Benito Mussolini nasce a Dovia di Predappio il 29 luglio del 1883, è il rappresentante massimo del fascismo nel nostro Paese. Originariamente vicino al partito socialista, fonda poi – nel 1919 – i Fasci da combattimento. Con il tempo diventa una figura di spicco del Partito nazionale fascista. La marcia su Roma, nel 1922, segna l’inizio del Governo fascista che in poco tempo si trasforma in una vera e propria dittatura.
Viene da una famiglia popolare. Il padre Alessandro fa il fabbro, la madre Rosa l’insegnante. È proprio il padre ad avvicinarlo alle idee socialiste e rivoluzionarie che lo avvicinano al mondo della politica. La scuola non è il suo forte, ma nel 1901 consegue il diploma magistrale. Subito dopo collabora come giornalista alla Giustizia di Prapolini, con articoli antimilitaristi.
Espatria in Svizzera per evitare la leva militare e si dedica a vari mestieri, senza abbandonare la sua passione per la politica e diffondendo le sue idee anticlericali. Alcune letture soreliane lo avvicinano al socialismo rivoluzionario. Dopo la condanna per aver disertato, rientra in Italia, fa il servizio militare e riprende la sua attività giornalistica, sempre con un occhio al sindacalismo.
Nel 1911 arriva una nuova condanna per aver guidato le manifestazioni contro l’intervento in Libia, insieme a Pietro Nenni. Le sue abilità oratorie sono apprezzate dai socialisti. Fra i dirigenti del partito, diventa direttore dell’Avanti, si trasferisce a Milano e da lustro al giornale (sempre più diffuso). La sua linea rivoluzionaria attira la sconfessione di Filippo Turati e del gruppo parlamentare socialista.
In un primo momento, Benito Mussolini si professa neutrale rispetto al dibattito sull’entrata in guerra o meno, almeno sino al 18 ottobre 1914. Giorno in cui pubblica un editoriale interventista. Perde la direzione dell’Avanti e viene espulso dal partito. Non perde tempo e si occupa di un nuovo giornale: il 14 novembre esce il primo numero del Popolo d’Italia. La rottura con il PSI non gli impedisce di coltivare alcuni rapporti all’interno del movimento socialista. Nel 1915 viene chiamato alle armi, ma una ferita durante un’esercitazione gli permette di tornare a fare il giornalista.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, si avvicina a posizioni decisamente nazionaliste, fonda i Fasci di combattimento, si avvicina ai dannunziani e fa proprio il concetto di vittoria mutilata. Non subito ottiene successo su larga scala, ma la svolta arriva nel 1920 quando approfitta del declino operaio e socialista per presentarsi come capo di una forza antiliberale che rappresenta la piccola e media borghesia. Sfrutta la paura verso l’ondata bolscevica e il bisogno di una riorganizzazione politica ed economica del Paese.
Il Partito nazionale fascista smantella tutto con violenza e l’apparato statale garantiscono, se non il sostegno, l’impunità agli squadristi. Inizia la scalata al potere di Mussolini, fino alla prova di Forza con la marcia su Roma. Cade il Governo Facta e il re lo incarica di formarne uno nuovo, che durerà dal 1922 al 1943. Inizialmente il suo operato è di coalizione, si serve di mezzi legali per reprimere l’antifascismo e mandare avanti le sue idee di destra. In poco tempo il suo potere diventa totalitario.
Nasce la figura carismatica del Duce, con la quale consolida il suo consenso e integra partito, società e Stato. Comincia a delinearsi un quadro internazionale, in linea con il nazismo di Adolf Hitler. La conquista dell’Etiopia gli porta ulteriore consenso, ma mette in ginocchio l’economia italiana. Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e, dopo un primo momento di “non belligeranza” si schiera con la Germania. Una serie di insuccessi colonialistici, portano il re a revocargli il mandato governativo. Viene trasferito prima a Ponza, poi alla Maddalena e poi al Gran Sasso; ma i tedeschi lo liberano e lo portano in Germania.
Torna in patria per raccogliere quel che resta. Segue le vicende belliche da Gargnano e appare raramente in pubblico. Il crollo delle “linea gotica” lo spinge a trasferirsi a Milano e a contrattare la propria incolumità con il Comitato di liberazione nazionale. Fugge verso Como, con indosso una divisa da soldato tedesco, ma viene arrestato dai partigiani e passato alle armi per ordine del CLN il 28 aprile 1945 a Giulino. Il suo cadavere e quello di Claretta Petacci, la donna a cui è legato dal 1936, viene esposto a Milano a piazzale Loreto come simbolo della fine del regime fascista.