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La simonia: significato, storia e condanna nella Chiesa

Andrea Bosio

Andrea Bosio

INSEGNANTE DI FILOSOFIA E STORIA

Nato a Genova, è cresciuto a Savona. Si è laureato in Scienze storiche presso l’Università di Genova, occupandosi di storia della comunicazione scientifica e di storia della Chiesa. È dottorando presso la Facoltà valdese di teologia. Per Effatà editrice, ha pubblicato il volume Giovani Minzoni terra incognita.

Tra i fenomeni più controversi e condannati della storia ecclesiastica medievale, la simonia occupa un posto di rilievo. Il termine, derivato da Simone Mago, personaggio degli Atti degli Apostoli che tentò di acquistare da san Pietro il potere di conferire lo Spirito Santo, indica la pratica illecita di vendere beni spirituali o cariche ecclesiastiche. Questa forma di corruzione, che tradisce l’essenza del messaggio evangelico, ha accompagnato per secoli la storia del cristianesimo, contribuendo a suscitare riforme, scomuniche, rivoluzioni teologiche e tensioni politiche.

La simonia, pur esistendo già nei primi secoli cristiani, conobbe la sua massima diffusione e pericolosità nel corso del Medioevo, quando la crescente potenza temporale della Chiesa e la centralità delle cariche ecclesiastiche nel governo delle comunità portarono a un vero e proprio mercato delle dignità religiose. Il fenomeno non fu mai considerato lecito dalla dottrina ufficiale, ma la sua diffusione capillare dimostra quanto interessi economici, nepotismi e clientelismi abbiano inciso sulla spiritualità cristiana e sulle strutture ecclesiastiche.

Origine e significato del termine “simonia”

L’episodio di Simone Mago ebbe un impatto notevole non solo sulla letteratura neotestamentaria, ma anche nella riflessione dei Padri della Chiesa, che ne fecero uno dei capisaldi della dottrina contro la corruzione sacramentale. Scrittori come Sant’Agostino, San Girolamo e San Giovanni Crisostomo si espressero con forza contro la simonia, considerandola una delle offese più gravi allo Spirito Santo. Secondo Agostino, la grazia divina non può mai essere oggetto di commercio, poiché è per definizione gratuita, inesauribile e non appropriabile dall’uomo.

I Padri videro in Simone non solo un personaggio storico o mitico, ma il simbolo perenne del tentativo umano di strumentalizzare Dio per fini egoistici. La sua figura fu utilizzata per denunciare pratiche già presenti nella comunità cristiana primitiva, come la ricerca di prestigio attraverso il sacro, l’ambizione ecclesiastica e il desiderio di potere travestito da devozione.

Questa interpretazione contribuì a consolidare nei secoli successivi l’idea che la simonia fosse non solo un atto moralmente illecito, ma una profanazione dell’ordine divino, un tentativo di assoggettare lo Spirito Santo – principio di libertà e grazia – alla logica umana del possesso e della ricompensa. La Chiesa, pur attraversando fasi storiche in cui la simonia fu tollerata o perfino diffusa, ha sempre mantenuto a livello dottrinale una condanna netta e inequivocabile di ogni forma di mercificazione del sacro.

Diffusione della simonia nel Medioevo

Nel contesto del Medioevo, la simonia si diffuse ampiamente per una serie di motivi storici e strutturali. Con il consolidarsi della Chiesa come potere temporale, molte cariche religiose – come vescovadi, abbazie, priorati – divennero strumenti di gestione politica e amministrativa, spesso ambiti da nobili e signori laici. In cambio di somme di denaro, favori o protezioni, era possibile ottenere il conferimento di un ufficio ecclesiastico.

Le conseguenze furono gravi: molti vescovi e abati simoniaci non avevano vocazione religiosa, ma erano funzionari o aristocratici interessati solo alle rendite che derivavano dal possesso di un beneficio. Il clero si impoverì spiritualmente, e l’idea stessa di servizio pastorale e carità cristiana fu messa in discussione.

L’accusa di simonia era uno strumento anche di lotta politica interna alla Chiesa. In numerosi casi, papi e cardinali si accusarono reciprocamente di simonia per delegittimarsi. L’intero sistema delle investiture, in cui sovrani laici conferivano le cariche ecclesiastiche, era ritenuto da molti riformatori una forma indiretta di simonia.

La lotta per la riforma: il ruolo del papato

Uno dei momenti centrali della lotta alla simonia fu rappresentato dalla riforma gregoriana, avviata nell’XI secolo sotto l’impulso di Gregorio VII. Questo pontefice intendeva purificare la Chiesa da due grandi mali: la simonia e il nicolaismo (cioè la violazione del celibato ecclesiastico). Per farlo, Gregorio intraprese una riforma profonda delle strutture ecclesiastiche e del modo in cui venivano assegnate le cariche.

Il papa affermò che solo l’autorità papale poteva conferire legittimamente uffici religiosi, e che ogni interferenza laica nelle nomine episcopali era illegittima. La riforma scatenò una delle crisi più significative della storia medievale: la lotta per le investiture tra papa e imperatore, culminata nello scontro tra Gregorio VII e Enrico IV.

La simonia, in questo contesto, non era solo un problema morale, ma una questione di sovranità e autonomia: chi doveva controllare la Chiesa? Il papa, in nome del diritto divino, o il sovrano, in nome del potere temporale? La riforma gregoriana non sradicò del tutto la simonia, ma pose le basi per un rafforzamento dell’autorità spirituale del papato e per un più severo controllo sulle nomine.

Simonia e letteratura: la condanna nella Divina Commedia

Il disprezzo per la simonia ha trovato espressione anche nella letteratura medievale, in particolare nella Divina Commedia di Dante Alighieri, dove i simoniaci sono collocati nell’Ottava Bolgia dell’Inferno (canto XIX). In un’immagine potentemente simbolica, Dante descrive questi peccatori confitti a testa in giù in buche rocciose, con i piedi in fiamme: un chiaro rovesciamento della posizione del battesimo, sacramento che essi hanno profanato vendendolo.

Nel canto, Dante dialoga con uno dei dannati, Papa Niccolò III, che gli rivela come anche i suoi successori (Bonifacio VIII e Clemente V) lo raggiungeranno per lo stesso peccato. L’accusa di simonia è quindi estesa all’intero apparato papale del tempo, visto da Dante come corrotto e compromesso con il potere.

Attraverso questa rappresentazione, Dante denuncia non solo il peccato individuale, ma l’intero sistema ecclesiastico contaminato dal denaro, che ha tradito la povertà evangelica in nome dell’ambizione e dell’arricchimento. La Commedia assume così una valenza politica e teologica fortemente critica, in linea con la visione francescana più radicale.

Le conseguenze teologiche e spirituali

La simonia non è solo una pratica illegale, ma un attentato alla natura sacramentale della Chiesa. La teologia cristiana insegna che la grazia è gratuita, che i sacramenti sono segni efficaci dell’amore divino, e che nessun uomo può vendere ciò che appartiene solo a Dio. La simonia, quindi, mina alla base la credibilità della mediazione ecclesiastica, trasformando la Chiesa in un organismo economico e politico piuttosto che spirituale.

Questo problema divenne particolarmente evidente durante il tardo Medioevo e la crisi dell’autorità papale, quando lo scandalo delle indulgenze vendute fu uno degli elementi che portarono alla Riforma protestante. Martin Lutero, nel 1517, attaccò con le sue 95 tesi proprio la pratica simoniaca delle indulgenze, denunciando la degenerazione morale della Chiesa e richiamando la necessità di tornare a una fede autentica e personale.

La simonia, quindi, non è solo un peccato contro la morale evangelica, ma un punto di frattura che ha segnato la storia della cristianità, contribuendo a divisioni, guerre di religione e profonde trasformazioni ecclesiastiche.

La simonia nella Chiesa moderna e il diritto canonico

Con il Concilio di Trento (1545-1563), la Chiesa cattolica avviò una profonda riforma interna, ribadendo la condanna della simonia e imponendo regole più severe per la nomina dei vescovi, la distribuzione dei benefici e l’amministrazione dei sacramenti. I seminari furono riformati, fu promossa la vita devota del clero e si rafforzò la vigilanza sulle pratiche economiche ecclesiastiche.

Nel diritto canonico moderno, la simonia è considerata un reato grave, punibile con sanzioni ecclesiastiche e penali, fino alla scomunica. Essa è definita come “acquisto o vendita di cose spirituali o temporali connesse a beni spirituali” ed è trattata nei canoni 1380-1382 del Codice di Diritto Canonico.

Oggi, benché il fenomeno non abbia più la diffusione capillare del passato, la sua memoria resta viva e costituisce un monito costante per la trasparenza e la purezza della vita ecclesiastica.