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Chi era l'imperatore Ottaviano Augusto

Fu il primo vero sovrano assoluto della Roma imperiale, promotore della 'Pax romana', il clima di ordine garantito dall'uguaglianza di leggi, lingua ed economia su tutto il vastissimo territorio, oltre che di un ampio progetto di rimodellando dell'Urbe, che regalò ai posteri una città gioiello nel mondo

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Divenuto ‘Imperator Caesar Divi filius Augustus’ nel 27 a.C., Ottaviano Augusto si batté al fine di trasmettere un’idea di grandezza di Roma e perseguì tale scopo riqualificando il Senato e l’ordine degli ‘equites’, tutelando gli intellettuali ‘amici’ del potere (come Virgilio, sostenuto con interesse per la propria celebrazione nell’Eneide), raccontando personali imprese eroiche nelle ‘Res gestae’ da lui stesso scritte ed abbellendo, da un punto di vista soprattutto architettonico, ogni angolo dell’Urbe: “Ho trovato una città di mattoni, ne lascio una di marmo“. Fu inoltre autore di importanti e longeve riforme in campo amministrativo, fiscale, monetario, urbanistico e di gestione di approvvigionamenti ed acqua.

Chi era Ottaviano Augusto

Gaio Ottavio Turino nacque a Roma il 23 settembre 63 a.C. dal padre omonimo, un uomo d’affari originario di Velletri che aveva ottenuto cariche pubbliche e un posto in Senato, ed Azia maggiore, a sua volta figlia di Marco Azio Balbo e Giulia minore, sorella di Gaio Giulio Cesare. Perse il padre già nel 59 a.C., nel 51 a.C. pronunciò l’orazione funebre per la nonna e il 47 a.C. indossò la toga virile, oltre a ricevere per volere del potente prozio – seppur senza avervi partecipato – alcune ricompense militari provenienti da una campagna in Africa. Lo seguì però in Spagna, dove diede sfoggio del proprio coraggio, prima di essere mandato ad Apollonia per studiare, oltre che per verificare i preparativi per una futura guerra contro i Parti. Alla morte di Giulio Cesare, nel 44 a.C., Ottaviano Augusto scoprì di essere stato adottato per testamento dal prozio e di essere stato indicato come erede avente diritto a 3/4 del patrimonio. Giunse così nella capitale, nonostante le rimostranze della madre e l’opposizione del patrigno, l’ex console Lucio Marcio Filippo, ma per la ratifica del testamento dovette attendere l’intervento di Cicerone, mentre il console superstite Marco Antonio prendeva tempo, cercando di mantenerne per sé il controllo. Come scrisse Svetonio “da questo momento, Ottaviano si procurò un esercito e governò la Res publica prima con Marco Antonio e Marco Lepido, poi per circa 12 anni con il solo Antonio (dal 42 al 30 a.C.), e infine per 44 anni da solo (dal 30 a.C. al 14)“.

Ottaviano Augusto, l’ascesa al potere

Le incomprensioni crebbero e nell’ottobre del 44 a.C. Marco Antonio richiamò a Roma le legioni stanziate in Macedonia, ma due di esse disertarono. Ottaviano, invece, si appellò ai veterani fedeli a Cesare. Il primo decise allora di rafforzare la propria posizione nella Cisalpina, marciando ed assediando Modena, in mano a Decimo Bruto, con il secondo – cui venne conferito eccezionalmente l’imperium di pretore in modo da legalizzare la condizione del suo esercito privato – che lo raggiunse e lo sconfisse due volte, il 14 e il 21 aprile del 43 a.C., sul campo di battaglia. Antonio, dopo la sconfitta, venne accolto da Marco Emilio Lepido, mentre Ottaviano – appena 20enne – si fece eleggere ‘console suffectus’ e fece approvare dal Senato la ‘lex Pedia’ contro i cesaricidi. Quindi, richiese un colloquio privato a tre da cui – il 27 novembre dello stesso anno – nacque il ‘secondo triumvirato’. I tre si spartirono i territori dell’impero – a Ottaviano toccarono la Siria, la Sardegna e l’Africa Proconsolare – e redassero una lunga lista di nemici: a Roma ci fu una vera e propria caccia all’uomo che porterà alla morte di 300 senatori, 2mila cavalieri e numerosi personaggi di spicco, tra cui Cicerone, che pagò a caro prezzo la sua ‘crociata’ contro Antonio. “Mandai in esilio quelli che trucidarono mio padre punendo il loro delitto con procedimenti legali; e muovendo poi essi guerra alla repubblica li vinsi due volte in battaglia“, così Augusto descrisse nelle ‘Res Gestae’ la sua vendetta nei confronti degli assassini di Giulio Cesare, Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, in quella che fu la seconda di cinque guerre civili che dovette affrontare, vinta nel 42 a.C. a Filippi, in Macedonia. La terza, poi, fu contro Lucio Antonio, fratello del quasi omonimo triumviro, che nel 41 a.C. si ribellò a Ottaviano, dal quale venne battuto a Perugia l’anno seguente. Fresco di matrimonio con Scribonia, parente di Sesto Pompeo, da cui avrà la sua unica figlia, Giulia, durante l’estate si complicò il rapporto con Marco Antonio, ma lo scontro – a Brindisi – si evitò soltanto grazie al rifiuto di combattere da parte dei soldati di entrambe le fazioni. Per sancire la pace, Antonio sposò Ottavia minore, sorella di Ottaviano. Alle porte, però, c’era la quarta guerra civile, stavolta contro Sesto Pompeo, divenuto nel frattempo un alleato ‘scomodo’: seppur aiutato da Marco Antonio, venne sconfitto a Nauloco il 3 settembre 36 a.C. Allontanato via da ogni gioco di potere, Lepido fu confinato al Circeo: con lui, nel 33 a.C., finì il triumvirato ed iniziò la quinta lotta intestina nell’Urbe, quella tra Ottaviano e Marco Antonio che, a fronte dei rispettivi ripudi nei confronti di Scribonia (per unirsi a Livia Drusilla) e Ottavia minore (per Cleopatra), non avevano più vincoli di sangue. Il ‘casus belli’ lo trovò Ottaviano, che lesse davanti all’assemblea il testamento di Antonio, nel quale vi era scritto che avrebbe lasciato i propri possedimenti ai figli avuti con la regina egizia. La guerra contro la potente coppia, iniziata nel 33 a.C., si risolse il 2 settembre di due anni dopo nella battaglia di Azio: fece uccidere Cesarione, che Cleopatra dichiarava di aver avuto da Giulio Cesare, annetté l’Egitto, compiendo l’unificazione dell’intero bacino del Mediterraneo, e divenne, di fatto, il padrone assoluto dello Stato, nonostante Roma fosse formalmente ancora una repubblica.

Ottaviano Augusto, l’apice e gli ultimi anni

Titolare di potere esecutivo, legislativo e militare, oltre che del diritto di veto per opporsi ad un Senato che gli conferì comunque numerosi onori e privilegi, rifiutò la carica di dittatore, per evitare di alterare le istituzioni repubblicane, e il titolo di ‘dominus’ (cioè, “signore”), ritenendolo un grave insulto. Nel 27 a.C., invece, dopo essere stato nominato console, una carica da rinnovare annualmente, ottenne il titolo di Augusto, letteralmente “degno di venerazione e di onore”, e quello di ‘Princeps’ (“primo cittadino”), oltre al diritto di condurre trattative con chiunque volesse, comprese le dichiarazioni di guerra e le stipulazioni di accordi di pace. Quattro anni più tardi, poi, gli venne conferita la ‘tribunicia potestas’ a vita, che gli permetteva di intervenire in tutti i rami della pubblica amministrazione e gli garantiva l’inviolabilità della persona. Si creò pertanto la situazione in cui, grazie anche al diritto di veto, poteva bloccare qualunque legge considerasse pericolosa per la propria autorità. Il rapporto dicotomico tra lo smisurato potere nelle sue mani e la formale veste repubblicana di Roma venne superato dal concetto di ‘auctoritas’ del ‘princeps’ (“primo fra pari”). Ci riuscì non inimicandosi la precedente casta aristocratica, affiancandola piuttosto ad una più ampia ‘cerchia di privilegiati’. Durante il suo principato, tra il 23 a.C. e il 14 d.C., riordinò le magistrature repubblicane, promosse leggi contro il celibato e che incoraggiavano la natalità, riportò il benessere dopo decenni di guerre civili e, soprattutto, mise in atto la Pax Augusta, un lungo periodo di pace interna che permetteva all’esercito di dedicarsi al solo ingrandimento dell’impero. Nel 13 a.C., alla morte del Pontefice massimo Lepide, ne prese il titolo, diventando così il capo religioso dello Stato, cinque anni più tardi emanò la ‘Lex Iulia maiestatis’, mediante la quale introdusse il reato di offesa alla maestà dell’imperatore, e nel 2 a.C. gli fu conferito il titolo onorifico di ‘Pater Patriae’. All’interno dei confini nazionali si preoccupò di conservare la purezza della razza romana, scoraggiando i matrimoni misti, limitando la concessione della cittadinanza e regolando l’affrancamento degli schiavi. Sciolse poi le associazioni, ad eccezione di quelle ‘storiche’, riorganizzò il Senato, riducendo il numero di eletti aumentandone al contempo il censo, ridimensionò il fenomeno del brigantaggio e rafforzò l’ordine pubblico. In campo religioso, invece, rispettando i riti stranieri, purché ‘tradizionali’, e disprezzando quelli ‘recenti’, ripristinò antiche usanze pagane ormai desuete. Riformò inoltre la giustizia, il diritto romano e l’amministrazione finanziaria (costituì il ‘fiscus’, in aggiunta all”aerarium’, ma dal quale poter attingere), suddivise l’Italia in 11 regioni, concesse agli abitanti delle nuove 28 colonie pari diritti e doveri (compreso il voto), riorganizzò l’esercito legionario e ausiliario, favorì la rinascita economica, del commercio e dell’industria grazie all’unificazione dell’area mediterranea, costruì acquedotti, una fitta rete di strade, curò personalmente gli approvvigionamenti di cibo necessari alla popolazione della capitale, abbellì di fori, templi, teatri, anfiteatri e terme numerosi luoghi dello Stivale, ‘capitanati’ da Roma, la ‘città monumentale di marmo’, e finanziò esplorazioni in nuove aree. Con il passare degli anni, però, la sua preoccupazione principale fu legata alla propria successione, una decisione che ricadde su Tiberio, figlio avuto dalla moglie Livia Drusilla con il primo marito, che per la prima volta unì le gens Iulia e Claudia. Ottaviano, invece, si spense serenamente a Nola, il 19 agosto del 14, lasciando 40 milioni di sesterzi al popolo romano, tre milioni e mezzo alle tribù, mille a ciascun pretoriano, 500 ai soldati delle coorti urbane e 300 ai legionari.