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Anubi, descrizione e caratteristiche della divinità egizia

Cane, lupo africano o più probabilmente uno sciacallo. Dalle fattezze interamente animali o ibride, con corpo di uomo. Dai miti della nascita all’imbalsamazione dei morti: la storia affascinante e misteriosa di una delle divinità funerarie più importanti d’Egitto

Valeria Biotti

Valeria Biotti

SCRITTRICE, GIORNALISTA, SOCIOLOGA

Sono scrittrice, giornalista, sociologa, autrice teatrale, speaker radiofonica, vignettista, mi occupo di Pedagogia Familiare. Di me è stato detto:“È una delle promesse della satira italiana” (Stefano Disegni); “È una scrittrice umoristica davvero divertente” (Stefano Benni).

Oscure e controverse origini

Per alcuni, il quarto figlio dei dio Ra; secondo i Testi delle piramidi – la raccolta dei miti e dei testi religiosi più antica – e nei successivi Testi dei sarcofagi, generato assieme alla vacca celeste Hesat, nutrice degli dei.

In altre versioni, nato da Ra e dalla dea gatta Bastet. Anche se la versione più comune è quella che lo vede figlio di Osiride; versione molto amata, poiché in questo racconto dei “fatti” sarà lo stesso Anubi – in un secondo momento – il fautore della rinascita del padre negli inferi.

Ma andiamo per gradi.

Osiride aveva due sorelle – Iside e Nefti – e un fratello: Seth.
Mentre Osiride era unito in matrimonio con la sorella Iside, Nefti era legata a Seth.

A complicare ulteriormente il tutto, però – a quanto racconta Plutarco – era intervenuta una relazione extraconiugale tra Osiride e Nefti; da cui sarebbe nato appunto Anubi.

Scrive sempre Plutarco: «Ora, Iside apprese che Osiride s’era congiunto in amore con la sorella, per ignoranza, credendo che essa fosse Iside».
Fatto sta che Iside stessa decise di allevare il fanciullo: «ne fece una guida fedele, che l’accompagnava da per tutto, e gli diede il nome Anubi: si disse, poi, ch’egli stava vigile in difesa degli dei, come i cani fanno per gli uomini.»

Anubi l’imbalsamatore

Continuando a raccontare il mito, si giunge al momento in cui Anubi si mostra in tutta la sua intraprendenza, assurgendo così al ruolo di custode dei morti ma, ancor di più, dio della rinascita.

Seth, infatti, non aveva gradito la “deviazione” che aveva avuto il proprio matrimonio. Pertanto, aveva ucciso il fratello Osiride con tutto l’accanimento e la rabbia del caso: smembrando il suo corpo in 14 pezzi e disperdendolo per tutto il territorio egiziano.

Fu allora che Iside – sposa improvvisamente vedova – aveva iniziato a viaggiare per le terre d’Egitto al fine di ritrovare ogni singolo frammento del corpo del marito.
Una volta riuscita nell’impresa, li aveva consegnati al figlio Anubi perché facesse il possibile.

Con certosina attenzione, Anubi ricompose il corpo del padre e lo avvolse in bende.

I Testi dei sarcofagi ci restituiscono anche “il sonoro” dell’operazione. Anubi osserva il corpo del padre – di fatto la prima mummia di cui si abbia notizia – ed esclama: «Sorgi e vivi! Guarda le tue nuove sembianze! Trionfa sulle conseguenze del delitto di chi ti fece del male!»

Ricomposto in ogni sua parte, dunque, Osiride potè avere accesso al mondo dei morti di ci divenne divinità.
Anubi, nel contempo, si meritò la funzione e il ruolo di dio della mummificazione: ovvero il dio con il cui intervento il defunto sarebbe potuto rinascere nell’aldilà.

Ecco che la mummificazione diviene lo strumento, il passaggio fondamentale, per sopravvivere alla morte.

Le rappresentazioni del dio

Anubi, come si accennava, è uno sciacallo, un lupo, un canide nero.
Il colore scuro non tragga in inganno. Mentre per noi occidentali, oggi, l’associazione tra nero e lutto è pressoché automatica, in Egitto la simbologia era del tutto opposta.

Grigio scuro, quasi nero, infatti, è il colore del limo, il fango del Nilo che rende fertile l’intera regione e che porta in sé il germe della rinascita della natura e, dunque, della vita.

In virtù di tutto ciò, durante i rituali religiosi legati al processo di mummificazione, un sacerdote indossava una maschera con le fattezze del dio.

E non solo: si ricoprivano anche con una pelle di leopardo. Narra, infatti, il mito – consegnato ai posteri attraverso il Papiro Jumilhac – dello scontro tra Anubi e Seth trasformatosi in leopardo per profanare ancora una volta il corpo di Osiride.

Il leopardo, sempre secondo il mito del tempo, non possedeva il manto maculato che oggi conosciamo. Fu proprio Anubi che, una volta sottomesso Seth, ne marchiò la pelle attraverso un bastone di ferro arroventato.

Lo scorticò, poi, della stessa pelle e la indossò quale monito contro ogni profanatore di tombe.

I sacerdoti, dunque, durante il processo di mummificazione del defunto, oltre a vestire la maschera del dio, ne ricordavano anche l’impresa attraverso l’esibizione della pelle del leopardo.

Psicostasìa: la pesatura delle anime

Molti sono gli epiteti con cui è stato appellato Anubi.

  • Khentamentyu: «Signore degli Occidentali»
  • Nebtadjeser o Khentadjeser: «Signore della sacra terra»
  • Tepydjuef: «Colui che è sulla sua montagna»
  • Khentasehnetjer: «Colui che presiede il padiglione divino»,
  • Imyout: «Colui che è nell’ut, ovvero avvolto nelle bende delle mummie» o «Colui che è nel luogo dell’imbalsamazione»

Il ruolo che ci viene tramandato attraverso le illustrazioni contenute all’interno del Libro dei morti è quello che vede Anubi responsabile del passaggio fondamentale per l’accesso all’aldilà: la pesatura dell’anima del defunto.

Gli Egizi sono probabilmente il primo popolo – a quanto ne abbiamo notizia – che ritenesse di dover meritare l’immortalità attraverso gli atti compiuti in vita.

Come si poteva giudicare la virtù del defunto?

Attraverso la psicostasìa, appunto: pesandone l’anima.

All’interno del Duat – gli inferi – il cuore del defunto (ib, il cuore, che difatti non veniva asportato in fase di mummificazione della salma) veniva condotto nella Sala delle due Verità o Sala delle due Maat (che potremmo tradurre con Giustizia ma anche Equilibrio, Armonia).

Lì, Anubi poneva il cuore, custode dell’anima, su un piatto della bilancia, mentre sull’altro poneva la piuma di Maat.
Se il cuore non avesse superato il peso della piuma, allora il defunto – grazie alla propria esistenza condotta in modo virtuoso – avrebbe avuto accesso ai Campi Aaru, la residenza dei defunti, assieme a Osiride.
Altrimenti, sarebbe rimasto per sempre bloccato nel Duat, abbandonando ogni speranza d’immortalità.

Anubi e Tutankhamon

All’interno delle tombe dei re – o di personaggi illustri, nobili – Anubi veniva raffigurato attraverso pitture o sculture. Il suo compito – oltre a quello di accompagnare per mano il defunto verso l’immortalità – era anche quello di difendere dai ladri e dai profanatori il tesoro che aveva predisposto per il viaggio il morto.

Proteggere le ricchezze che il defunto avrebbe portato con sé, dunque, ma anche gli stessi Vasi Canopi all’interno dei quali erano contenute ben in ordine le viscere.

Proprio a guardia dei Canopi del Faraone, è stata rinvenuta una straordinaria statua di Anubi all’interno della tomba di Tutankhamon.