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Pier Paolo Pasolini, vita e pensiero dell’intellettuale 

Uno degli intellettuali più audaci e originali dell’intero novecento, capace di diffondere il suo messaggio anche attraverso il linguaggio cinematografico. Sferzante verso il potere e solidale con i reietti, con la parte più svantaggiata e dimenticata della società. Nel suo messaggio politicamente e socialmente eretico, molto probabilmente, le ragioni della sua fine che resta tuttoggi uno degli irrisolti misteri italiani

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

INSEGNANTE DI LETTERE, GIORNALISTA PUBBLICISTA, SPEAKER RADIOFONICO, OPINIONISTA TELEVISIVO

Ho trasformato in professione quelle che erano le mie passioni, sin dagli anni delle elementari. Dormivo con l'antologia sul comodino e le riviste sportive sotto il letto. L'una mi è servita per diventare una firma delle altre. Per questo, mi sembra di non aver lavorato un solo giorno in vita mia.

Le origini

“Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della società italiana: un vero prodotto dell’incrocio… Un prodotto dell’unità d’Italia. Mio padre discendeva da un’antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ciò non le impedì affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma”.
Nasce a Bologna il 5 marzo del 1922 Pier Paolo Pasolini, da Carlo Pasolini e Susanna Colussi; il padre era un militare con vari rovesci economici alle spalle, la madre una maestra elementare. Due figure che hanno segnato indelebilmente la personalità dell’intellettuale: il padre con la sua ombra autoritaria e intransigente, la madre con un’infinita amorevolezza e con un appoggio incondizionato nei confronti delle scelte del figlio. La carriera del padre obbliga il nucleo familiare a vari spostamenti; il luogo di riferimento per Pasolini bambino e ragazzo è dunque esclusivamente Casarsa delle Delizie, in Friuli, luogo d’origine della madre, che diventa anche luogo dell’anima per il poeta e prima fonte di ispirazione letteraria.

La formazione letteraria

Il primo periodo friulano è quello in cui si avvicina alla lingua e alle tradizioni del mondo rurale, all’impegno politico nel Partito Comunista Italiano e all’esperienza dell’insegnamento a scuola. Sono di quegli anni anche la presa di coscienza dell’omosessualità e le prime avventure amorose con alcuni ragazzi del posto. Diplomatosi al liceo Galvani di Bologna con un anno di anticipo per meriti scolastici, Pasolini conseguirà la Laurea in Lettere presso l’Università di Bologna il 26 novembre 1945, con una tesi sulla poetica di Giovanni Pascoli. Questi erano stati gli anni in cui Pasolini da studente aveva mosso i primi passi nel fervido ambiente culturale bolognese, nonostante l’egida cattedratica del fascismo e gli anni della Guerra. Al tempo stesso, le estati trascorse a Casarsa lo avevano riempito di suggestioni poetiche sul sempre più idealizzato mondo contadino, condensate nel volume “Poesie a Casarsa” pubblicato a sue spese e apprezzato dal critico Gianfranco Contini.

La morte del fratello Guido

Alla viglia dell’Armistizio dell’8 settembre del 1943, Pasolini era stato chiamato alle armi ma, con il precipitare degli eventi aveva quasi subito disertato, nascondendosi tra i contadini, essendosi rifiutato di consegnare le armi ai soldati tedeschi divenuti nel frattempo nemici occupanti sul suolo italiano.
Diversa la sorte di suo fratello, Guido Pasolini, arruolatosi partigiano. Il 7 febbraio del 1945, Guido, non ancora ventenne, fu giustiziato insieme ad altri sedici partigiani della Brigata Osoppo, a Porzus, in Friuli, da una milizia di partigiani comunisti “titini” jugoslavi in quello che fu ricordato come “l’eccidio di Porzûs”. Questa notizia venne comunicata al poeta il 2 maggio 1945 da un amico partigiano, precipitando Pasolini e sua madre in prostrante dolore.

La scoperta del marxismo e il processo per oscenità

Gli anni del Dopoguerra per Pasolini sono caratterizzati oltre che dalla febbrile attività poetica e dalle prime esperienze da insegnante, anche da un progressivo avvicinamento alle teorie marxiste, agli insegnamenti di Antonio Gramsci e alla scelta di campo in politica, che si traduce in una più consapevole adesione al PCI. stessi anni, sul piano strettamente intimo e privato, Pier Paolo Pasolini vive la sua omosessualità in modo pieno e consapevole, ma che sconfina in comportamenti oltre la soglia della legalità:
Il 29 agosto del 1949, alla sagra di Santa Sabina a Ramuscello, Pasolini paga tre minori per dei rapporti di masturbazione. Le indagini dei Carabinieri di Corcovado, dopo un complesso iter processuale, portano a una prima condanna per atti osceni in luogo pubblico, che porterà poi a una definitiva assoluzione nel 1952. Nel frattempo però, il “tribunale” della pubblica opinione locale in Friuli ha emesso la sua sentenza: Pasolini viene sospeso dall’insegnamento, come da prassi e paradossalmente, riceve il più duro dei giudizi dall’interno del partito nel quale milita: il PCI decide di espellerlo per ragioni di “Indegnità morale e politica”.

L’incontro con Roma

Per sfuggire allo scandalo provocato dalla pubblica denuncia della sua omosessualità, si stabilisce con la madre a Roma. I primi tempi sono economicamente molto duri, al punto che la madre Susanna deve adattarsi a svolgere una serie di lavori umili e sottopagati. Le cose iniziano a cambiare quando Pasolini riesce a tornare all’insegnamento, in una scuola media di Ciampino.
Nel frattempo, Roma per il poeta è una sorta di “suggestione a cielo aperto” e diviene ben presto una fonte inesauribile di ispirazione. Soprattutto, quella Roma nascosta, indistinta, misconosciuta e rifiutata dall’immagine convenzionale e turistica della Città Eterna. Pasolini inizia, da non autoctono, a scandagliare la cintura periferica della città, fatta di baraccopoli che si moltiplicano come funghi e animata da un sottoproletariato abbandonato a se stesso, che non riesce ad avere un ruolo in alcuna dialettica sociale e che non può fare altro che sopravvivere: senza legge, senza scuola, senza riconoscere alcun precetto religioso o morale, senza sentirsi rappresentato da alcun movimento politico.
In questa umanità degradata, che con ansia febbrile Pasolini comincia a voler conoscere dall’interno, a cominciare dal dialetto, il poeta vede una sorta di purezza primogenia, una selvaggia innocenza nascosta alle porte della città simbolo dei palazzi del potere, della burocrazia e di un millenario passato scintillante di gloria e magnificenza. Così la vorrà raccontare, usando più arti e più espressioni.

I romanzi “romani”

Pasolini dunque gira per le borgate, le baraccopoli, frequenta i componenti di quella umanità così variegata e per nulla censita, non catalogata e in quegli anni ancora non contaminata da quello che è a suo giudizio il rischio principale della società moderna: l’omologazione.
Nel 1955 pubblica “Ragazzi di vita”, romanzo sulla vita dei ragazzi delle borgate romane, con cui è entrato in contatto dal suo arrivo nella capitale. Il libro ottiene un grande successo di pubblico, ma viene accusato di oscenità, a causa del tema della prostituzione maschile. Pasolini subisce, quindi, un processo per pornografia da cui verrà assolto, grazie anche alle testimonianze di intellettuali dell’epoca, come Giuseppe Ungaretti.
Nel 1959 Pasolini conclude Una vita violenta, un romanzo ancora una volta incentrato sui ragazzi delle borgate, con risvolti politici – il protagonista, Tommaso Puzzilli, inizialmente è un militante neofascista del MSI appena nato, in seguito si avvicina ai democristiani e infine al PCI -.
Entrambi i romanzi, a livello linguistico, sono caratterizzati dalla commistione tra l’italiano e il registro dialettale romanesco, compresa la voce narrante, che opera così un abbassamento al livello dei personaggi e conferisce alla narrazione un forte realismo: era stato, sin dall’inizio, l’obiettivo che si era posto il poeta, quello di riprodurre una realtà alla quale originariamente non apparteneva ma che aveva meticolosamente studiato dall’interno.

Il cinema di Pasolini

Quegli stessi individui di borgata, dai quali aveva tratto i personaggi dei suoi romanzi, Pasolini li trasporterà anche nelle pellicole cinematografiche che dirigerà come regista e che aveva precedentemente sceneggiato, utilizzando attori non professionisti, che reciteranno accanto a mostri sacri del cinema come Totò o Anna Magnani.
Negli anni ‘60 Pasolini passa al cinema: il suo esordio alla regia è il film “Accattone” (1961), trasposizione dei temi letterari di “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”. Altri film di questi anni da ricordare, sono “Mamma Roma” (1962), con la Magnani; “Il vangelo secondo Matteo” (1964), “Uccellacci e uccellini” (1965), con Totò; “Edipo re” (1967), “Teorema” (1968) e “Medea” (1969).
Nei primi anni ‘70 Pasolini si dedica al progetto cinematografico, chiamato “trittico della vita”, che comprende tre film: “Decameron” (1971), tratto dalle novelle di Boccaccio, “I racconti di Canterbury” (1972), tratti dall’opera di Chaucer e infine “Il fiore delle Mille e una notte” (1974).
Nel 1975 termina quello che sarà il suo ultimo e più discusso prodotto cinematografico, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Ispirato dall’opera del marchese de Sade, Pasolini ambienta la sceneggiatura della pellicola negli anni della Repubblica di Salò; la trama prevede che quattro funzionari del partito fascista rapiscano un gruppo di ragazzi e ragazze per soddisfare le loro perversioni sessuali.

Pasolini polemista e editorialista

A partire dal 1973 Pasolini incomincia a collaborare con il “Corriere della Sera”, con articoli di argomento politico e di costume, che verranno poi raccolti nel 1975 in Scritti corsari e in “Lettere luterane”, uscito postumo dopo la sua morte, che resta ancora oggi uno degli irrisolti misteri italiani. In questi scritti, Pasolini sferza duramente la classe politica italiana dell’epoca e la classe dirigente in generale, responsabili a suo dire dell’appiattimento culturale delle masse, della creazione di una insipiente ed egoista classe borghese, della tanto temuta omologazione che priva il proletariato del suo orgoglio e del suo vitalismo. Sono articoli fortemente invisi ai cosiddetti poteri forti e in molti, dopo l’omicidio di Pasolini, ricondurranno a quegli scritti le ragioni del suo assassinio.

La morte di Pasolini, un mistero irrisolto

Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, Pier Paolo Pasolini viene ucciso brutalmente sulla spiaggia di Ostia, all’Idroscalo. Alcuni residenti all’alba trovano il suo cadavere martoriato. Sul suo corpo evidenti segni di percosse e quelli della sua stessa auto da cui fu probabilmente investito.
L’omicidio viene attribuito a un ragazzo di borgata di diciassette anni anni, Pino Pelosi, così tanto somigliante ai suoi ragazzi di vita. Il Pelosi si dichiara colpevole: racconta agli inquirenti di aver incontrato Pasolini al Bar Gambrinus nei pressi della Stazione Termini di Roma. Dopo aver cenato insieme, si sono diretti sul lungomare di Ostia per consumare un rapporto sessuale. Lì, sostiene Pelosi, lui avrebbe cambiato idea e da quel rifiuto sarebbe nata una colluttazione con lo scrittore sfociata in omicidio.
La ricostruzione risulta piena di falle, a cominciare dal fatto che un ragazzo dal fisico esile come Pelosi non poteva aver ridotto un uomo adulto e robusto come Pasolini in quello stato agendo da solo. Per di più, stride in modo evidente il fatto che Pelosi quando viene interrogato, dopo che i Carabinieri in quella stessa notte lo fermano con l’auto di Pasolini, che inizialmente fa imputare per furto il Pelosi, non è sporco di sangue, mentre il corpo dello scrittore viene trovato a terra totalmente intriso di sangue dalla testa ai piedi.
Il caso del delitto di Pier Paolo Pasolini ancora oggi resta irrisolto: in troppi potevano aver commissionato il suo omicidio: dai neofascisti ai servizi segreti deviati, passando per tante altre lobby, anche politiche, o per i vari potentati economici. C’è stato anche chi ha indicato tra le cause il romanzo che Pasolini stava scrivendo e che è uscito postumo e ovviamente incompiuto nel 1992: “Petrolio”. In controluce, attraverso le vicende del protagonista, vengono narrate vicende che riguardano l’ENI, Ente Nazionale Idrocarburi, l’alta società italiana, la politica di governo.

Il messaggio di Pasolini

Intellettuale eretico, non del tutto irregimentabile nemmeno dalla parte politica alla quale sentiva e dichiarava di appartenere, Pasolini ha avuto il merito di essere profetico: aveva capito con largo anticipo come sarebbe diventata la società italiana, quale sarebbe stata l’influenza omologante dei mass media, come anche la cultura ne sarebbe stata interessata e depotenziata. Con i suoi romanzi e i suoi film ha celebrato una realtà che molti fingevano di non vedere, delle stridenti disparità sociali, una ingiustizia elevata a potenza e una spinta del potere verso una funzionale ignoranza di ritorno delle masse. In molte criticità della società attuale, si possono riscontrare le sue previsioni.