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Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici: analisi e commento

Scritta durante l'occupazione nazista di Milano, la poesia resta muta e priva di valore dinanzi all'orrore della guerra

Marco Netri

Marco Netri

GIORNALISTA E IMPRENDITORE

Ho iniziato a scrivere da giovanissimo e ne ho fatto il mio lavoro. Dopo la laurea in Scienze Politiche e il Master in Giornalismo conseguiti alla Luiss, ho associato la passione per la scrittura a quello per lo studio dedicandomi per anni al lavoro di ricercatore. Oggi sono imprenditore di me stesso.

Con il componimento “Alle fronde dei salici", Salvatore Quasimodo decreta la sua uscita dall’ermetismo e l’individualismo che ne avevano caratterizzato l’opera, per abbracciare una poesia tesa alla riscoperta dei valori propri di una società collettiva.

D’altro canto l’opera, pubblicata per la prima volta su una rivista nel 1946 e inserita l’anno successivo nella raccolta “Giorno dopo giorno", vede la luce all’indomani dell’armistizio con le truppe anglo-americane, durante l’occupazione nazista di Milano.

Quasimodo in questa sua angosciosa lirica riflette sugli orrori della guerra, al cospetto dei quali anche la poesia resta ammutolita e priva di valore.

La poesia

E come potevano noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.

Analisi

Composta da dieci endecasillibi sciolti, “Alle fronde dei salici" è propbabilmente il più celebre dei componimenti di Quasimodo e come già anticipato segna il passaggio del poeta dall’ermetismo a un nuovo tipo di poesia, che sgorga spontanea dopo la devastante esperienza della Seconda guerra mondiale.

E infatti il contenuto della lirica è totalmente influenzato dal contesto, quello di giorni scanditi da dolore, disperazione e morte. Una situazione che rende impossibile per i poeti abbandonarsi al canto e alla scrittura. Un incipit ispirato al Salmo 136 della Bibbia, dedicato agli israeliti deportati in Babilonia, che si rifiutano di intonare le loro canzoni.

Il tema viene ripreso nel finale, con l’immagine delle cetre appese ad oscillare al “triste vento", simbolo della resa dei poeti, resi muti dalle terrificanti scene del conflitto mondiale, rappresentato dall’invasione straniera che opprime il cuore.

Il tutto, ed è qui l’evidenza della svolta nella poetica di Quasimodo, abbandonando l’io eremetico e individualista, per sotituirlo con un “noi", che sa di popolo e meglio si adatta ai nuovi temi affrontati, molto più concreti e legati alla natura sociale e civile.

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Commento

Tra i morti abbandonati nelle piazze […] al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo?".

Sono i versi 3,4.5.6 e 7, uno dei contributi poetici più significativi dell’intera cultura novecentesca, capaci di raccogliere in cinque righe la follia rappresentata e alimentata dalla guerra, attraverso scene di un’atrocità e una crudeltà mai vista. Immagini cruente e insopportabili, che evidenziano la cieca e inutile violenza di cui è capace l’uomo, come quelle dei i corpi inanimati che rivestono le piazze, o quelle che rimandano ai lamenti strazianti dei bambini, che come agnelli percepiscono di trovarsi in un mattatoio senza neanche aver avuto il tempo di scegliere, fino all’altrimenti indescrivibile “urlo nero" della madre cui non solo hanno tolto un figlio, ma glielo hanno crocifisso al palo del telegrafo.

È allora proprio di fronte a questa realtà inaccettabile, eppure così reale, anche il poeta si arrende, svuotato di qualunque velleità lirica e in grado solamente di offrire il suo silenzio a mo’ di voto, affidando alla sua cetra, appesa alle fronde del salice, il muto lamento, il pianto e il dolore.