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Analisi della poesia "Canto degli ultimi partigiani" di Fortini

L'autore fiorentino, all'anagrafe Franco Lattes, scrisse il componimento dedicato alla Resistenza italiana nel 1946

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Chi era Franco Fortini

Franco Fortini, pseudonimo di Franco Lattes, nacque a Firenze il 10 settembre 1917, da padre ebreo e madre cattolica. Nel 1939 si convertì alla fede valdese e completò gli studi universitari in Legge e Lettere. Tuttavia, la sua opposizione al regime fascista, lo portò, dopo l’8 settembre 1943, a rifugiarsi in Svizzera, da cui fece ritorno al fine di unirsi alla Resistenza nella Val d’Ossola. Dopo la guerra, si stabilì a Milano, collaborando con importanti riviste e giornali, come “Il Politecnico” e “Avanti!”, e pubblicando le sue prime raccolte poetiche, tra cui “Foglio di via” del 1946, che racchiude al proprio interno il componimento “Canto degli ultimi partigiani” e che segnò una deviazione dall’Ermetismo verso un impegno civile più diretto. Inoltre, fu consulente per Olivetti, Einaudi e Mondadori, e insegnò nelle scuole e all’Università di Siena, senza mai abbandonare né la poesia, né la critica, la narrativa e la traduzione di autori come Goethe e Kafka. Fortini si spense a Milano il 28 novembre 1994, lasciando una complessa eredità letteraria.

La poesia “Canto degli ultimi partigiani”

Sulla spalletta del ponte

Le teste degli impiccati

Nell’acqua della fonte

La bava degli impiccati.

Sul lastrico del mercato

Le unghie dei fucilati

Sull’erba secca del prato

I denti dei fucilati.

Mordere l’aria mordere i sassi

La nostra carne non è più d’uomini

Mordere l’aria mordere i sassi

Il nostro cuore non è più d’uomini.

Ma noi s’è letta negli occhi dei morti

E sulla terra faremo libertà

Ma l’hanno stretta i pugni dei morti

La giustizia che si farà.

“Canto degli ultimi partigiani”: la parafrasi

Sul parapetto del ponte

(si vedono) le teste dei partigiani impiccati

mentre nell’acqua della fonte

(scorre) la loro bava.

Sulla strada del mercato

(ci sono) le unghie dei partigiani fucilati

mentre sull’erba secca del prato

ci sono i loro denti.

Non ci resta che mordere l’aria, che mordere i sassi

il nostro corpo non è più trattato come quello di uomini.

Non ci resta che mordere l’aria, che mordere i sassi

il nostro cuore non è più trattato come quello di uomini.

Ma noi abbiamo letto la giustizia negli occhi dei morti

e creeremo la libertà sulla Terra.

Ma la giustizia l’hanno stretta nei pugni delle loro mani

la giustizia che si farà.

L’analisi del testo

Il “Canto degli Ultimi Partigiani” di Franco Fortini è una poesia capace di incarnare l’essenza della lotta e del sacrificio dei partigiani durante la Resistenza italiana. Raggiunge tale scopo utilizzando un linguaggio diretto, talvolta duro, scevro da interpretazioni edulcorate. L’autore, infatti, ricorre ad un crudo realismo, necessario per descrivere alla perfezione la sofferenza, l’orrore e la brutalità della guerra, senza tuttavia rinunciare a diffondere un inequivocabile messaggio di speranza e di lotta finalizzato alla giustizia. In primis, l’opera è una sorta di denuncia della violenza e delle barbarie andate in scena durante il secondo conflitto mondiale, commemorando il sacrificio dei partigiani e celebrando la Resistenza, intesa come foriera di libertà in Italia. Simboli ‘potenti’ della disumanizzazione subita dai partigiani per mano dei nazisti sono i riferimenti agli “impiccati” e ai “fucilati”: si tratta, tuttavia, di un ricorso ad ‘immagini’ che non evoca soltanto ansia ed orrore, ma al tempo stesso un’esaltazione dell’indomabile spirito dei combattenti che, mossi dalla sete di libertà e giustizia, non si arrendono neppure di fronte alla morte, alle torture, alla paura e alla sofferenza. ‘Morte e distruzione’ sono, sì, i temi principali dell’opera, sin dal principio, tuttavia nelle ultime strofe il linguaggio si trasforma completamente. L’emblema è l’espressione “Mordere l’aria, mordere i sassi”, con cui sottolinea il fondamentale, per quanto disperato, atto di resistenza dei partigiani. In altre parole, per quanto possa sembrare futile e senza speranza alcuna di successo, esso diviene di fatto un’affermazione della vita stessa, oltre che di un riappropriarsi dell’umanità perduta durante la guerra. La ripetizione stessa di questi versi intende rimarcare la persistenza e la resilienza dimostrata dai partigiani in quegli anni orribili. Il culmine, poi, si raggiunge nel momento in cui afferma che la giustizia e la libertà saranno conquistate nonostante tutto, proprio grazie al sacrificio di coloro che non si sono arresi al nemico, spesso a costo della loro stessa vita. Questa poesia, oltre che una testimonianza storica di quanto accaduto nel nostro Paese, può essere considerata un vero e proprio inno alla resistenza umana contro l’oppressione e un richiamo all’azione in nome dei valori e dei diritti fondamentali che definiscono l’umanità, oltre che un monito alle generazioni future a non dimenticare mai il prezzo e il valore, tanto della libertà, quanto della giustizia.