gestì le criticità provocate dai reattori ‘X-10 Graphite’ a Oak Ridge e ‘Reattore B’ nel sito di Hanford, entrò a far parte dell’Interim Committee, una commissione creata per affrontare la questione dell’eventuale uso della bomba atomica contro il Giappone, e presenziò al test nucleare Trinity del 16 luglio 1945, la prima esplosione nucleare della storia. L’esito, e la catastrofe di Hiroshima e Nagasaki ad esso collegata, è nota a tutti, ma l’uso improprio in ambito bellico non scalfì la straordinarietà della scoperta di Fermi, che venne, dopo la guerra, eletto membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, assunto come professore di fisica presso l’Università di Chicago, nominato membro del nuovo istituto per gli studi nucleari della medesima università e integrato nel Comitato consultivo generale della Commissione per l’energia atomica, che aveva nel frattempo sostituito il progetto Manhattan. Tornò in Italia una prima volta nel 1949, per partecipare a Como ad una conferenza sui raggi cosmici, ed una seconda, già gravemente malato, nel 1954, per tenere un corso di lezioni sulla fisica dei pioni e dei nucleoni a Varenna. Si spense a Chicago, vittima di un tumore dello stomaco, il 28 novembre dello stesso anno, a sole 53 primavere. Sepolto nell’Oak Woods Cemetery, una lapide commemorativa lo ricorda nel ‘Tempio dell’itale glorie’, la basilica di Santa Croce a Firenze.