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La scuola di Francoforte

Di orientamento neo-marxista e composta da filosofi e sociologi tedeschi di origine ebraica, emerse nel 1923 nell'ambiente dell'"Istituto per la Ricerca Sociale" dell'Università Johann Wolfgang Goethe sotto la guida di Carl Grünberg

Silvia Pino

Silvia Pino

GIORNALISTA PUBBLICISTA

Ho iniziato con le lingue straniere, ho continuato con la traduzione e poi con l’editoria. Sono stata catturata dalla critica del testo perché stregata dalle parole, dalla comunicazione per pura casualità. Leggo, indago e amo i giochi di parole. Poiché non era abbastanza ho iniziato a scrivere e non mi sono più fermata.

Cos’è la scuola di Francoforte

La Scuola di Francoforte, di orientamento neo-marxista, fu composta prevalentemente da filosofi e sociologi tedeschi di origine ebraica ed emerse nel 1923 nell’ambiente del neonato “Istituto per la Ricerca Sociale” dell’Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte sul Meno, sotto la guida dello storico marxista Carl Grünberg. Il primo periodo di attività corrisponde al primo dopoguerra, quindi, con l’avvento del Nazionalsocialismo, il gruppo lasciò la Germania e si trasferì dapprima a Ginevra, poi a Parigi e infine a New York. Dopo il secondo conflitto mondiale alcuni esponenti – tra cui Adorno, Horkheimer e Pollock – tornarono in Germania per fondare un nuovo Istituto per la ricerca sociale. Con il passare degli anni aumentarono il numero di studiosi, così come le discipline e gli ambiti culturali d’interesse, ma non fu mai abbandonato l’elemento cardine, vale a dire la critica della società contemporanea e delle sue contraddizioni. L’ideale di società e di uomo a cui fa riferimento questa critica è quella rivoluzionaria del marxismo, seppur in chiave utopistica: una visione che si pone polemicamente in contrasto con le correnti di pensiero marxiste diffuse all’inizio del secolo, influenzate o dall’ortodossia sovietica o dalle correnti revisioniste. Alla base delle idee della scuola di Francoforte c’è il fallimento della rivoluzione della classe operaia nell’Europa occidentale e di quella bolscevica, oltre che l’ascesa dei regimi totalitari in gran parte del Vecchio Continente, anche in nazioni economicamente, tecnologicamente e culturalmente avanzate come la Germania. Quanto teorizzato aveva lo scopo di superare i limiti del positivismo, del crudo materialismo e della fenomenologia, tornando piuttosto alla filosofia critica di Kant e dei suoi successori dell’idealismo tedesco (su tutti Hegel). Un’influenza decisiva, poi, la esercitò una pubblicazione nel 1930 concentrata sull’analisi dei Manoscritti economico-filosofici e dell’Ideologia tedesca, che mostrò gli elementi di continuità con l’hegelismo che caratterizzavano la filosofia di Marx: il merito di Marcuse fu quello di articolare il significato teoretico di questi testi.

I quattro periodi della scuola di Francoforte

Nel cosiddetto ‘primo periodo’ l’istituto analizzò quei fenomeni sociali che nel marxismo erano considerati sovrastruttura e ideologia (la famiglia, le strutture gerarchiche, il regno dell’estetica e della cultura di massa), notando come il capitalismo abbia l’abilità di distruggere le condizioni previe al nascere di una coscienza critica e rivoluzionaria. Parallelamente, soprattutto negli Stati Uniti, l’opera ‘La personalità autoritaria’ – un’estesa ricerca empirica che si servì di categorie sociologiche e psicoanalitiche – studiò gli impulsi che portavano le persone ad affiliarsi a o sostenere movimenti e partiti fascisti: ciò portò alla nascita della cosiddetta ‘controcultura’, vale a dire un insieme di valori e convinzioni in antitesi con la società dominante. Il concetto di “teoria critica”, invece, nacque dall’analisi della natura del marxismo con l’obiettivo di riabilitare – tramite il suo approccio filosoficamente critico – una svolta verso l’azione rivoluzionaria, in un periodo nel quale sembrava in declino. L’istituto, nella sua critica all’ideologia, sfidò correnti filosofiche come positivismo, fenomenologia, esistenzialismo e pragmatismo attraverso una critica implicita del marxismo contemporaneo, che aveva trasformato la dialettica in una scienza o metafisica alternative: tentò, pertanto, di riformulare la dialettica come un metodo scientifico concreto. “Dialettica dell’illuminismo” di Horkheimer e Adorno e “Minima Moralia” (del solo Adorno) sono invece le due opere simbolo del “secondo periodo”, all’interno delle quali si trovano esposti temi quali la dominazione della natura, centrale nella civiltà occidentale molto prima che l’ecologia diventasse un vero e proprio slogan. La società occidentale viene presentata come una commistione di dominio e razionalità tecnologica, che porta ogni natura – interna ed esterna – ad essere assoggettata all’uomo. Tuttavia, lo stesso soggetto viene fagocitato in questo processo e nessuna forza sociale analoga al proletariato può essere identificata come quella che gli permetterà di emanciparsi. Pertanto, in un contesto in cui la realtà stessa sembra essere ideologia, il più grande contributo che la teoria critica può dare è quello di esplorare le contraddizioni dialettiche dell’esperienza soggettiva e individuale, da una parte, e di preservare la verità della teoria, dall’altra. Tuttavia, anche la dialettica può divenire un mezzo per la dominazione: ecco perché la sua intenzione deve rivolgersi verso la felicità e verso la libertà. Adorno, poi, in ‘Filosofia della musica moderna’, polemizzò contro la “bellezza” in sé, in quanto parte del sistema capitalistico progredito e della falsa coscienza, giungendo così a una visione dell’arte moderna come produttrice di verità solo attraverso la negazione della forma estetica tradizionale e delle norme tradizionali della bellezza. Durante il ‘terzo periodo’, che coincide con il secondo dopoguerra e con l’inasprirsi dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, i teorici della critica riconobbero che la struttura del capitalismo e della storia erano cambiati in modo decisivo, che i metodi oppressivi operavano in modo diverso e che la classe lavoratrice industriale non incarnava più la ferma negazione del capitalismo. L’obiettivo principale della scuola, quindi, divenne quello di definire il fato della ragione nel nuovo periodo storico: Marcuse procedette tramite un’analisi di cambiamenti strutturali nei processi di lavoro sotto regime capitalistico e le caratteristiche intrinseche della metodologia della scienza, mentre Horkheimer e Adorno si concentrarono su un riesame dei fondamenti della teoria critica. Nell’opera ‘Dialettica Negativa’, quest’ultimo concepì l’idea del pensiero critico espressa in modo tale che le strutture per la dominazione non possano servirsene: la sua nozione centrale suggerisce che il peccato originale del pensiero stia nel suo tentativo di eliminare tutto ciò che è diverso dal pensiero e questa riduzione rende il pensiero stesso complice della dominazione. Tuttavia, in assenza di una classe lavoratrice rivoluzionaria, la scuola di Francoforte non ebbe nessuno a cui riferirsi tranne l’individuo soggettivo e, dal momento che la base sociale liberal-capitalistica dell’individuo autonomo retrocedeva verso il passato, la dialettica basata su di esso diventava via via sempre più astratta. Ciò portò alla nascita di un quarto, corrente periodo della scuola di Francoforte, caratterizzato dalla teoria della comunicazione di Habermas.