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Analisi trentatreesimo canto del Paradiso: incontro con Dio

Il viaggio ultraterreno di Dante raggiunge la sua meta nella visione dell’ineffabile e dell’indicibile luce divina

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Nel trentatreesimo canto, il viaggio ultraterreno di Dante giunge al suo compimento. Grazie alla preghiera di San Bernardo e all’intercessione della Vergine Maria, infatti, il Sommo Poeta arriverà alla visione di Dio, nella quale troveranno compimento tutte le componenti umane, morali, storiche e religiose che sono alla base della Divina Commedia.

Dal punto di vista strutturale, il canto chiave del poema è distintamente diviso in due parti, la prima contraddistinta dalla prece rivolta alla vergine dal Santo e la seconda interamente occupata dalla progressiva conquista della visione divina e dal tentativo della sua descrizione da parte di Dante, fino alla folgorazione mistica finale.

Sintesi

Il XXXIII canto si apre ancora nell’Empireo e con San Bernardo che si rivolge direttamente alla Vergine, lodandone la grandezza e la benevolenza. Quindi racconta a Maria del viaggio di Dante dal profondo dell’inferno e la supplica di concedergli la virtù sufficiente a fissare il proprio sguardo nella mente di Dio, dissipando ogni velo dagli occhi mortali del poeta. Infine, in una supplica cui idealmente si uniscono tutti i beati della rosa, inclusa Beatrice, prega la Regina del Cielo affinché i sentimenti di Dante si conservino puri dopo una tale sconvolgente visione.

Lo sguardo fisso di Maria in quello di San Bernardo è una risposta d’assenso, quindi la Vergine lo rivolge in direzione della luce di Dio e San Bernardo con un cenno e un sorriso incoraggia il poeta a fare lo stesso. La vista di Dante si inoltra così nella luce divina, facendosi via via più acuta man mano che vi si addentra, fino a raggiungere una dimensione che è impossibile da esprimere a parole e che la stessa memoria non è in grado di ricordare appieno. Dante invoca allora la luce divina affinché invece possa restare in lui almeno una minima traccia da lasciare ai posteri e finalmente fissa lo sguardo nella mente di Dio, inoltrandovisi progressivamente, fino a scorgerne l’essenza, che unifica l’universo in un tutto armonico. Una visione talmente perfetta che non sarà possibile riferirne più di quanto direbbe un bambino ancora attaccato al seno materno.

Dante continua a tenere lo sguardo fisso nella luce divina, anche perché sarebbe impossibile fare altrimenti, e nota che resta sempre uguale a se stessa, mentre è lui a cambiare interiormente. È a questo punto che Dante ha l’impressione di scorgere all’interno della luce stessa tre cerchi delle stesse dimensioni, ma di colori diversi, due sembrano l’uno il riflesso dell’altro, il terzo è come una fiamma che sorge dai primi due. Padre, Figlio e Spirito Santo, racchiusi nell’essenza della Trinità.

Soffermandosi sul cerchio del Figlio, il poeta vi intravede un’immagine umana e riconosce la propria incapacità a comprendere il grande mistero dell’incarnazione, quando la sua mente viene risucchiata in una sorta di stato mistico. È la folgorazione divina, che ha ormai pienamente appagato la sua sete di conoscenza.

Analisi

La sublime visione di Dio, che conclude il viaggio escatologico del poeta, è preceduta dall’orazione di San Bernardo alla Vergine, che costituisce l’ultima testimonianza del culto mariano di Dante e vuole sottolineare la funzione della Madonna quale supremo, necessario ponte fra l’uomo e Dio.

Il mistero di Maria è contenuto negli ossimori che la definiscono: “vergine e madre”, “figlia del tuo figlio”, “umile e alta”, donna comune e insieme madre di Dio, una figura complessa, ma sempre benevola, amorevole e genuina, che si fa tramite della salvezza umana e che, nel caso specifico, intercede affinché a Dante venga concesso di conoscere l’infinitezza divina e il suo senso più profondo.

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È proprio seguendo lo sguardo della Vergine verso la luce che Dante si addentra nella mente di Dio, la sua vista si fa sempre più acuta e la sua memoria sempre più labile. Ma il progressivo avvicinamento alla visione divina viene anche scandito da un elemento ricorrente in tutta la terza cantica e che nel trentatreesimo canto viene riproposto in ben cinque occasioni, quello dell’ineffabilità e dell’indicibilità della propria esperienza, per descrivere la quale non esistono parole.

L’io finito del poeta si è ormai confuso con l’infinito divino ed è pronto per accoglierne il senso profondo, nel rifiuto del male, che ottenebra la mente e appesantisce il cuore, portando ovunque l’infelicità, per lasciare spazio alla consapevolezza di sé e al vero significato dell’esistenza, che lo porterà a tendere verso Dio e alla salvezza eterna.

Sono tre i misteri che si rivelano a Dante, l’unità dell’Universo, la Trinità e l’incarnazione, ciascuno rappresentato tramite similitudini, le uniche in grado di rappresentarlo: dall’immagine del volume che tutto raccoglie e unifica, ai tre cerchi simbolo delle Persone Divine, all’immagine umana che pare affiorare dalla luce. Così nell’armonia predisposta da Dio tutto sembra trovare una sua precisa collocazione, è l’immagine dell’ordine che prevale sul caos, mentre nei tre cerchi di diverso colore ed eguali dimensioni il Figlio è generato dal Padre e lo Spirito Santo scaturisce da entrambi. Ma è nell’effige umana che si staglia al centro del secondo cerchio che l’esperienza di Dante trova la sua sublimazione, trasferendosi dal piano razionale a quello mistico che lo porta finalmente a comprendere il rapporto fra l’umano e il divino e dell’incapacità terrena di comprendere i misteri del cosmo.