"The Rime of the Ancient Mariner" di Coleridge
"La ballata del vecchio marinaio", pubblicata nel 1798, è una poesia che parla delle funeste vicende di un uomo colpevole dell'uccisione di un albatro
- La trama di "The Rime of the Ancient Mariner"
- La prima parte
- La seconda parte
- La terza parte
- La quarta parte
- La quinta parte
- La sesta parte
- La settima parte
La trama di “The Rime of the Ancient Mariner”
‘La ballata del vecchio marinaio’ (‘The Rime of the Ancient Mariner’ nel titolo originale) è stata scritta e ripresa più volte da Samuel Taylor Coleridge e pubblicata nel 1798 nell’introduzione della raccolta romantica ‘Ballate liriche’ (‘Lyrical Ballads’) dello stesso critico letterario e filosofo britannico, in collaborazione con William Wordsworth, la cui celebre Preface è considerata il manifesto del Romanticismo inglese. Intitolata ‘La leggenda del vecchio marinaro’ nella prima traduzione italiana datata 1889, racconta la vicenda fantastica di una maledizione che cade su una nave e sul suo equipaggio e, in particolare, delle funeste vicende di un marinaio colpevole dell’uccisione di un albatro.
La prima parte
Un vecchio marinaio dalla barba grigia incontra tre giovani gentiluomini che sono stati invitati a una festa nuziale e, con la sua mano scheletrica, ne intrattiene uno con il racconto di una sua incredibile avventura in mare. Il giovane, inizialmente riluttante per via dell’aspetto dell’uomo, rimane sedotto dal suo sguardo magnetico e decide quindi di ascoltare la sua storia, che inizia con le vicende di una nave che, spinta oltre l’Equatore verso l’Antartide, rimane intrappolata in una tempesta che la conduce nei pressi del Polo Sud. Il ghiaccio impedisce alla nave di muoversi e i marinai temono per la propria vita. Ormai disperati, vedono un grande uccello marino, precisamente un albatro, posarsi sull’albero dell’imbarcazione: un fatto che, di colpo, riaccende la speranza nell’equipaggio la speranza: l’animale viene infatti rifocillato coi pochi viveri rimasti e viene trattato come fosse una presenza divina, foriera di una brezza che consente alla nave di liberarsi dalla stretta del ghiaccio. In maniera del tutto inaspettata, però, il vecchio marinaio uccide l’uccello con un colpo di balestra e l’autore non fornisce spiegazione alcuna sul perché di questo folle e del tutto gratuito gesto.
La seconda parte
L’uccisione dell’albatro, improvvisamente, getta il vecchio marinaio in uno stato di grande tormento interiore e, afflitto dai sensi di colpa, inizia a pentirsi per quello che considera un crimine efferato e infernale. Ad ogni modo, l’equipaggio, che in un primo momento aveva rimproverato l’uomo per il gesto inopportuno, cambia atteggiamento in concomitanza con il miglioramento delle condizioni atmosferiche: ed è proprio questa sorta di assenso a renderli, di fatto, moralmente complici del delitto. Sulla nave, tuttavia, sospinta oltre l’Equatore, si abbatte ben presto un potente maleficio. Il clima cambia improvvisamente, la bonaccia tiene ‘prigioniero’ il veliero, a sua volta travagliato da un solo cocente e da acque roventi. Come non bastasse, in mare iniziano a verificarsi strani fenomeni, a partire dalla comparsa di orribili mostri viscidi e deformi, mentre l’equipaggio, che inizia a patire la sete, muta anche il proprio atteggiamento, tornando a incolpare il vecchio marinaio per la disgrazia venutasi a creare, al punto da appendergli simbolicamente al collo la carcassa dell’albatro abbattuto.
La terza parte
I marinai, esasperati e con occhio vitreo e intimidatorio, guardano minacciosi il vecchio marinaio il quale, questo volgendo il proprio sguardo a ponente, scorge una nave in lontananza. L’equipaggio esulta, ma la gioia si spegne repentinamente, non appena capiscono che nessuna imbarcazione potrebbe mai muoversi senza vento né corrente. Si tratta, infatti, di un vascello fantasma al cui interno si scorgono uno scheletro e una donna, intenti a giocare a dadi. Sono la Morte, che vuole la dipartita dell’intera ciurma, e Vita-in-Morte, un essere dagli occhi audaci, le labbra rosse, i capelli biondi e la pelle bianca che, vincitrice della partita, sceglie invece la sopravvivenza del solo vecchio marinaio. Mentre cala la notte, l’equipaggio, ormai agonizzante, maledice l’uomo reo dell’uccisione dell’uccello e, di conseguenza, della loro sventura finché, uno dopo l’altro, tutti e duecento esalano l’ultimo respiro.
La quarta parte
Qui, a parlare è il convitato che, impaurito dall’idea che l’anziano sia in realtà uno spirito, afferma: «Tu mi spaventi, vecchio Marinaro! La tua scarna mano mi fa paura! Tu sei lungo, magro, bruno come la ruvida sabbia del mare. Ho paura di te, e del tuo occhio brillante, e della tua bruna mano di scheletro…». L’uomo, tuttavia, rassicura l’interlocutore della sua esistenza corporea e prosegue il proprio racconto. Narra di come, rimasto solo sopra «l’immenso mare» putrido, circondato dalla desolazione e perseguitato dal ricordo dei compagni morti, dai cui cadaveri sgorga sudore freddo, abbia chiuso le palpebre, sentendo tuttavia le sue pupille continuare a pulsare, come se cielo e mare opprimessero i suoi occhi come dei macigni. È in quel momento che si rende conto che la punizione assegnatagli fosse peggiore della morte, una «maledizione di un orfano», che lo costringe a sette giorni e altrettanti notti di sofferenza e solitudine. Dopodiché, compaiono alla sua vista enormi serpenti marini agitarsi in mare, lasciando alle loro spalle delle scintillanti scie luminose: una visione che un tempo gli avrebbe fatto ribrezzo e che ora, invece, lo affascina al punto da sentire il cuore riempirsi di amore. Quasi inconsciamente, inizia a pregare e Dio, impietosito, interrompe il maleficio della Vita-in-Morte: la carcassa dell’albatro attorno al suo collo si stacca e si inabissa nelle profondità del mare.
La quinta parte
La Santa Vergine, nel frattempo, invia al marinaio un sonno ristoratore. Egli sogna che i secchi della nave, vuoti sul ponte ormai da tempo, siano colmi di rugiada e, al risveglio, sta piovendo: le sue labbra sono infatti umide di pioggia, i vestiti bagnati e la sua sete soltanto un lontano e sbiadito ricordo. Durante la notte, poi, un gruppo di angelici spiriti si impossessa dei cadaveri dei duecento marinai e ognuno torna a svolgere la propria mansione sulla nave. «Tu mi fai terrore, vecchio Marinaio!», ribadisce il giovane, prontamente interrotto dall’uomo, che prosegue il racconto raccontando di come, all’alba, tutte le anime si siano raccolgono intorno all’albero maestro intonando al cielo un melodioso canto. Nel frattempo, la nave procede sulla rotta, mossa dall’azione dello «spirito dell’Antartide» il quale, tuttavia, esige che il marinaio espii totalmente le proprie colpe: per tale motivo, cambia improvvisamente rotta e veleggia verso nord a una velocità che l’essere umano non può sopportare. Il marinaio cade a terra e perde i sensi senza ricordare nient’altro all’infuori di due voci indistinte dire: «È lui l’uomo che con la crudele balestra abbatté l’Albatro innocente?» e «L’uomo ne ha già fatto penitenza, e altra penitenza ha da fare».
La sesta parte
La sesta parte è dedicata al dialogo tra le due voci sentite dal marinaio prima di perdere i sensi, appartenenti ai compagni dello Spirito Polare che ha vendicato l’albatro. Questi spiegano il moto della nave in assenza di vento: è infatti l’aria, chiudendosi dietro la nave, a farla avanzare. Risvegliatosi, il protagonista della ballata ricomincia la propria espiazione, pur sentendosi rincuorato da un vento che appare propizio. Il vascello giunge così nel suo paese natale, che riconosce immediatamente dalla chiesa, dalla baia e dalla collina, e la gioia provata lo induce a pregare affinché non si tratti di un sogno («Risvegliami mio Dio oppure lasciami nel sonno per sempre»). Nel frattempo, gli spiriti evangelici lasciano i corpi dell’equipaggio, che giacciono ora con un angelo accanto, ma il vecchio marinaio non ne appare turbato, distratto dall’arrivo di una barca con a bordo un eremita che intona inni sacri, che spera possa essere in grado di assolverlo dal peccato commesso.
La settima parte
Il vecchio marinaio viene invitato dall’eremita del bosco ad accostare il suo vascello al battello ma, conclusa la manovra, affonda improvvisamente. Il marinaio riesce comunque a trarsi in salvo e non perde tempo a chiedere all’eremita di assolverlo dai suoi peccati, raccontandogli la storia dal principio, liberandosi così dall’agonia per le vicende vissute. L’ambientazione torna alla festa nuziale, con l’anziano che confessa al convitato che, ogni qualvolta sente la sua anima in preda all’angoscia, inizia a vagare finché non trova qualcuno disposto ad ascoltare la sua avventura. Quindi, la ballata si conclude con il vecchio marinaio che invita il giovane a rispettare tutte le creature di Dio, prima di allontanarsi. Il gentiluomo, invece, rimasto sbigottito, all’indomani si sveglierà tanto più triste quanto più saggio.