Il mito di Sisifo
Il più astuto degli uomini riesce ad ingannare anche gli dei, ma la punizione che gli verrà inflitta sarà molto peggiore della morte cui era voluto sfuggire
Nello sconfinato panorama delle leggende della Grecia antica, il mito di Sisifo è uno di quelli che maggiormente hanno attirato l’attenzione dei filosofi nel corso della storia, celando in sé l’atavica riflessione esistenziale su quale sia il senso della vita di fronte alla morte e se si in qualche modo possibile eluderla. La storia narra infatti delle imprese del “più astuto tra gli uomini", capace di ingannare anche gli dei, riuscendo a tornare sulla terra dagli inferi, ma che alla fine dei suoi giorni pagherà carissimo l’aver voluto sfidare le divinità, subendo un’efferata e infinita pena, divenuta tristemente celebre.
“Bisogna vivere con il tempo e con lui morire" (Camus, Il Mito di Sisifo)
- Il mito
- Sisifo sfugge una prima volta alla morte
- Sisifo inganna i signori degli inferi
- La punizione di Sisifo
- Analisi
Il mito
Il nome stesso del protagonista, Sisifo, viene etimologicamente ricondotto all’aggettivo “sophòs", che significa “astuto" e “sapiente". D’altro canto, alcune fonti ne fanno il vero padre di Ulisse, in quanto amante di Anticlea, moglie di Laerte e da lui l’eroe omerico avrebbe ereditato l’intelligenza e l’abilità nell’inganno. E in effetti, il mito di Sisifo appare per la prima volta proprio nel VI libro dell’Iliade e, soprattutto, nell’XI libro dell’Odissea, quando proprio Ulisse ne scorge l’ombra fra i dannati.
“[…] successivamente conobbe Anticlea, figlia di Autolico (il più abile dei ladri, che gli aveva sottratto del bestiame, ndr), e la violentò. La donna poco dopo fu data in sposa a Laerte. Da lei nacque Ulisse […]" (Gaio Giulio Igino, Fabulae)
Figlio di Eolo e di Enarete, Sisifo fonda la città greca di Efira, la futura Corinto, e si contraddistingue peressere un re tanto scaltro, quanto avido e malvagio nei confronti dei suoi sudditi. Ma è la sua continua sfida agli dei a renderlo un personaggio di spicco della mitologia ellenica.
Sisifo sfugge una prima volta alla morte
Venuto a conoscenza del fatto che Zeus aveva rapito la bella Egina, figlia della divinità fluviale Asopo, della quale si era al solito invaghito, Sisifo rivela al disperato padre il responsabile della sparizione della giovane, chiedendo in cambio una fonte perenne d’acqua potabile per la sua Efira, la fonte Peirene, mossa che accresce la sua fama ed il suo prestigio all’interno del suo regno. Ma che manda anche su tutte le furie il re dell’Olimpo, che ne decreta la condanna a morte, ordinando al fratello Ade di portargli via la vita e di dargli una punizione esemplare.
Così il signore degli inferi invia Thanatos, l’incarnazione della morte, a prelevare Sisifo, che però nella sua scaltrezza attendeva quella visita, alla quale si era già preparato. Attesa la divinità sulla soglia di casa, non oppone resistenza, anzi la invita ad entrare accogliendola con lusinghe e adulazioni. Su come si sviluppi l’inganno esistono poi due diverse versioni, che però non spostano nulla sotto il profilo della furbizia del personaggio, che secondo alcuni racconti chiede a Thanatos di mostrargli come si usano le catene con le quali lo condurrà nel Tartaro e secondo altri offre in dono alla dea della morte, dei bracciali e una collana, che si rivelano essere un collare e delle manette. Sia come sia, Sisifo la rende prigioniera e sfugge una prima volta al mondo degli inferi.
“[…] Sisifo: Finiamo la bottiglia e poi andiamo dove vuoi./Thanatos: Ma che fai?/ Sisifo: Ti incateno! Non voglio morire!/ Thanatos: Sei un truffatore! Pagherai!/ Sisifo: Ora paghi tu, che non hai saputo svolgere il tuo compito! […]"
Il sequestro di Thanatos crea il caos nel mondo, la gente non muore più, Ade non riceve più sudditi, perché Caronte non ha più anime da traghettare oltre lo Stige. La situazione manda su tutte le furie Ares, il dio della guerra, perché nessuno poteva essere più ucciso in combattimento.
Zeus, allora, interviene ordinando ad Ares diandare a liberare Thanatos, ma Sisifo, ancora una volta, gioca d’anticipo sulla morte, ordendo un nuovo sotterfugio.
Sisifo inganna i signori degli inferi
Sisifo sa di non poter sfuggire al suo destino, ma non vi si rassegna e ne programma un altro, iniziando con il chiedere a sua moglie di non allestire nessuna onoranza funebre al momento del suo decesso, quindi si consegna spontaneamente a Thanatos, per essere condotto nel regno degli inferi, al cospetto dei signori dell’oltretomba, difronte ai quali ammette le proprie malefatte, tanto ai danni dei suoi sudditi, che nei confronti degli dei. Allo stesso tempo, però, si lamenta di non essere stato sepolto come sarebbe convenuto ad un sovrano del suo rango e che in questo modo sarebbe stato condannato a vagare lungo le sponde dello Stige in eterno. Ade, ancora furioso per tutto quello che aveva combinato, non vuole però sentire ragioni e Sisifo a quel punto si getta ai piedi di Persefone, implorandola di lasciarlo tornare dai vivi per tre giorni, giusto il tempo di allestire le sue stesse onorificenze funebri. La regina degli inferi, mossa a pietà da tali preghiere, acconsente, ma Sisifo, non appena raggiunta la moglie a Corinto, ignora la promessa fatta e si nasconde alle divinità, sfuggendo per la seconda volta alla sua sorte.
La punizione di Sisifo
Tuttavia, alla fine, anche per Sisifo giunge la fatidica ora e ricondotto nel Tartaro al cospetto di Ade, che gli infligge un terribile tormento: per l’eternità sarà costretto a trascinare un enorme masso lungo un ripido sentiero per farlo rotolare dall’altra parte della collina, ma una volta in cima, come spinto da una forza divina, il masso tornerà a valle e Sisifo sarà costretto a ricominciare da capo tra nubi di polvere e sbuffi di pace reale, eppure da ripetere in eterno, per aver voluto eludere il proprio destino e per essersi preso gioco del verdetto degli dei.
“[…] E anche Sisifo vidi, che dure pene soffriva: un masso enorme reggeva con entrambe le braccia e, puntando i piedi e le mani, lo spingeva in alto, verso la cima di un colle. Ma quando stava per superare la vetta, allora una forza violenta lo precipitava all’indietro: rotolava di nuovo a terra quel masso dannato. Ancora una volta spingeva, con il corpo teso, dalle membra scorreva il sudore, dal capo saliva la polvere […]".
Analisi
Sisifo, dunque, paga il suo essere “il più astuto tra gli uomini", che lo spinge a tentare di cancellare la linea di demarcazione tra la vita e la morte, rompendo il vincolo dell’ineludibile passaggio dalla condizione umana all’oltretomba. E la tremenda pena che gli viene comminata rientra nella concezione di Dìke, che nell’antica Grecia prevedeva una proporzione tra le colpe commesse e le pene inflitte, perché quello di Sisifo è un peccato per cui non esiste espiazione, quindi la sanzione applicata non ha nulla di riabilitativo, ma funge da monito per chi dovesse avere in animo di sfidare apertamente gli dei e le loro leggi.
Il mito poi, sebbene frutto di un’antica leggenda, si presenta ancora molto attuale nei suoi significati. Dal suo continuo richiamo al senso della vita, alla possibilità di sfuggire alla morte fino all’importanza di porsi un obiettivo chiaro, da perseguire per contrastare quello stato di inquietudine latente e di perenne insoddisfazionesempre presenti nell’animo umano.
Come Prometeo, anche Sisifo pecca di hybris, la celeberrima tracotanza, che lo porta a ribellarsi agli dei, nonostante la piena consapevolezza che l’immortalità non può competere ai mortali. Il suo titanismo, però, lo porta a ribellarsi anche al proprio destino, forgiando così egli stesso la sua tragedia.Il che suscita alcune riflessioni esistenziali, perchése anche un uomo come Sisifo, dotato di abilità e capacità fuori dal comune, non è riuscito a sfuggire alla morte, allora qual è il vero senso della vita? Domanda senza risposta, ovvero che una risposta potrebbe anche averla, ma solamente a patto di accettare l’assurdità della condizione umana, generando una sorta di libertà interiore e qualcosa di simile alla felicità.