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Vincent van Gogh, vita e opere del pittore tormentato

Un’esistenza folle e una carriera incredibile: un viaggio nell’affascinante vita dell'artista olandese, tra instabilità e genio, sempre trascorsa sul filo della follia

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Un genio immortale, una delle figure più ammirate della storia dell’arte ma anche una tra le più tormentate. Quella di Vincent van Gogh non è stata una vita facile, eppure il suo genio gli ha permesso di produrre oltre 900 dipinti in appena una decina d’anni di attività artistica. Per questo ancora oggi la sua storia suscita curiosità, interrogativi ed emozioni contrastanti, nella sicurezza che van Gogh sia stato tra i precursori dell’arte contemporanea e che la sua cifra sia e sarà sempre unica e inconfondibile.

L’infanzia di Vincent van Gogh

Vincent Willem van Gogh nacque a Zundert, nei Paesi Bassi, il 30 marzo del 1853. I suoi genitori erano Théodorus van Gogh, un rigido pastore protestante, e Anna Cornelia Carbentus, figlia di un rilegatore di libri della corte olandese.

La vita del piccolo Vincent fu segnata sin da subito da una funesta coincidenza: la data della sua nascita coincise con quella della prematura morte del primogenito van Gogh. A Vincent fu dato lo stesso nome del fratello defunto e per i suoi genitori crebbe all’ombra di questo dolore e di questa gioia mancata.

I van Gogh ebbero altri cinque figli e tra loro, Théodorus junior, detto Théo, fu senz’altro il più attaccato al fratello maggiore ed ebbe per lui un ruolo importantissimo.

Lo scarso rendimento scolastico pose fine precocemente ai suoi studi, e all’età di 15 anni Vincent iniziò a lavorare nella casa d’arte Goupil grazie all’appoggio dello zio, mercante d’antiquariato. Avvenne qui, a L’Aia, il primo concreto avvicinamento di Vincent van Gogh all’arte.

Depressione e vocazione religiosa

Nel 1873, a vent’anni, van Gogh fu inviato a lavorare dapprima nella filiale di Bruxelles di Goupil e successivamente a Londra. A questo periodo risale il primo incontro con Parigi: durante un viaggio Vincent se ne innamorò e restò folgorato dalla vivacità culturale e artistica della capitale francese. Qui ebbe l’opportunità di avvicinarsi alla pittura impressionista e approfondire l’interesse per l’arte e le stampe giapponesi.

L’Inghilterra fu testimone di un primo grande tracollo psicologico del giovane. Qui, infatti, aveva conosciuto e si era innamorato di Eugenie Loyer, figlia della proprietaria della pensione nella quale alloggiava. Inesperienza e ingenuità lo portarono quasi subito a dichiararsi e a chiederle la mano, per poi scoprire che la giovane era già fidanzata. La delusione amorosa lo turbò al punto da trasformarsi in depressione. Chiese e ottenne un trasferimento a L’Aia, ma la sua condizione di fragilità influenzò anche il rendimento lavorativo e, nonostante i numerosi tentativi dello zio di aiutarlo, nel 1876 perse il lavoro.

Tutta l’attenzione di Vincent si spostò verso la religione e la teologia, studiò approfonditamente e diventò assistente di un pastore metodista. Significativa fu la sua esperienza di missionario tra i poveri della regione mineraria del Borinage, in Belgio, dove visse in maniera umile, aiutando i bisognosi con totale abnegazione.

La svolta in Francia

A un certo punto della sua vita Vincent si rese conto che il modo a lui più congeniale per diffondere il verbo non era fare il missionario, bensì sfruttare la sua vera vocazione, l’arte, e iniziò a studiare con grande passione e a dipingere i lavoratori più umili e sfruttati. Sarà il caro fratello Théo ad aiutarlo e sostenerlo economicamente fino alla fine.

A questo periodo risalgono nuove delusioni amorose, in particolare quando si vide respinto da una cugina vedova e quando si innamorò di una prostituta, Sien, guadagnandone solo dolore e malattie che misero a dura prova la stabilità emotiva e la salute del giovane.

Finalmente, nel 1886, Vincent van Gogh decise di trasferirsi a Parigi, dove già viveva il caro fratello Théo. Nelle sue opere si vede una trasformazione: le tonalità cupe lasciano spazio a colori più brillanti e chiari e pennellate allungate e nel frattempo l’artista incontra l’impressionismo e stringe legami e amicizie con personaggi del calibro di Toulouse Lautrec, Paul Signac e Paul Gauguin. Ma la sensibilità di Vincent dovette scontrarsi con la durezza dell’ambiente artistico e commerciale di Parigi, che mise a dura prova un equilibrio già precario.

Nel 1888 si trasferì ad Arles, alla ricerca di un “sud” che potesse infondergli calore e pace. Sarà in questo periodo che van Gogh dipingerà alcune tra le sue migliori opere.

Il tracollo e la morte

Mentre il suo lavoro artistico procedeva a gonfie vele nella celebre “Casa Gialla” e il pubblico cominciava finalmente ad apprezzare il suo talento, l’altalena di emozioni che si impadronivano di Vincent diventarono così pericolose che, in seguito a un violento litigio con l’amico Gauguin, fu costretto a un ricovero presso l’ospedale psichiatrico di Saint Paul-de-Mausole a Saint-Rémy-de-Provence.

Recuperato un nuovo stato di serenità, van Gogh decise di trasferirsi ad Auvers-sur-Oise, non lontano da Parigi, un grazioso villaggio immerso nel verde. Un giorno d’estate, dopo aver terminato uno dei suoi capolavori più celebri, “Campo di grano con corvi”, Vincent si mise in cammino tra sentieri e campi. Era il 29 luglio del 1890 quando si tolse la vita con un colpo di pistola. Aveva 37 anni.

I mangiatori di patate

I mangiatori di patate (aprile-maggio 1885; olio su tela, 82 x 114 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum) è considerato dalla critica il primo importante quadro di van Gogh. Protagonista della tela è una famiglia di umili contadini riunita intorno a una tavola, illuminata solo da una fioca luce al centro del tavolo. Qui, un unico piatto di patate e delle tazzine di caffè. I loro volti sono quasi mostruosi, i loro lineamenti scarni e spigolosi, così come le loro mani: tutto fa pensare alla stanchezza, alla loro modestia e alle condizioni di povertà. I personaggi vengono ritratti nel momento in cui si accingono a mangiare.

L’artista dipinge questa tela nel periodo in cui, dopo la dura esperienza di missionario, decide di dedicarsi totalmente alla pittura per denunciare le condizioni in cui versavano i contadini olandesi. In questo quadro dominano i toni scuri, terrosi. Solo la debole luce proveniente dal soffitto permette di distinguere i tratti deformi, quasi grotteschi dei personaggi, attraverso le ombre create e i chiaroscuri.

La camera da letto

La camera da letto (ottobre 1888; olio su tela, 72 x 90 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum) è il rifugio di Vincent ad Arles, nella cosiddetta Casa Gialla. Scrive al fratello: «Questa volta si tratta semplicemente della mia camera da letto; in questo caso deve farla soltanto il colore, e poiché con il suo effetto semplificante conferisce maggiore stile alle cose esso dovrà, nell’insieme, suggerire la calma del sonno».

La camera viene rappresentata da una prospettiva ribassata, come se l’autore nel realizzarla fosse stato seduto a terra. Tutto è al suo posto: il letto, vuoto, è stato rifatto, gli oggetti per l’igiene personale sono ordinati sul tavolino, gli indumenti sono appesi agli attaccapanni. Sulle pareti dei quadri, probabilmente tele dello stesso Vincent che, una volta ultimati i lavori, usava appenderli alle pareti. Con questo quadro, che van Gogh amava molto (tanto da riprodurne altre due versioni), si avverte una sicurezza stilistica maggiore, data dalle pennellate nette e spesse, i colori armonici e brillanti, limpidi e privi di ombre. Predomina l’azzurro, colore della calma e della tranquillità, ma anche della malinconia. Infatti, nonostante il senso di luminosità trasmetta sensazioni positive, le linee vertiginose della prospettiva danno un senso di instabilità, solitudine, angoscia.

I Girasoli

Tra l’agosto e il settembre del 1888, van Gogh dipinse quattro quadri che avevano come soggetto i girasoli per decorare la stanza di Gauguin nella Casa Gialla ed esprimere la sua amicizia.

I Girasoli (gennaio 1889, olio su tela, 95 x 73 cm. Amsterdam, Van Gogh Museum, Vincent van Gogh Foundation) rappresenta un grande vaso che reca la dedica “Vincent” contenente diversi girasoli tutti a diversi gradi di maturazione: alcuni sono sfioriti, altri ancora sono rigogliosi, per indicare il ciclo della vita, dalla nascita alla morte. Il giallo predomina su tutto: dal vaso al colore dei fiori, fino alla parete sul fondo.

Così come lo sfiorire dei girasoli, anche l’amicizia con Gauguin ebbe un triste e misterioso epilogo. Intorno al litigio che portò i due amici a non vedersi più (era la fine del 1888) aleggiano diverse versioni. Per alcuni la perdita dell’amicizia fece sprofondare Vincent in uno stato di follia che lo portò persino a tagliarsi l’orecchio sinistro.

Notte Stellata

“Spesso penso che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno”

La Notte stellata (giugno 1889; olio su tela, 73,7 x 92,1 cm; New York, Museum of Modern Art) è uno dei dipinti più celebri di van Gogh. Dopo la fine dell’amicizia con Gauguin, Vincent viene ricoverato in un istituto psichiatrico per gestire e affrontare uno dei periodi più duri della sua vita. Durante il ricovero Vincent realizza più di 150 dipinti e tra questi, la Notte stellata. Si tratta di una rappresentazione del paesaggio notturno che Vincent poteva vedere dalla finestra della sua stanza, integrata con la fantasia, poiché dalla finestra non potevano vedersi con tale definizione le case del villaggio e la chiesa. Le pennellate sono quasi violente, come le onde di un mare in tempesta. Vincent sta di fatto rappresentando il suo paesaggio interiore: ecco perché, nonostante la pace della notte, gli alberi e persino il cielo sembrano in tumulto. La meraviglia di questo dipinto sta proprio nella sua drammaticità e muove come in un racconto un universo eternamente inquieto.

Campo di grano con volo di corvi

Campo di grano con volo di corvi (1890; olio su tela, 50,3 x 103 cm; Amsterdam, Van Gogh Museum) è l’ultima tela realizzata da van Gogh e per questo è considerata il suo testamento artistico e spirituale. Fu dipinta poco prima del suo suicidio e testimonia un forte dramma interiore. Il grano di un giallo accecante sembra muoversi solcato dal marrone di tre viottoli che lo tagliano in tre punti fino a condurre verso l’osservatore. Nel cielo blu avanzano pennellate nere, minacciose, lo stesso nero dei corvi che si aggirano come avvoltoi sul grano. Una metafora di incredibile impatto che presagisce il dramma della vita di van Gogh.

Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni.