Capitolo 25 de I Promessi Sposi: riassunto e personaggi
Il Capitolo 25 dei Promessi Sposi segna il ritorno in scena di Fra Cristoforo, che, dopo un lungo periodo di assenza dalla narrazione, riappare in una fase cruciale per lo sviluppo della trama. In questo capitolo, Manzoni mostra come la forza della fede e del coraggio morale si manifestino anche nei gesti quotidiani e nelle parole di chi agisce con rettitudine.
Fra Cristoforo viene incaricato dal cardinale Federigo Borromeo di recarsi al paese di Lucia per aiutare i protagonisti, e in particolare per convincere Don Abbondio a celebrare finalmente il matrimonio tra Renzo e Lucia, qualora la situazione lo permetta. Il capitolo è dominato dal confronto tra due figure opposte, il frate cappuccino e il pavido curato, e rappresenta una riflessione profonda sul coraggio, la coscienza e la responsabilità morale.
- La partenza di Fra Cristoforo e l’autorità del cardinale
- Il confronto tra Fra Cristoforo e Don Abbondio
- La crisi interiore di Don Abbondio
- Un capitolo di confronto tra due concezioni della vita
- Un ponte tra passato e futuro nella narrazione
La partenza di Fra Cristoforo e l’autorità del cardinale
Il capitolo si apre con Federigo Borromeo che, dopo aver accolto Lucia e aver compreso la delicatezza della sua situazione, decide di inviare Fra Cristoforo a svolgere una delicata missione pastorale. Il frate deve tornare nel paese di Renzo e Lucia per preparare il terreno a un possibile ritorno degli sposi e per verificare la situazione locale, ancora soggetta al potere di Don Rodrigo. Questo incarico non è solo pratico, ma anche simbolico: Borromeo affida la missione a un uomo di fede autentica, umile e coraggioso, consapevole che la sua parola potrà più di qualsiasi ordine imposto dall’alto.
Fra Cristoforo accetta con prontezza e spirito di obbedienza, mostrando ancora una volta il suo spirito di servizio. Il viaggio che intraprende ha una duplice valenza: è un ritorno ai luoghi della colpa e del sopruso, ma anche un atto di fedeltà verso i suoi protetti. Manzoni lo presenta come un modello di sacerdote cristiano: non un uomo di potere, ma di compassione e giustizia, che agisce non per affermare sé stesso, ma per soccorrere chi ha bisogno.
Il confronto tra Fra Cristoforo e Don Abbondio
Il cuore del capitolo è rappresentato dal colloquio tra Fra Cristoforo e Don Abbondio, in cui emergono in modo netto le differenze tra i due personaggi. Il frate si presenta al curato per parlargli del matrimonio di Renzo e Lucia, e per prepararlo all’eventualità che i due tornino nel paese e chiedano che venga celebrato il rito, come era stato inizialmente stabilito. Ma Don Abbondio, come sempre, reagisce con timore e reticenza: nonostante Don Rodrigo sia stato da tempo indebolito e anche screditato, il curato continua a vivere nel terrore di vendette e rappresaglie.
Manzoni descrive questo dialogo con la consueta ironia sottile, ma anche con grande attenzione psicologica. Don Abbondio è un personaggio che incarna la paura elevata a sistema di vita: per lui, ogni decisione è valutata in base al rischio personale, e non secondo la giustizia o il dovere. Al contrario, Fra Cristoforo gli parla con fermezza, ma senza durezza, ricordandogli i suoi doveri di sacerdote, il valore della coscienza retta, e il coraggio che dovrebbe guidare chi ha responsabilità verso gli altri.
Il frate non lo minaccia, ma lo richiama alla verità: non è accettabile che un uomo di Chiesa si nasconda dietro le proprie paure quando è chiamato a fare il bene. Questo passaggio mostra come, nel pensiero di Manzoni, la fede autentica non sia compatibile con la codardia morale. Fra Cristoforo non chiede a Don Abbondio di essere un eroe, ma di essere almeno coerente con il ruolo che ricopre.
La crisi interiore di Don Abbondio
Il colloquio con Fra Cristoforo lascia Don Abbondio turbato e inquieto. Dopo la partenza del frate, il curato rimugina a lungo sulle parole ricevute. Il lettore assiste così a un momento raro: una crisi morale vera e propria nel personaggio, abituato a giustificare ogni propria mancanza con il “buon senso”. Ora, per la prima volta, si sente messo con le spalle al muro. Le parole di Fra Cristoforo risuonano come un’eco insistente, minando le sue certezze. Il suo ragionamento continua a oscillare tra la paura del potere terreno e la consapevolezza di un dovere spirituale.
Manzoni mostra con finezza come l’animo debole possa comunque essere colpito dalla verità, anche se non è detto che ciò basti a trasformarlo. Don Abbondio non prende ancora una decisione definitiva, ma è evidente che il seme del dubbio è stato piantato. Per un personaggio come lui, anche solo cominciare a mettere in discussione il proprio comportamento rappresenta un piccolo passo avanti, seppur fragile e incerto.
Un capitolo di confronto tra due concezioni della vita
Il Capitolo 25 non è solo un episodio funzionale alla trama, ma un capitolo profondamente simbolico, in cui Manzoni mette a confronto due modi opposti di essere uomini e di vivere la fede. Da una parte Fra Cristoforo, il sacerdote che ha fatto della sua vocazione una missione concreta, che affronta il pericolo, che non teme l’autorità ingiusta e che sa parlare con carità e fermezza. Dall’altra parte Don Abbondio, il sacerdote che pensa solo alla propria pelle, che si nasconde dietro cavilli e paure, che non riesce a vedere il dovere quando questo comporta un rischio.
Questo contrasto non è solo tra due uomini, ma tra due mondi etici: quello del coraggio e della coscienza, e quello della convenienza e dell’inerzia. Manzoni non è crudele con Don Abbondio, ma lo guarda con compassione critica: sa che la paura è umana, ma sa anche che l’essere umano è chiamato a superarla, specialmente quando è investito di una responsabilità pubblica e religiosa.
Un ponte tra passato e futuro nella narrazione
Il Capitolo 25 svolge anche un’importante funzione strutturale: collega la vicenda di Lucia e del cardinale con quella del paese d’origine, preparando il terreno al ritorno dei protagonisti. L’atmosfera è ancora incerta, ma l’ordine sociale sta cambiando: Don Rodrigo perde potere e influenza, mentre la giustizia e il bene, grazie all’opera di uomini come Fra Cristoforo e il cardinale, cominciano a fare breccia. È una svolta morale nella trama, in cui il lettore percepisce che le forze del bene non sono più marginali, ma cominciano a guidare gli eventi.
In questo quadro, la figura di Fra Cristoforo torna centrale: è lui il ponte vivente tra la giustizia desiderata e quella possibile, tra la parola del Vangelo e la realtà concreta. Il suo intervento non risolve tutto, ma apre una strada, come spesso accade nei grandi personaggi manzoniani: non salvatori assoluti, ma strumenti di una Provvidenza che agisce anche attraverso gli umili, i coerenti, i giusti.