Carlo Levi: il pensiero e l'arte di un intellettuale poliedrico
Pittore, medico, poeta, scrittore e politico per passione, l’autore di "Cristo si è fermato a Eboli" è stato soprattutto uno degli intellettuali più influenti del Novecento
È molto difficile riunire in una formula unica la personalità di Carlo Levi, un uomo estremamente versatile, attentissimo alla sua contemporaneità, ma soprattutto un testimone del suo tempo. Eclettico e poliedrico, in grado di spaziare attraverso diverse traiettorie di vita, tempo ed espressione artistica, Carlo Levi è stato uno degli intellettuali più influenti del Novecento europeo e ha contribuito alla complessa storia d’Italia tra il fascismo e il dopoguerra.
Medico, pittore, scrittore, antropologo, poeta e uomo politico per passione, ha raggiunto la notorietà a livello internazionale grazie al suo capolavoro “Cristo si è fermato a Eboli", ma soprattutto è stato il propulsore di un lascito etico e politico incredibilmente attuale su temi di vitale importanza come il significato della libertà, l’idolatria del potere e le retoriche della propaganda.
“Era un maestro indipendentemente dal fatto se volesse insegnarti qualcosa o no. Mi ha insegnato, senza insegnare, per il suo modo stesso di essere" (Stefano Levi Della Torre)
La vita e le opere
Carlo Levi nasce a Torino nel 1902 da Ercole Raffaele Levi e Annetta Treves e cresce in un’agiata famiglia ebraica non osservante della borghesia torinese. Sin da ragazzo si interessa alla pittura, passione che coltiverà per tutta la vita. Nel periodo degli studi universitari, tramite lo zio, l’onorevole socialista Claudio Treves, fa la conoscenza di Piero Gobetti, che lo invita a collaborare alla sua rivista “La Rivoluzione liberale" e lo introduce nella scuola del pittore e incisore Felice Casorati. In questo contesto culturale e intellettuale, il giovane Carlo ha modo di frequentare Cesare Pavese, Antonio Gramsci, Luigi Einaudi, Edoardo Persico.
Laureatosi in medicina, sceglie però di seguire la sua vena artistica e nel 1923 si reca a Parigi, dove matura una sorta di spirito ribellione contro la cultura ufficiale italiana e il fascismo. Durante questo viaggio scrive il primo articolo sulla sua pittura per la rivista “L’Ordine Nuovo" di Gramsci. Alla fine del 1928 prende parte al movimento pittorico dei sei pittori di Torino, insieme a Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell, che lo porterà a esporre in diverse città in Italia e in Europa e alla I Quadriennale nazionale d’arte di Roma nel 1931.
Nel 1930 visita la Gran Bretagna e nel 1931 si unisce al movimento “Giustizia e libertà", fondato tre anni prima dai fratelli Nello e Carlo Rosselli, che verranno assassinati in Francia nel 1937 su ordine del regime. Nel marzo 1934 è arrestato una prima volta per sospetta attività antifascista e fra il 1935 e il 1936 è condannato al confino politico in Basilicata, prima a Grassano e poi ad Aliano, esperienza che ispirerà il romanzo “Cristo si è fermato a Eboli".
Nel 1943, Levi viene nuovamente arrestato e dopo l’8 settembre prende parte attiva alla Resistenza come membro del Comitato di Liberazione della Toscana. Diventa direttore del quotidiano “La Nazione del Popolo" e, nel 1945, de “L’Italia libera".
Nel 1947 si stabilisce a Roma e si dedica alla pittura realista, attraverso la quale mostra la sua partecipazione ai problemi socioeconomici del Mezzogiorno, e, deluso dalla crisi politica del dopoguerra, alla stesura di un’altra celebre opera, “L’Orologio". I libri successivi saranno “Le parole sono pietre" del ’55 e “Tutto il miele è finito" del ’64, ispirata dai suoi viaggi tra Sicilia e Sardegna ribadendo il suo impegno per la parte d’Italia meno considerata dal boom economico.
Dal 1963 svolge attività politica con il Partito Comunista Italiano. Candidato, viene eletto per due legislature Senatore della Repubblica, come indipendente, la prima volta nel collegio di Civitavecchia, poi nel collegio di Velletri.
Muore a Roma nel 1975, ma la salma riposa nel cimitero di Aliano, dove lo scrittore volle essere sepolto per mantenere la promessa di tornare che aveva fatto agli abitanti alla fine del suo esilio in Basilicata.
Il pensiero e l’arte
Secondo Italo Calvino, ogni riflessione e discorso sulla produzione artistica di Carlo Levi dovrebbe partire da un suo raro libro intitolato “Paura della libertà". Si tratta di uno scritto del 1939 che descrive come una società di massa arrivi a sostenere e a sottomettersi ai regimi totalitari e ragiona su come possa essere propensa ad accettare la fuga della libertà per rifugiarsi in ideologie apparentemente rassicuranti, che creano nemici da cui difendersi, proponendo di diventare gregge ossessionato dall’autodifesa. Condizioni che porteranno alla Seconda Guerra Mondiale, assumendo le sembianze del nazismo, del fascismo e dello stalinismo. L’attualità del suo messaggio è sorprendente, “quando comincia a serpeggiare la paura della libertà, i pericoli aumentano".
D’altro canto l’antifascismo di Levi è quasi innato. Strutturatosi in gioventù grazie alle privilegiate frequentazioni torinesi e a una famiglia in cui si respirava un’aria di libertà e di rivolta contro il clima che si stava già negli anni Venti con l’avvento del regime instaurando in Italia.
“Il fascismo era un qualcosa che non accettavo neanche come oppositore" (Carlo Levi)
Successivamente il pensiero leviano risentirà inevitabilmente dell’esperienza del confino in Lucania, vissuto come continua scoperta di una parte di società umana che solo in apparenza non ha nulla da dire e che sfocerà in un convinto meridionalismo, mirato non tanto a rifondare il Sud d’Italia e del mondo, quanto la coscienza collettiva e politica, per ripensare equilibri convinzioni e prospettive.
È infatti proprio durante l’esilio che Levi matura una nuova visione, che lo spinge a scrivere il suo capolavoro “Cristo si è fermato a Eboli", tramite il quale denuncia le condizioni di vita disumane di quella popolazione contadina, dimenticata dalle istituzioni dello Stato, ed osserva:
“Questa fraternità passiva, questo patire insieme, questa rassegnata, solidale, secolare pazienza è il profondo sentimento comune dei contadini, legame non religioso, ma naturale. Essi non hanno, né possono avere, quella che si usa chiamare coscienza politica, perché sono, in tutti i sensi del termine, pagani, non cittadini […] Non possono avere neppure una vera coscienza individuale, dove tutto è legato da influenze reciproche, dove ogni cosa è un potere che agisce insensibilmente, dove non esistono limiti che non siano rotti da un influsso magico. […] Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli".
La risonanza che avrà il romanzo, rischierà di offuscare non soltanto la sua arte, ma anche altre opere letterarie, come “L’Orologio", ritenuto di ancora maggior spessore e definito come uno dei migliori scritti di narrativa politica del dopoguerra.
Conosciuto soprattutto come scrittore, in verità Carlo Levi si è sempre definito e avrebbe preferito essere ricordato come pittore. La sua primissima fase, da collocarsi all’inizio degli anni Venti, lo vede utilizzare uno stile marmoreo, quasi spigoloso, ma l’assidua frequentazione con Felice Casorati, ne orienta la prima attività artistica, avvicinandolo al realismo magico. Il vero cambiamento avviene però a Parigi, dove assiste in prima persona ai vari fermenti artistici in atto, anche se a colpirlo non saranno il Surrealismo o le varie avanguardie in genere, ma l’arte di Chaim Soutine, di Jules Pascin o di Amedeo Modigliani, artisti ebrei che lo suggestioneranno moltissimo, innescando un cambiamento radicale nella sua tecnica. Dal tipico tratto molto attento al dettaglio, passerà ad una pennellata corposa, ondulata, che diventerà un suo segno distintivo.
La sua è una pittura di stampo espressionista, emotivo, estremamente significativo e impattante nella sensibilità, elemento che se messo a confronto con le gelide atmosfere dei pittori del Novecento ne segna la sua assoluta originalità.