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Leggi razziali, quando sono state varate

Gli anni dal 1938 al 1945 videro l’emanazione di una massiccia normativa diretta contro gli ebrei

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Con “Leggi razziali” ci si riferisce a quell’insieme di norme legislative ed amministrative, varate per la prima volta nella Germania nazista a cavallo tra gli anni ‘30 e ’40 del Novecento, rivolte alle minoranze “non gradite”, principalmente ebrei, omosessuali, disabili, rom, afro-tedeschi e Testimoni di Geova. Sulla scorta del deplorevole “esempio” tedesco, verranno applicate anche in Italia: il 18 settembre 1938, sarà Benito Mussolini a darne annuncio per la prima volta in Piazza Unità d’Italia a Trieste. Il presupposto su cui si fondano le leggi razziali è la teoria, rivelatasi priva di qualunque valore scientifico, dell’esistenza della razza italiana e della sua appartenenza alla categoria, tanto inesistente quanto assurda, delle cosiddette razze ariane.

“Manifesto della Razza”

A preparare il campo all’escalation di provvedimenti che faranno capo alle leggi razziali fasciste, in un clima di crescente antisemitismo, è il Manifesto degli scienziati razzisti, passato alla storia come “Manifesto della Razza”, pubblicato per la prima volta in forma anonima il 14 luglio 1938 su “Il Giornale d’Italia” e il 5 agosto sul primo numero della rivista “La difesa della razza”, sulla cui copertina un gladio romano si pone a difesa della pura razza italica, separandola da quella giudaica e da quella africana.

Il testo del manifesto è costituito da dieci punti in cui viene analizzata la questione razziale dal punto di vista del regime fascista. Vi si sostiene l’esistenza delle razze umane e di grandi e piccole razze; si definisce il concetto di razza come concetto puramente biologico; si afferma che l’origine della popolazione italiana era per la maggior parte ariana; si dichiara l’esistenza di una pura razza italiana data da un’antica purezza di sangue; si esortano gli italiani a proclamarsi razzisti e a trattare la questione da un punto di vista puramente biologico senza intenzioni filosofiche o religiose; viene fatta una netta distinzione tra i mediterranei d’Europa e quelli orientali e africani; si nega l’appartenenza degli ebrei alla razza italiana; si definisce inammissibile l’unione degli italiani con qualunque razza extra-europea, portatrice di valori diversi rispetto a quelli ariani.

Persecuzione “dei diritti”

Il 5 settembre 1938 il Regio decreto legge n. 1390 esclude i bambini e i docenti ebrei dalle scuole. Nello stesso giorno gli ebrei stranieri arrivati in Italia dopo il 1919 vengono espulsi dal Paese. Questi provvedimenti anticipano il varo delle leggi razziali in Italia, che vengono introdotte con il Regio decreto legge n. 1728 del 17 novembre 1938, che costringe gli ebrei a registrarsi in speciali elenchi e vieta loro di:

  • sposarsi con cittadini di razza ariana;
  • essere tutori o curatori di minori non ebrei;
  • avere domestici di razza ariana;
  • avere la proprietà o la gestione di aziende interessanti la difesa della Nazione;
  • essere proprietari, gestori o amministratori di aziende con oltre 100 dipendenti;
  • avere la proprietà di terreni dall’estimo superiore alle 5.000 lire e di fabbricati dall’estimo superiore alle 20.000 lire.

In campo lavorativo, gli ebrei non possono più essere dipendenti delle amministrazioni civili e militari dello Stato, del Partito nazionale fascista, degli enti pubblici locali, delle aziende municipalizzate, degli enti parastatali, delle banche di interesse nazionale e delle assicurazioni.

Da questi provvedimenti vengono esentate alcune “categorie” di ebrei, trai i quali i combattenti che hanno ottenuto riconoscimenti al valore nelle guerre del Novecento italiano, i parenti dei caduti e gli iscritti al Partito fascista, prima della marcia su Roma e nel secondo semestre del 1924.

Persecuzione “delle vite”

Quando le vicende della Seconda guerra mondiale portano all’occupazione nazista dell’Italia, dalla persecuzione “dei diritti”, rappresentata dai provvedimenti, alla “persecuzione delle vite”. Nonostante la strategia del regime fosse orientata a risolvere il problema degli ebrei allontanandoli dall’Italia, il precipitare della situazione internazionale rende praticamente impossibile il loro espatrio, sia spontaneo che coatto, il governo decide allora di attuare la politica dell’internamento, confinandone il maggior numero possibile in località dislocate soprattutto nel centro-sud e nel Veneto. Paradossalmente è però proprio dopo la caduta del fascismo, il 25 luglio del ’43, che per gli ebrei si apre il capitolo più doloroso della persecuzione, perché se fino a quel momento erano stati i loro diritti ad essere calpestati, da lì in avanti il pericolo sarà quello di perdere la vita.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’Italia è spaccata in due: il Sud e le isole sono sotto il controllo degli alleati e del Regno d’Italia, mentre le regioni centrali e settentrionali restano sotto il controllo dei nazisti e della Repubblica Sociale Italiana. La RSHA, che gestisce la politica antiebraica tedesca, ordina che gli ebrei italiani vengano arrestati e deportati in Germania, aprendo le porte alla fase finale della persecuzione:

  • Il 14 novembre del 1943 il manifesto programmatico della Repubblica Sociale Italiana afferma che “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”.
  • Il 30 novembre 1943 un ordine di polizia dispone l’arresto di tutti gli ebrei e il loro concentramento in campi provinciali e nazionali.
  • Il 4 gennaio 1944, un decreto legge stabilisce la confisca di tutti i beni mobili e immobili degli ebrei.

Si scatena così una massiccia caccia all’ebreo con retate e rastrellamenti, gli ebrei arrestati vengono raccolti in campi di concentramento prima provinciali e poi nazionali, prima di essere deportati nei campi di sterminio in Germania e in Polonia.

Fine delle leggi razziali

Se con l’armistizio si arriva rapidamente all’abrogazione delle leggi razziali nelle zone controllate dagli Alleati, sarà solo tra il 1944 e i 1947 che si giungerà alla cancellazione della legislazione razzista e antisemita. Il primo atto in tal senso sarà opera del governo Badoglio, che il 20 gennaio 1944 emana le “Disposizioni per la reintegrazione nei diritti civili e politici dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati di razza ebraica o considerati di razza ebraica”.