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Ideologia e falsa coscienza in Marx: la critica alla cultura

L'ideologia è per Marx una falsa coscienza, ossia una rappresentazione falsa che si produce senza che chi la produce abbia coscienza della sua falsità

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Il concetto di ideologia

Per ‘ideologia’ Karl Marx intende, in primo luogo, soprattutto negli scritti giovanili, i fenomeni di autonomizzazione del pensiero metafisico, svincolato da ogni prassi e, in secondo, la struttura economica della società capitalistica, intesa come critica dell’economia politica ed espressione dell’autonomizzazione del mondo delle merci (‘cosificazione’, ‘reificazione’, ‘feticismo delle merci’) e delle conseguenze che essa provoca nella coscienza: è proprio in questo caso che l’ideologia si identifica con la ‘falsa coscienza’ anche se, accanto a questo feticismo delle merci, la società borghese produce sempre anche ideologie nel primo senso. Marx critica sia il materialismo meccanicistico degli illuministi francesi come Holbach e Helvétius, sia il sistema hegeliano, in cui il mutamento storico è concepito come processo della ragione che torna a se stessa, in quanto ritiene che non siano i principî astratti, le idee e le entità metafisiche a produrre ciò che chiamiamo storia e società, bensì gli individui reali, socializzati e cooperanti tra loro: pertanto, le ideologie non si possono far derivare da un’incapacità congenita degli uomini di riflettere le condizioni sociali della loro esistenza, né dalle messe in scena intenzionali di sovrani, sacerdoti o membri di consorterie avidi di potere: al contrario, sono forme di falsa coscienza e di apparenza socialmente necessaria. La storia universale è, sì, un processo progressivo, ma il suo soggetto, a differenza di Hegel, non è lo spirito del mondo, ma gli uomini in carne e ossa, nel loro processo produttivo socialmente organizzato. La storia, quindi, non è un’entità a sé, ma è legata alle contingenze del processo produttivo e riproduttivo del genere umano, che è alla base della realtà sociale e che comprende sia le forze produttive (come strumenti, capacità, conoscenze e coscienza), sia i rapporti di produzione (come quelli sociali fra gli individui e relative forme di proprietà). Marx rivolge poi un duro attacco alle scuole, ree a suo modo di vedere di riallacciarsi alla filosofia hegeliana, vedendo in esse il culmine di quel pensiero idealistico che si attendeva dalla riforma della coscienza filosofica l’eliminazione delle contraddizioni socioeconomiche reali. In ‘Ideologia tedesca’, scritta tra il 1845 e il 1846 in collaborazione con Engels, intende mostrare il carattere illusorio di una rivoluzione puramente teorica che si accontenta di una critica di costrutti concettuali: ivi cercò non solo di dimostrare che le speculazioni della filosofia post-hegeliana erano avulse dalla realtà, ma anche di cogliere la limitatezza delle teorie idealistiche nei riguardi della situazione tedesca del momento. Sulla stessa falsariga di Feuerbach, individuò nella sfera concettuale della metafisica tedesca, in cui i costrutti intellettuali, che pure sono prodotti dell’attività umana, hanno la parvenza di forze che trascendono la storia, il ‘luogo’ in cui le divinità prodotte dall’uomo ‘assumono le sembianze’ di entità autonome. Nella società capitalistica i complessi concettuali ideologici si irrigidiscono, al punto da trasformarsi in potenze soverchianti sotto le quali vengono sussunti gli individui. Gli idealisti, pertanto, sono indotti a considerare la storia come un mero prodotto delle idee, anziché come risultato dell’azione e interazione di esseri umani reali. Questa inversione nella coscienza altro non è che l’espressione teoretica di un’inversione reale nella società mercificata, in cui il processo di produzione e riproduzione della vita materiale si è reso indipendente rispetto ai bisogni degli uomini.

Feticizzazione del mondo delle merci e falsa coscienza

Nel processo di scambio i prodotti del lavoro umano acquistano un’esistenza autonoma, diventando quindi degli oggetti dotati di valore, che sembrano quasi acquisire una dinamica propria svincolata dall’attività umana. Tali beni circolanti sul mercato capitalistico, pertanto, cessano di essere oggetti concreti, riducendosi di fatto a merci, il cui valore è percepito come qualità intrinseca delle cose, anziché come espressione dei rapporti sociali. In modo del tutto analogo a questa feticizzazione del mondo delle merci, secondo Marx anche i prodotti del pensiero umano venivano reificati in forze autonome che sembravano guidare la storia. Ad accomunare l’alienazione economica e quella ideologica è la scomparsa del contesto sociale dei prodotti dell’attività umana, che si rendono autonomi rispetto all’uomo perché gli individui producono indipendentemente l’uno dall’altro. In questo modo, i prodotti si reificano in ‘forme naturali’, vale a dire in fenomeni apparentemente inevitabili (e quindi immutabili), sottratti all’intervento degli individui: tale ‘offuscamento’ ideologico è il correlato, socialmente necessario, del mondo mercificato capitalistico e del feticismo delle merci che lo caratterizza. Marx vide nel valore di scambio delle merci un elemento immateriale e soprasensibile, espressione dell’incapacità dei produttori – a causa della struttura di potere dei rapporti lavorativi e salariali – di appropriarsi dei loro stessi prodotti: ciò che nei fenomeni si manifesta agli individui come processo reificato non coincide con la struttura sociale che è alla base dei fenomeni stessi. Alla base c’è l’idea che fenomeno e struttura interna, forma e contenuto sociale, possano essere esplorati nella loro connessione solo mediante un lavoro concettuale e, secondo tale principio, non sempre il pensiero è una semplice sovrastruttura ideologica. Per Marx, infatti, la verità o la falsità di una teoria sociale può essere dedotta soltanto dalla misura in cui essa riesce a rendere visibili nei loro principî l’intima connessione e le leggi di sviluppo dei processi sociali che condizionano la vita degli uomini. Il pensiero, quindi, può avvicinarsi a una verità – sempre provvisoria – solo se nell’analizzare i mutamenti strutturali della società s’interroga sulle possibilità oggettive e sulle tendenze in essa esistenti. Quest’esigenza di verità, tuttavia, non è intrinsecamente teoretica, ma può essere soddisfatta solo all’interno dello sviluppo storico. In conclusione, si può affermare che la ‘falsa coscienza’ abbia tre caratteristiche principali: è un prodotto della società e non un’ideazione di pochi diretta a manipolare le masse, non è sostituibile a volontà ma è una coscienza socialmente necessaria (anche se falsa, in quanto non è capace di riflettere le condizioni sociali della sua genesi) e ha un carattere anonimo.