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Meriggiare pallido e assorto, spiegazione della poesia di Montale

Inserito nella raccolta intitolata “Ossi di seppia”, è uno dei testi più celebri dello scrittore e poeta genovese

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d’orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia

spiar le file di rosse formiche

ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano

a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

m entre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com’è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

La raccolta

Uno dei testi più celebri di Eugenio Montale, inserito nell’altrettanto celebre raccolta intitolata “Ossi di seppia”. Già dal titolo della raccolta, appaiono chiare le intenzioni del poeta, che negli elementi più semplici, scarni e “scabri” come avrebbe detto lui, della realtà trova il termine di paragone per rendere l’idea di un’umanità disadorna di illusioni e di salvifiche scappatoie. L’osso di seppia è un elemento che in natura rispecchia e riflette la più essenziale delle apparenze. Un oggetto che di per sé non dovrebbe mai ispirare alcun verso poetico: proprio per questo, Montale lo sceglie e, diremmo, lo eleva al rango di paradigma dell’esistenza; un’esistenza che è di per sé il disvelamento di ogni disinganno, in termini leopardiani diremmo di ogni illusione, avendo ben presente il significato e il peso che il Poeta di Recanati dava a questa parola. In questo senso, schiere di critici letterari hanno sempre operato l’accostamento tra Leopardi e Montale, non a caso ritenuto il Montale del Novecento.

Il correlativo oggettivo

La tecnica di far “parlare” gli oggetti più semplici ed elementari per rendere l’idea di una visione disincantata e lucida dell’esistenza prende il nome di “Correlativo oggettivo”, con il connubio oggetti – vocaboli che rivela tutta la sua efficacia anche grazie al potenziamento semantico ottenuto dall’autore attraverso l’utilizzo di una serie di figure retoriche che hanno la funzione di evocare sensazioni e stati d’animo.

La metrica

I versi di “Meriggiare pallido e assorto” sono di lunghezza variabile, con rime ora alternate, ora baciate.

Lo stile e le figure retoriche

La figura retorica prevalente nel testo è l’allitterazione, giocata su gruppi consonantici dai toni duri, diremmo quasi ostici, con una sovrabbondanza di s, r, t. Questo per tradurre la realtà ostica e inospitale dell’esistenza. Ci sono, poi, alcune immagini che, sempre nel solco del correlativo oggettivo, evidenziano distacco e freddezza dell’ambiente: calvi i picchi dei monti dai quali le cicale emettono “tremuli scricchi”; scaglie dall’aspetto metallico le onde del mare col loro riverbero; aguzzi i cocci di bottiglia che sopra la metaforica muraglia ostruiscono vieppiù la visuale dell’individuo che sembra protendere il collo a scrutare oltre la barriera che è fisica e metaforica al tempo stesso, per cercare di scorgere il disvelamento di un senso, che non sarà mai dato acquisire.