Capitolo 19 de I Promessi Sposi: riassunto e commento
Il Capitolo 19 dei Promessi Sposi è uno dei momenti più alti e intensi del romanzo di Alessandro Manzoni, sia dal punto di vista narrativo che da quello psicologico e spirituale. Dopo il rapimento di Lucia orchestrato da Don Rodrigo e affidato all’Innominato, il racconto si concentra interamente su quest’ultimo personaggio, che in questo capitolo attraversa una profonda crisi interiore.
La narrazione non segue lo schema dell’azione esterna, ma si svolge quasi tutta nella dimensione interiore del protagonista, ponendo al centro il conflitto tra il male compiuto e la possibilità del pentimento. È un capitolo cupo, denso, straordinariamente moderno nella costruzione del personaggio e nella rappresentazione del travaglio morale. Manzoni, attraverso la figura dell’Innominato, compie un’indagine profonda sull’animo umano, toccando temi universali come la coscienza, la colpa, la disperazione e la ricerca di redenzione.
- La prigionia di Lucia e la sua invocazione
- La lunga notte della coscienza
- Il passaggio dalla disperazione al desiderio di redenzione
- Un capitolo simbolo della conversione
La prigionia di Lucia e la sua invocazione
Il capitolo si apre con Lucia ormai prigioniera nella rocca dell’Innominato, in una stanza isolata e sotto stretta sorveglianza. Manzoni descrive con partecipazione il suo stato d’animo: è terrorizzata, sola, in preda alla disperazione, ma non perde la fede. In un momento di massima angoscia, fa un voto alla Madonna, promettendo che, se fosse liberata, avrebbe consacrato la sua vita a Dio, rinunciando anche all’amore per Renzo. Questo passaggio è cruciale per comprendere l’evoluzione del personaggio di Lucia e rappresenta un punto di svolta anche per l’Innominato.
Infatti, l’invocazione di Lucia ha un impatto fortissimo su di lui. È la prima crepa nel muro della sua apparente indifferenza al male, la prima voce che gli penetra nell’anima. L’Innominato, che fino a quel momento ha vissuto con freddezza i suoi crimini, avverte ora un turbamento nuovo, inspiegabile, che lo costringe a confrontarsi con se stesso. Manzoni riesce a far percepire al lettore questa tensione senza ricorrere a gesti plateali: bastano gli sguardi, i silenzi, le parole spezzate, per far emergere un conflitto interiore di rara profondità.
La lunga notte della coscienza
Il cuore del capitolo è la notte dell’Innominato, una notte in cui il protagonista non riesce a dormire, tormentato da pensieri cupi e da un’angoscia crescente. La sua mente è invasa da ricordi, rimorsi, domande senza risposta. Tutto ciò che prima sembrava sicuro – il potere, la forza, la libertà assoluta – ora appare fragile, vano, illusorio. L’Innominato si sente schiacciato dal peso delle sue colpe, ma allo stesso tempo incapace di intravedere una via d’uscita. È un momento di angoscia esistenziale assoluta, descritto da Manzoni con toni quasi moderni, che anticipano la crisi dell’uomo contemporaneo.
Questa lunga notte è una lotta interiore tra disperazione e speranza. L’Innominato alterna il desiderio di finirla con tutto – arriva perfino a pensare al suicidio – con il bisogno profondo, seppur non ancora cosciente, di essere perdonato, accolto, salvato. È il punto più basso della sua parabola, ma anche il momento che prepara la sua rinascita. Manzoni non giudica il personaggio, ma lo accompagna con uno sguardo di compassione e di fiducia nella possibilità del cambiamento. La scrittura si fa più intensa, ricca di interrogativi, di pause, di frasi spezzate che rendono perfettamente il dramma della coscienza.
Il passaggio dalla disperazione al desiderio di redenzione
Durante questa notte di tormento, l’Innominato comincia a desiderare una via d’uscita, un interlocutore, qualcuno che possa indicargli una strada diversa. E in questo stato di smarrimento totale, gli torna in mente ciò che aveva detto il suo servo: che il cardinal Federigo Borromeo, allora in visita pastorale nella zona, era in un paese vicino. Questo pensiero, all’inizio indistinto, si fa via via più forte, fino a diventare una possibilità concreta. L’Innominato, pur non comprendendo fino in fondo il motivo di questo desiderio, sente che in quell’uomo di Dio potrebbe esserci una risposta, un’alternativa alla tenebra che lo opprime.
Il capitolo si conclude con questa apertura alla luce: il male non è ancora sconfitto, la redenzione non è ancora compiuta, ma l’Innominato ha deciso di incontrare il cardinale, di cercare un dialogo, forse un perdono. È un finale sospeso, ma potentissimo, che apre le porte a uno dei momenti più celebri e intensi dell’intero romanzo: l’incontro tra il criminale e il santo. Manzoni, con grande abilità narrativa, chiude il capitolo lasciando il lettore con il fiato sospeso e con una nuova speranza che si affaccia all’orizzonte.
Un capitolo simbolo della conversione
Il Capitolo 19 non è solo un momento chiave nella trama dei Promessi Sposi, ma è anche uno dei vertici morali e religiosi del romanzo. La conversione dell’Innominato, che qui viene preparata, è trattata con una delicatezza psicologica e una profondità teologica straordinarie. Non si tratta di un cambiamento improvviso e superficiale, ma del frutto di un lungo travaglio interiore, in cui il male viene guardato in faccia, riconosciuto, sofferto. È il trionfo della coscienza sulla violenza, della grazia sulla disperazione.
Dal punto di vista stilistico, Manzoni abbandona i toni realistici e cronachistici di altri capitoli per adottare uno stile più drammatico e meditativo, fatto di introspezione e silenzi. L’intero capitolo si concentra su un solo personaggio, isolato nel suo castello e nel proprio dolore, e riesce a far vibrare il lettore con ogni sfumatura del suo tormento. È una lezione di umanità, un invito a credere nella possibilità del cambiamento, anche nei cuori più induriti.
Il Capitolo 19 resta perciò uno dei momenti più alti della letteratura italiana, per la forza con cui racconta la notte buia dell’anima, ma anche per il coraggio con cui lascia intravedere, alla fine, una luce possibile.