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Cartesio, vita e pensiero del filosofo e matematico francese

Fra i principali fondatori della matematica e della filosofia moderne, diede vita a ciò che oggi è conosciuto come razionalismo continentale, estendendo la concezione razionalistica di una conoscenza, ispirata alla precisione e alla certezza delle discipline scientifiche, a ogni aspetto del sapere

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Renato Cartesio, forma italiana di Renatus Cartesius, a sua volta latinizzazione umanistica del francese René Descartes, è stato ‘ribattezzato’ in forma ironica – in virtù di una traduzione letterale – da Giambattista Vico e altri autori del Seicento “Renato Delle Carte”.

Chi era Cartesio

Secondo il suo biografo Adrien Baillet, René Descartes nacque, in una casa “delle più nobili, delle più antiche e delle più in vista della Turenna“, a La Haye en Touraine, il 31 marzo del 1596, terzo figlio (dopo Jeanne e Pierre) di Joachim, un avvocato che acquistò la carica di consigliere nel Parlamento di Bretagna, e Jeanne Brochard. Per l’altro diarista Pierre Borel, invece, venne alla luce a Châtellerault, nel Poitou. Fu battezzato il successivo 3 aprile, nella chiesa di Saint-Georges, prese il nome dal padrino, lo zio materno e giudice a Poitiers, René Brochard des Fontaines, e fu immediatamente affidato a una balia, che si prese a lungo cura di lui e che gli sopravvisse, percependo da lui stesso un vitalizio, tanto che in punto di morte chiederà ai fratelli di mantenerlo al fine di sostenere l’anziana donna. Il 13 maggio 1597 morì la mamma per le conseguenze di un parto (e con ella il bambino) e papà Joachim si risposò intorno al 1600 con Anne Morin, una bretone conosciuta a Rennes, dalla quale ebbe altri due figli. Crescendo, Cartesio fu tormentato dalla prematura scomparsa della madre, dalla malattia da ella ereditata e, più in generale, da un rapporto tutt’altro che affettuoso con il padre, oltre che da un amore infantile probabilmente non ricambiato per una bambina affetta da strabismo, al punto che, in una lettera inviata all’amico Chanut il 6 giugno 1647, scrisse: “L’impressione che si produceva nel mio cervello quando guardavo i suoi occhi smarriti si congiungeva talmente con quella che suscitava la passione d’amore, che anche molto tempo dopo, se vedevo persone con gli occhi torti, mi sentivo trascinato ad amarle più di altre per il solo fatto che avevano quel difetto; e tuttavia non ne sapevo la ragione“.

Cartesio, la passione per filosofia e matematica

Nella Pasqua del 1607 entrò nel collegio di La Flèche, lo stesso in cui studiò il teologo e scienziato Marin Mersenne, che Cartesio conoscerà probabilmente intorno al 1622 e con cui strinse una solida e duratura amicizia. Nei suoi primi anni non sbocciò la passione per la filosofia, tantomeno per la matematica, il cui insegnamento risultò estremamente insufficiente. Nel 1616 iniziò a studiare diritto a Poitiers e due anni più tardi si arruolò volontario in uno dei due reggimenti francesi di stanza a Breda, nei Paesi Bassi, sotto il comando del principe d’Orange. Fu proprio qui che, il 10 novembre e in modo del tutto casuale, conobbe il medico Isaac Beeckman, che lo orienterà verso le scienze matematiche. Tanto che, già nel 1619, Cartesio informò l’amico di aver inventato dei compassi grazie ai quali aveva potuto formulare nuove dimostrazioni sui problemi relativi alla divisione degli angoli in parti uguali e alle equazioni cubiche, promettendo di sviluppare queste scoperte in un trattato ove avrebbe esposto “una scienza del tutto nuova“: la geometria analitica. Visitò Copenhagen, poi Francoforte sul Meno e quindi – dopo essersi arruolato per combattere la Guerra dei trent’anni – a Neuberg. Fu tuttavia sempre molto distaccato dalle vicende reali, sviluppando la capacità di estraniarsi e isolarsi (“Me ne restavo tutto il giorno chiuso da solo in una stanza riscaldata“, scrisse), tranne quando era mosso da curiosità intellettuale. In fondo, non avrebbe dato nulla per assodato, a meno che non si presentasse alla mente “con tale chiarezza e distinzione da non avere alcun motivo di dubitarne“, come affermerà – 15 anni dopo – nel Discorso sul metodo. Infatti, è probabile che, proseguendo le sue ricerche sulle corrispondenze dell’algebra con la geometria, avesse raggiunto la convinzione che il sapere potesse essere unificato in un’unica scienza della quale le singole discipline ne formavano una branca, come scriverà nelle Regulae ad directionem ingenii. Nel 1622 fece ritorno in Francia, prima a Rennes dalla famiglia, poi a Parigi ospite di un amico del padre, Nicolas Le Vasseur, che gli presentò il matematico Didier Dounot, poi partì per l’Italia, prima di rimettersi in viaggio per la capitale transalpina nel 1625. Abbandonò l’esercito e decise di vivere dei proventi dei suoi possedimenti terrieri, che gli consentivano di avere un’esistenza dignitosa e tanto tempo a disposizione per studiare.

Nel novembre 1627 partecipò a una riunione di scienziati e filosofi, poi si trasferì in Bretagna, quindi nel Poitou, e di nuovo a Parigi per due volte, a cavallo di altrettanti viaggi in Olanda: prima a Dordrecht, a trovare l’amico Beeckman, poi a Franeker, dove il 26 aprile 1629 si iscrisse all’Università per frequentare i corsi di filosofia. Dal 1630 cominciò a lavorare al Le Monde ou traité de la lumière, che non pubblicò in quanto sposava molte delle tesi di Copernico condannate dalla Chiesa, poi si dedicò alle Regulae, dove parlò di “matematica universale” e di “scienza dell’ordine“, quindi a Il Mondo, dove affronta il problema della fisica, individuando il principio al quale tutti i fenomeni fisici obbediscono: la conoscenza “chiara e distinta“. Nel 1635 diventò padre di Francine, avuta da una domestica, Helena Jans Van der Strom, che non sposò neppure dopo il parto, ma la bambina morì a soli cinque anni. Nel 1637 pubblicò in un volume il Discorso sul metodo come prefazione ai saggi su Diottrica, Geometria e Meteore, nel 1641 le Meditazioni metafisiche corredate dalle prime sei Obiezioni e risposte e l’anno successivo la seconda edizione con le settime Obiezioni e risposte. La sua filosofia, ad ogni modo, venne condannata dall’Università di Utrecht e accusata di pelagianesimo e persino di ateismo da parte di ambienti calvinisti già nel 1643 e dal 1647 ottenne una pensione dalla corona di Francia. Trasferitosi a Stoccolma nel 1649, accettando l’invito della regina Cristina di Svezia, sua discepola cui dedicò il trattato Le passioni dell’anima, cadde presto vittima delle rigide temperature scandinave, che minarono ulteriormente la sua salute cagionevole. Secondo l’ipotesi più accreditata, Cartesio morì l’11 febbraio 1650 a causa di una polmonite. Tredici anni dopo la Chiesa condannò il suo pensiero, con la messa all’indice delle sue opere.

Il pensiero di Cartesio

Alla base del pensiero cartesiano c’è la finalità della filosofia quale strumento di ricerca della verità, nonché come mezzo finalizzato al miglioramento della vita dell’uomo. Il criterio basilare della verità è l’evidenza, vale a dire tutto ciò che non può essere soggetto al dubbio. Persino la matematica e la geometria, discipline che “esulano dal mondo sensibile“, si rivelano fasulle nel momento in cui si ammette la possibilità che un’entità superiore (il “genio maligno“) faccia apparire come reale ciò che non lo è (“dubbio iperbolico“): pertanto, l’unica certezza che resta all’essere umano riguarda l’atto del dubitare, mediante il quale si è sicuri di esistere (“cogito ergo sum“). In altre parole, l’uomo esiste in quanto pensiero. Proprio partendo dalla coscienza di sé, arriva a formulare due prove ontologiche e una cosmologica riguardo l’esistenza di Dio. Egli, che nella concezione cartesiana è Bene e pertanto non può ingannare la sua creatura, cioè l’essere umano, si rende garante del metodo, permettendo al filosofo di procedere alla creazione dell’edificio del sapere. Una visione criticata aspramente da molti filosofi suoi contemporanei, su tutti Pascal: del resto, per Cartesio, dimostrare l’esistenza di Dio equivaleva a un modo per garantirsi quei criteri di verità che gli sono serviti per dimostrarla.