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Caporetto, cronologia e protagonisti della battaglia

Tra il 24 ottobre e il 12 novembre 1917, durante la I Guerra Mondiale, il Regio Esercito Italiano fu sconfitto da austro-ungarici e tedeschi in quella che è passata alla storia come la "disfatta di Caporetto", la più grave mai subita dal nostro Paese

Alessio Abbruzzese

Alessio Abbruzzese

GIORNALISTA

Nato e cresciuto a Roma, mi appassiono fin da piccolissimo al mondo classico e a quello sport, dicotomia che ancora oggi fa inevitabilmente parte della mia vita. Potete leggermi sulle pagine de Il cuoio sul Corriere dello Sport, e online sul sito del Guerin Sportivo. Mi interesso di numerosissime altre cose, ma di quelle di solito non scrivo.

Conosciuta a livello internazionale col nome di 12ª battaglia dell’Isonzo, con un esercito – quello italiano – estremamente provato dalle undici precedenti e del tutto impreparato ad una guerra prettamente difensiva contro un avversario numericamente più forte, portò al collasso di interi corpi d’armata e al ripiegamento delle restanti truppe fino al fiume Piave. Da quel momento, nel nostro idioma, Caporetto divenne sinonimo di disfatta, capitolazione e schiacciante sconfitta.

Caporetto, il contesto storico

Il comandante supremo del Regio Esercito italiano Luigi Cadorna, durante la seconda metà del 1915, condusse quattro offensive sull’Isonzo che, tuttavia, non portarono ad alcun sostanziale cambiamento. Sorte analoga, a parti invertite, la ebbe la famosa Strafexpedition, cioè “spedizione punitiva”, ordinata dal capo di stato maggiore austro-ungarico Franz Conrad von Hötzendorf. Cadorna, intenzionato a riprendersi i territori dell’Altopiano di Asiago in Veneto e del Trentino, ordinò nuove offensive, ma l’unica vittoria significativa fu la riconquista di Gorizia. Ne seguirono altre, l’ultima delle quali, l’11ª battaglia dell’Isonzo, imposta alla fine di luglio 1917 dagli Alleati durante una conferenza a Parigi, ebbe come unico esito quello di ridurre all’osso entrambi gli schieramenti. Per gli austro-ungarici, che versavano in quel momento in condizioni addirittura peggiori rispetto all’esercito italiano, ci fu però una svolta inaspettata: arrivarono in loro soccorso alcune unità di eccellenza tedesche, capitanate da ottimi comandanti come il generale Otto von Below e il suo capo di stato maggiore Konrad Krafft von Dellmensingen. Si trattava, nello specifico, delle Sturmpatrouillen, squadre d’assalto formate da 11 uomini – 7 fucilieri, 2 portamunizioni e 2 addetti alle mitragliatrici – addestrate unicamente in missioni di contrattacco.

Caporetto, fasi preparatorie e protagonisti

Dopo un primo sopralluogo, tra il 2 e il 6 settembre 1917, nella convinzione che la Francia – reduce dal fallimento della seconda battaglia dell’Aisne ad aprile – non sarebbe intervenuta, la Germania acconsentì all’invio delle proprie unità speciali in soccorso dell’alleato austro-ungarico. Già il giorno 11 del medesimo mese Dellmensingen fu nominato capo di Stato Maggiore e a Otto von Below fu affidata la nuova 14ª Armata. L’inizio delle operazioni fu previsto per il 22 ottobre, ma alcuni ritardi di approvvigionamento lo fecero slittare alle ore 2 del 24. Cadorna, dal canto suo, era a conoscenza già dal 18 che il generale russo Kornilov aveva fallito nel suo tentativo di ribaltare il governo Kerenskij, favorevole a un’uscita del vasto Paese eurasiatico dalla guerra. Pertanto, prevedendo uno spostamento degli eserciti austro-ungarico e tedesco su altri fronti, ordinò tassativamente alla 2ª e alla 3ª Armata di stabilire posizioni difensive. Il duca d’Aosta Emanuele Filiberto di Savoia, a capo della 3ª, indicò tuttavia ai suoi uomini di prepararsi al contrattacco, analogamente a quanto già fatto in precedenza da Luigi Capello, che guidava la 2ª ma che, date le precarie condizioni di salute, aveva lasciato dal 4 ottobre il proprio posto a Luca Montuori. Cadorna, apprese le mosse – in totale autonomia – dei due generali, andò su tutte le furie, convocò d’urgenza Capello, intimandolo di revocare celermente quanto ordinato ai suoi uomini e inviò due ufficiali presso Cavaciocchi e Badoglio al fine di discutere l’eventualità di far arrivare in loco ulteriori rinforzi. Entrambi gli ufficiali, però, respinsero tale richiesta, nonostante dall’Ufficio I – il servizio di intelligence italiana del periodo – arrivassero notizie circa un continuo incremento degli eserciti avversari. Un tenente boemo prima e due disertori rumeni poi informarono Cadorna delle intenzioni austro-ungariche, fornendo inoltre dettagli su schieramenti, forze in campo e i luoghi in cui sarebbe partita l’offensiva, ma il comandante supremo non ritenne affidabili tali versioni. Cavaciocchi, il 22 ottobre, fece bombardare i ponti sull’Isonzo, spostando il comando a Bergogna. Saltate le linee telefoniche, Badoglio si stabilì a Cosi, impartendo nuovi ordini alle sue divisioni, che vennero tuttavia intercettate dai tedeschi. Il giorno seguente Capello riprese il proprio posto a capo della 2ª Armata e individuò truppe nemiche in lontananza. Alle ore 13 venne intercettata una comunicazione tedesca in cui si fissava l’avvio dell’offensiva per le ore 2 del 24, come effettivamente fu, ma né Cadorna, né Capello, Badoglio, Bongiovanni, Cavaciocchi e Caviglia (del XXIV Corpo d’armata) le diedero particolarmente peso a causa delle condizioni atmosferiche avverse.

La disfatta di Caporetto

Alle 2 in punto, invece, austro-ungarici e tedeschi attaccarono dal monte Rombon all’alta Bainsizza. Oltre alle granate convenzionali, il nemico utilizzò un gas sconosciuto che – tra Plezzo e l’Isonzo – decimò i soldati dell’87° Reggimento. Nonostante ciò, i danni subiti – intorno alle ore 6 – erano ancora modesti, ma alla ripresa dell’offensiva – circa mezz’ora dopo – l’imprecisione e il caos iniziarono a condizionare la controrisposta italiana. Nel frattempo, protetti dalla nebbia, avanzarono indisturbati i fanti di Von Below che, intorno alle 8, andarono all’assalto delle trincee, mentre la 50ª Divisione del generale Giovanni Arrighi difese Saga fino alle 18, ripiegando poi sulla linea monte Guarda-monte Prvi Hum-monte Stol. L’avanzata decisiva che provocò il crollo delle nostre truppe fu quella effettuata dalla 12ª divisione slesiana del generale Arnold Lequis che, in poche ore e senza essere vista, dal fondovalle dell’Isolo risalì le montagne, sbaragliando lungo il percorso un paio dei nostri reparti, colti di sorpresa. Alle 16 la 1ª Divisione austro-ungarica prese il controllo del monte Krad Vhr, alle 17.30 l’Alpenkorps quello del monte Podclabuz/Na Gradu-Klabuk e alle 18 la 200ª Divisione quello del massiccio dello Jeza: al termine del primo giorno di battaglia le perdite italiane – tra morti e feriti – furono di 40mila uomini ed altrettanti erano intrappolati sul monte Nero. La mattina del 25 ottobre Alfred Krauß lanciò l’attacco contro la 50ª Divisione ritiratasi il giorno precedente attorno al monte Stol, la quale resistette eroicamente fino alle 12.30, quando fu ordinata da Arrighi la ritirata. Respinta da Luigi Basso, che aveva vietato ogni forma di ripiegamento, la difesa si protrasse fino alle 21, quando fu invece acconsentita da Cavaciocchi. Tra Caporetto e Tolmino, invece, il battaglione da montagna Württemberg, guidato dal tenente Erwin Rommel, durante la II Guerra Mondiale soprannominato la ‘Volpe del deserto’, catturò centinaia di italiani presi alla sprovvista, scalò le pendici del Colovrat, conquistò senza troppe fatiche il monte Nagnoj e, di fatto, distrusse prima la brigata Arno, poi la Salerno, con appena 6 soldati deceduti a fronte dei 9.150 italiani. Otto von Below, a questo punto, puntò dritto a Cividale del Friuli, Udine e la Carnia. La resistenza del Regio Esercito, al netto delle gravi perdite e della dilagante paura, oppose una valida resistenza. Sebbene Cadorna avesse in un primo momento – in accordo con Montuori, che aveva nuovamente sostituito Capello – optato per una definitiva ritirata, ebbe un ripensamento ed optò per una resistenza sulla linea monte Kuk-monte Vodice-Sella di Dol-monte Santo-Salcano, che si rivelò vana. Così, i tedeschi occuparono Cividale del Friuli il 27 ottobre e Udine il 28, mentre il ripiegamento italiano si caratterizzò sì per la situazione caotica e per l’alto numero di diserzioni, molte delle quali punite con la fucilazione, ma anche per alcune gesta eroiche, condotte soprattutto da giovani ufficiali, che appresero rapidamente le nuove tattiche di guerra messe in atto dal nemico. Uno degli eventi più tragici della disfatta si verificò a Casarsa della Delizia il 30 ottobre, quando i soldati tedeschi della 200ª Divisione fecero 60mila prigionieri e catturarono 300 cannoni. Quindi, dopo la caduta di Cornino il 2 novembre e di Codroipo il 4, Cadorna ordinò all’intero esercito di ripiegare sul fiume Piave. Convinto di un prossimo arrivo di inglesi e francesi, Von Below affrettò le operazioni e accerchiò le truppe italiane in ritirata e tra il 9 e il 12 novembre vennero catturati 30mila soldati e 94 cannoni. Ma ciò che più di tutto stupì Vittorio Emanuele Orlando, da poco eletto presidente del Consiglio, fu lo spirito delle nostre truppe in ritirata, tanto che affermò: “È qualche cosa d’inverosimile, che non si spiega in alcun modo, che cioè nella testa di centinaia di migliaia di uomini, ad un tratto sia sorta e si sia imposta una sola idea: tornare a casa. Non c’è, nelle torme in ritirata, nessuno spirito di ribellione e sedizione“.