Capitolo 2 de I Promessi Sposi: analisi e commento
Il Capitolo 2 dei Promessi Sposi si svolge nella stessa giornata del primo e prosegue la narrazione in modo diretto e consequenziale. Dopo aver assistito al momento in cui Don Abbondio viene fermato da due bravi e costretto a non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia, il secondo capitolo ci porta dentro la casa del curato, permettendo al lettore di conoscerlo meglio e di seguire le sue reazioni, i suoi timori e le sue esitazioni.
In parallelo, fa la sua prima apparizione Perpetua, la domestica del parroco, e si gettano le basi per l’ingresso di Don Rodrigo, la vera figura di potere che condiziona le vite di tutti nel paese. Manzoni costruisce un capitolo in cui il tono è spesso ironico, ma sempre attento a sottolineare il contrasto tra la debolezza dei buoni e l’arroganza dei prepotenti, tra la legalità formale e la realtà violenta della società del Seicento.
- Il rientro ansioso di Don Abbondio e il suo rapporto con Perpetua
- Il peso della minaccia e il dilemma morale del curato
- L’identità del mandante: Don Rodrigo
- Un capitolo dominato dal realismo e dall’ironia
Il rientro ansioso di Don Abbondio e il suo rapporto con Perpetua
Il capitolo si apre con Don Abbondio che torna sconvolto e trafelato a casa, dopo il minaccioso incontro con i due bravi. Manzoni descrive con ironia e acutezza la paura che lo ha colpito, mostrando un personaggio che non riesce a pensare ad altro che alla propria incolumità. Chiude subito porte e finestre, si barrica dentro come se da un momento all’altro potesse arrivare qualcuno ad aggredirlo. È un uomo soggiogato dalla paura, incapace di reagire o di pensare in modo razionale, e dominato da una concezione della vita che mette la prudenza e la conservazione personale al di sopra di ogni principio morale o religioso.
In casa lo attende Perpetua, la sua domestica, che intuisce immediatamente che è successo qualcosa di grave. Tra i due si sviluppa un dialogo che alterna tensione e comicità, in cui Perpetua cerca insistentemente di sapere la verità, mentre Don Abbondio si chiude in un silenzio ostinato. La scena è costruita da Manzoni con sapienza teatrale: i due personaggi sono caratterizzati in modo vivido, e l’interazione tra loro mette in risalto la debolezza del parroco e la curiosità pragmatica della donna. Perpetua rappresenta il buon senso popolare, l’istinto pratico e la concretezza; Don Abbondio, invece, l’intellettuale timoroso e conformista, incapace di affrontare apertamente l’ingiustizia.
Il peso della minaccia e il dilemma morale del curato
Dopo aver ceduto alle domande insistenti di Perpetua, Don Abbondio le rivela, seppur in modo vago, che non potrà celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. Non fa nomi, non spiega il motivo, ma Perpetua intuisce che dietro c’è una pressione esterna. La reazione della donna è molto più decisa rispetto a quella del curato: mentre lui si preoccupa solo di non avere guai, Perpetua riconosce subito la gravità del fatto, percependo che si tratta di un’ingiustizia verso due poveri innocenti. Manzoni usa questo contrasto per sottolineare come, spesso, il coraggio e la chiarezza morale non appartengano a chi ha il potere religioso o culturale, ma alle persone semplici.
La riflessione interiore di Don Abbondio, che occupa buona parte del capitolo, mette in luce la sua debolezza etica. Egli non pensa mai a ribellarsi, a denunciare il sopruso, a cercare giustizia: la sua unica preoccupazione è salvarsi, evitare ogni rischio, e mantenere la propria posizione. Manzoni non è mai esplicitamente duro con lui, ma usa una sottile ironia narrativa per mostrare l’assurdità di una religione vissuta solo come forma, svuotata di ogni spirito evangelico. Il curato incarna la figura di chi si piega al potere, anche quando quel potere è evidentemente malvagio.
L’identità del mandante: Don Rodrigo
Nella parte finale del capitolo, viene finalmente svelata al lettore, ma non ancora ai personaggi, l’identità del mandante della minaccia: si tratta di Don Rodrigo, un nobile arrogante e violento, che ha messo gli occhi su Lucia e ha deciso di impedire con ogni mezzo il suo matrimonio. L’annuncio della sua presenza è affidato a una frase secca e tagliente, con cui Manzoni rompe la suspense e chiarisce il centro del conflitto: non si tratta di un semplice malinteso, ma di un sopruso consapevole e sistematico.
Con l’ingresso di Don Rodrigo, pur solo come nome evocato, il romanzo assume una nuova profondità. Non siamo più di fronte a piccoli screzi di paese, ma a un conflitto tra il potere arbitrario e la giustizia naturale, tra il privilegio dei forti e il diritto dei deboli. L’intera vicenda assume una valenza morale più ampia, e i protagonisti cominciano a muoversi in un contesto in cui la violenza e la sopraffazione sono componenti strutturali della società.
Un capitolo dominato dal realismo e dall’ironia
Il Capitolo 2 è fondamentale per la costruzione dell’atmosfera e dei personaggi del romanzo. Attraverso Don Abbondio e Perpetua, Manzoni dipinge una società dominata dalla paura e dalla complicità passiva, in cui anche chi dovrebbe opporsi al male preferisce tacere. Lo stile dell’autore alterna descrizione, dialogo e riflessione, con frequenti incursioni dell’ironia narrante, che rende evidente la distanza tra ciò che i personaggi fanno e ciò che dovrebbero fare.
Dal punto di vista tematico, emergono questioni cruciali: la responsabilità individuale di fronte all’ingiustizia, la debolezza delle istituzioni religiose, la violenza come strumento di controllo sociale. È un capitolo ancora privo di azione vera e propria, ma densissimo di significato morale e sociale, che getta le fondamenta per tutto ciò che seguirà. Con finezza psicologica e acutezza narrativa, Manzoni comincia a tessere la rete complessa di relazioni, paure e inganni che avvolgerà i protagonisti per tutto il corso del romanzo.